Le Cinque Giornate di Milano, la rivolta contro i “tedeschi” del tempo
Purtroppo sento troppi nordisti come me, io che sono addirittura alpino, affermare – probabilmente per interessi specifici dell’interlocutore – che all’euro non c’è alternativa. Ed anche che all’EU non c’è di fatto alternativa, troppo difficile uscirne, di fatto sposando i principi asimmetrici dell’EU tedesca nel suo abbraccio mortale. In questo vedo molto più revanscisti i popoli meridionali, che hanno poco da perdere rispetto all’attuale oltre a molta più crescita prospettica davanti a loro. Quanto meno rispetto alle genti del nord, che hanno forse paura di perdere il residuo splendore del loro apparato industriale che una volta molti invidiavano.
Si, residuo, perchè i cambiamenti tecnologici – sebbene inutili per il fine supposto, …– imposti per legge dall’EU, su tutti l’auto elettrica prodotta in Germania e alimentata con energia nucleare francese, renderanno obsolete le produzione terziste del nord Italia. Ricordo infatti che tali tecnologie auto-elettriche pur deleterie per l’ambiente sono utilissime alle industrie core-EUrope. Tale shift elettrico – ripeto, nefasto in termini di difesa dell’ambiente/CO2 e di efficienza sistemica con le tecnologie di produzione energetica attuali – distruggerà a termine il substrato industriale metalmeccanico italiano, oggi terzista della Germania per l’auto a ciclo termico.
Ogni invasore, soprattutto se vetero-colonialista europeo, vessa i paesi conquistati per fare il bene del proprio popolo, in Patria…
Or dunque, i leghisti, inconsciamente, dall’alto della loro limitata preparazione strategica, stanno sposando “obtorto collo” l’EU, memori dei fasti del lombardo-veneto.
Fasti? Ma ne siete proprio sicuri? Avete mai letto cosa significa essere dominati in casa propria, ad esempio ne “I Promessi Sposi“? Sappiate che il Lombardo Veneto pagava, da piccola appendice dell’Impero, quasi il 30% di tutte le tasse pagate nell’Impero asburgico, soldi mandati a Vienna via zelanti funzionari austriaci. Ossia gran parte dei monumenti Viennesi li hanno pagati i lombardi ed i veneti, senza rendersene conto!
Visto che l’Italiano medio purtroppo pecca di astrazione pragmatica, ho deciso di portarvi un esempio pratico di cosa significhi avere dominatori-sanguisughe (nel caso, tedeschi/austriaci) a casa propria, ricordando che l’EU franco-tedesca rischia di essere solo una variazione sul tema di quanto successo in passato, modello 2.0, il concetto base resta infatti lo stesso dell’esempio proposto e di molti precedenti.
Dedico dunque il mio impegno soprattutto ai lombardi: ho deciso di ri-pubblicare (sotto) una bella poesia molto utile allo scopo, la famosa “Sant’Ambrogio” del Giusti (Giuseppe). Una poesia “che racconta e spiega”, opera assai moderna ed attuale direi. Infatti spiega benissimo come si sentivano i nostri avi ai tempi, quanto ingombrante sentissero la presenza straniera (tedesca) in Patria.
La dedico in particolare ai leghisti, perfettamente conscio che possa essere di difficile lettura; si sa, passando 20 ore in fabbrica per pagare le tasse assurde imposte di fatto come conseguenza dell’austerità EU voluta dai tedeschi a danno italiano non c’è molto tempo per la cultura. Vi prego però di fare uno sforzo, credetemi, è illuminante. Ed anche pratico, notando che il concetto di “anti-tedesco” era già in voga ai tempi, vedere l’esordio se non ci credete!
Buona LetturaSant’Ambrogio di G. Giusti
Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco per que’ pochi scherzucci di dozzina, e mi gabella per anti-tedesco perché metto le birbe alla berlina, | |
5 | 0 senta il caso avvenuto di fresco A me che girellando una mattina càpito in Sant’Ambrogio di Milano, in quello vecchio, là, fuori di mano.M’era compagno il figlio giovinetto |
10 | d’un di que’ capi un po’ pericolosi, di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto ove si tratta di Promossi Sposi… Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto? Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi, |
15 | in tutt’altre faccende affaccendato, a questa roba è morto e sotterrato.Entro, e ti trovo un pieno di soldati, di que’ soldati settentrionali, come sarebbe Boemi e Croati, |
20 | messi qui nella vigna a far da pali: difatto se ne stavano impalati, come sogliono in faccia a’ generali, co’ baffi di capecchio e con que’ musi, davanti a Dio, diritti come fusi. |
25 | Mi tenni indietro, chè, piovuto in mezzo di quella maramaglia, io non lo nego d’aver provato un senso di ribrezzo, che lei non prova in grazia dell’impiego. Sentiva un’afa, un alito di lezzo; |
30 | scusi, Eccellenza, mi parean di sego, in quella bella casa del Signore, fin le candele dell’altar maggiore. Ma, in quella che s’appresta il sacerdote a consacrar la mistica vivanda, |
35 | di sùbita dolcezza mi percuote su, di verso l’altare, un suon di banda. Dalle trombe di guerra uscian le note come di voce che si raccomanda, d’una genteo che gema in duri stenti |
40 | e de’ perduti beni si rammenti. Era un coro del Verdi; il coro a Dio Là de’ Lombardi miseri, assetati; quello: “0 Signore, dal tetto natio”, che tanti petti ha scossi e inebriati. |
45 | Qui cominciai a non esser più io e come se que’ còsi doventati fossero gente della nostra gente, entrai nel branco involontariamente. Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello, |
50 | poi nostro, e poi suonato come va; e coll’arte di mezzo, e col cervello dato all’arte, l’ubbie si buttan là. Ma, cessato che fu, dentro, bel bello, lo ritornava a star come la sa; |
55 | quand’eccoti, per farmi un altro tiro, da quelle bocche che parean di ghiro, un cantico tedesco, lento lento per l’aër sacro a Dio mosse le penne; era preghiera, e mi parea lamento, |
60 | d’un suono grave, flebile, solenne, tal, che sempre nell’anima lo sento: e mi stupisco che in quelle cotenne, in que’ fantocci esotici di legno, potesse l’armonia fino a quel segno. |
65 | Sentia, nell’inno, la dolcezza amara de’ canti uditi da fanciullo; il core che da voce domestica gl’impara, ce li ripete i giorni del dolore: un pensier mesto della madre cara, |
70 | un desiderio di pace e d’amore, uno sgomento di lontano esilio, che mi faceva andare in visibilio. E, quando tacque, mi lasciò pensoso di pensieri più forti e più soavi. |
75 | – Costor, – dicea tra me, – re pauroso degi’italici moti e degli slavi, strappa a’ lor tetti, e qua, senza riposo schiavi li spinge, per tenerci chiavi; gli spinge di Croazia e dli Boemme, |
80 | come mandre a svernar nelle maremme. A dura vita, a dura disciplina, muti, derisi, solitari stanno, strumenti ciechi d’occhiuta rapina, che lor non tocca e che forse non sanno; |
85 | e quest’odio, che mai non avvicina il popolo lombardo all’alemannoo, giova a chi regna dividendo, e teme popoli avversi affratellati ‘insieme.Povera gente! lontana da’ suoi; |
90 | in un paese, qui, che le vuol male, chi sa, che in fondo all’anima po’ poi, non mandi a quel paese il principale! Gioco che l’hamo in tasca come noi. Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale, |
95 | colla su’ brava mazza di nocciòlo, duro e piantato lì come un piòlo. |