Antonio Di Pietro è considerato l’icona di Tangentopoli, da PM incaricato del Pool Mani Pulite (operazione che negli anni ha fatto proseliti nel mondo, ad es. Lavajato in Brasile [che ha estromesso il clan Lula] e se vogliamo anche Cuadernopolis in Argentina [che ha puntato il clan Kirchner]). Le sue frequentazioni in USA al DOJ prima dello scoppio del caos giudiziario italiano per antonomasia hanno fatto perdere il sonno a molti. In realtà c’è poco da fare i sonnambuli: la sua uscita di scena da Tangentopoli casualmente concise con la presa di posizione del neo ambasciatore USA a Roma, Reginald Bartholomew, a nome del very deep state USA; il responsabile della delegazione per il disarmo nucleare dell’ex URSS, ex ambasciatore in Libano ferito nel confronto libanese dei tempi, ex CFR, ex National Security Council – un vero pezzo da 90 – venne infatti investito del compito in Italia come Ambasciatore pensionando l’oriundo biellese Peter Secchia.
Dunque, a tempo debito decise che Tangentopoli doveva finire. Per fare questo invitò – come riportato sempre da La Stampa di Torino – in Italia il compianto giudice Antonin Scalia, a villa Taverna, per fare quattro chiacchiere con il Pool di Mani Pulite. In tale occasione conviviale con tutto il Pool che contava venne specificato senza mezzi termini che la custodia cautelare in carcere era contraria ai principi della democrazia USA. Ossia lo strumento principe di Di Pietro e Davigo era stato messo in soffitta nel giro di una notte (in parte – sebbene in misura diversa – lo stesso metodo potremmo dire che venne riesumato tra il 2011 ed il 2012, …).
Così finì Tangentopoli, proprio come tutto era iniziato: nel segno americano.
Ricordo infatti come, dopo la caduta di Berlusconi nel 2011, Di Pietro si riaffacciò sulla scena, dopo essere caduto nel dimenticatoio per anni (oggi da pensionato occupa di gestire la sua pensione, i suoi beni ed il suo patrimonio, accumulati con gli sforzi di 10 anni circa da giudice, 3+2 Legislature e qualche anno da Ministro dei lavori pubblici, circa nel periodo [con Prodi presidente del Consiglio] in cui venne firmata – se non ricordo male – la concessione di Benetton di Autostrade). La cosa interessante è quello che venne fuori a mezzo stampa appena dopo, nel 2012: il console USA di Milano ai tempi di Tangentopoli, Peter Semler, affermò pubblicamente che era stato informato da Di Pietro circa 6 mesi prima sugli arresti che sarebbero scaturiti dall’inchiesta prossima ventura. Tutto pubblicato per prima da La Stampa di Torino, anch’essa legatissima agli ambienti USA in Italia, fin dai tempi di Mario Tchou.
Ossia, il console USA sapeva cose – ossia eventi futuri – che nessuno in Italia sapeva…
Sta di fatto che successivamente a tale intervento consolare mediatico (eravamo nel 2012), Di Pietro – che ai tempi della sua funzione di PM nel Pool Mani Pulite (e prima) ebbe come interfaccia a vario titolo USA tra gli altri anche Rudolph Giuliani (stando ad indiscrezioni di stampa…), uno dei legali di Trump oggi – comprese probabilmente che non c’era spazio e quindi nel caos post caduta di Berlusconi lui fu come una meteora, apparizione e sparizione…
Oggi, guarda caso, Antonio Di Pietro riappare. Ed il messaggio che dà è lampante ed assolutamente NON scontato: sul caso Diciotti e la possibile messa in stato d’accusa del Ministro dell’Interno italiano, afferma “… Salvini non condivido come si sta comportando. Ma non lo processerei. …” (O qualcosa del genere)
Messaggio chiaro. Viene da chiedersi se è solo farina del sacco di Di Pietro.
Per intanto vedremo se i giudici italiani la penseranno diversamente. In tal caso – ossia in caso di mancato allineamento di opinioni – significherà che le cose in Italia sono davvero cambiate, per sempre. Con conseguenze imprevedibili.
Per tutti in Italia. Ma proprio tutti.
Mitt Dolcino
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