Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
L’unica pecca nei piani di Xi Jinping per la conquista economica del mondo è che la Cina ha finito i soldi. Gli 8 trilioni di dollari della “Via della Seta” sono solo il titolo di un romanzo.
La “Belt and Road” – per come è conosciuta da quando i collegamenti marittimi si sono aggiunti al percorso originale della carovana di Marco Polo – aveva un senso finanziario negli anni in cui la Cina generava grossi avanzi di Conto Corrente che, nel periodo 2004 : 2008, toccarono anche il 10% del PIL.
La Cina ha dovuto riversare quei soldi nell’economia globale esattamente come gli Stati Uniti alla fine della 2a GM, quando furono costretti a riciclare le loro vaste eccedenze attraverso il Piano Marshall.
Fu una risposta temporanea ad una temporanea distorsione dei flussi commerciali globali.
O, per fare un altro parallelo, analogamente a quanto accadeva alla fine degli anni Ottanta, quando il Giappone comprava di tutto, dal campo da golf di Pebble Beach ad interi stock di quadri impressionisti, molti dei quali sono ancora appesi nella “Sala del Consiglio” della Nomura a Tokyo.
Le riserve estere di Pechino balzarono in quegli anni al record mondiale di 4 trilioni/usd e comprendevano T-bond, gilt e obbligazioni statunitensi, acquistati per tenere sotto controllo la propria valuta e consentire la crescita tumultuosa necessaria alla sua “rincorsa”.
Ma questa politica aveva dei limiti intrinseci che la Cina cercò di superare con investimenti effettuati nel suo “cortile di casa asiatico”, dove c’era una cronica carenza di capitali per le infrastrutture. L’Asian Development Bank [ADB] temeva un deficit di capitale in tutta la regione pari a 8 trilioni/usd. Tutto, quindi, sembrava combaciare.
Ma da allora il sistema economico globale è cambiato radicalmente e le riserve estere cinesi sono scese a 3 trilioni/usd. Le Autorità hanno dovuto stringere i controlli sui capitali, in particolare durante la crisi valutaria di fine 2015, quando il paese perdeva 100 miliardi/usd al mese.
Il surplus delle Partite Correnti cinesi è sostanzialmente svanito. L’FMI pensa che quest’anno sarà solo dello 0,5% del PIL e che diventerà progressivamente negativo nei primi anni del 2020.
Gabriel Felbermayr del ”Kiel, Istituto Tedesco per gli Studi sull’Economia Mondiale”, ha affermato che il boom dei prestiti all’estero sta già svanendo: “La fonte da cui la Cina attingeva per i suoi investimenti internazionali si sta prosciugando”.
Gli investimenti totali della BRI, dal 2013, ammontano a circa 600 miliardi/usd. Hanno raggiunto il picco nel 2017 e da allora sono diminuiti del 40%.
Il termine BRI è comunque ingannevole, trattandosi di una specie di “Albero di Natale” contenente tutte le aspirazioni dei cinesi, dal Mar Artico allo spazio profondo, dal cyberspazio alle mostre d’arte.
La diluizione del marchio è diventata una costante da quando il Presidente Xi ha trasformato la “Via della Seta” nel suo argomento principale. E’ entrato a far parte anche della Costituzione del Partito Comunista e tutti sono saliti sul carro.
Ma Xi ha ora promesso di “purificare” il progetto. Venerdì, al Forum della “Belt and Road” di Pechino, ha detto che la BRI deve concentrarsi sulla “crescita della qualità” per soddisfare pienamente gli standard globali.
James Lord della Morgan Stanley ha detto che la Cina diventerà un importatore netto di capitali man mano che il paese invecchierà. Saranno necessarie entrate nette che, entro la fine del prossimo decennio, saliranno fino a 400 miliardi/usd l’anno. Pechino dovrà competere per attirare i capitali, come tutti gli altri.
Da queste considerazioni parte la spinta di Xi per ulteriori joint venture con banche e fondi esteri. Il rapporto ufficiale rimodella la BRI perché possa diventare “aperta e inclusiva”, senza ideologie politiche: “Non è un club cinese”, ha concluso Xi.
Queste considerazioni contrastano con la critica mondiale secondo cui la “Belt and Road” è da considerarsi come un mantello per coprire l’espansione strategica cinese, oltre ad essere un veicolo per imporre la “diplomazia del debito” ai paesi più poveri.
La Cina, allo stesso tempo, ha bisogno dei soldi del mondo. “I prestiti esteri cinesi sono quasi interamente finanziati in dollari statunitensi ….. che stanno esaurendosi“, ha detto George Magnus del China Center della Oxford University.
Magnus ha aggiunto che la spinta a trasformare lo yuan in una valuta globale è condannata a priori in un contesto di controlli rigidi sui capitali e di eccedenze commerciali nulle: “Devono attenuare il clamore che hanno suscitato e cercare ulteriori paesi con cui lavorare”.
“Quando porti il denaro all’estero ne perdi il controllo”, ha detto Jonathan Hillman del “Center for Strategic and International Studies” di Washington.
Hillman ha aggiunto che il termine BRI è molto elastico. Alcuni Paesi iscritti a pieno titolo, come ad esempio la Corea [del Nord], non hanno ricevuto quasi nulla mentre i Paesi che non hanno aderito, come l’India o la Germania, attraggono comunque degli investimenti.
Gli investimenti esteri giapponesi, ad esempio, sono anche più grandi di quelli cinesi, ma senza alcuna fanfara. La multilaterale ADB [Asian Development Bank], inoltre, ha tranquillamente prestato 36 miliardi di dollari lo scorso anno per progetti di sviluppo.
Ma dopo i proclami arroganti arriva il tempo degli esami. Ovvero, nell’elegante eufemismo del Partito Comunista, il passaggio dalla “grande pennellata a mano libera” alla “pennellata elegante”.
Il catalogo delle disavventure è ormai noto. In Europa il primo premio lo vince la “strada verso il nulla” costruita nel Montenegro. L’ambizioso collegamento dal porto adriatico di Bar che, attraverso le montagne, arriva all’entroterra serbo è stato ritenuto insostenibile in due studi di fattibilità. Non c’è abbastanza traffico per recuperare l’investimento con i pedaggi.
Ma lo studio segreto della “Export-Import Bank of China” si concluse a suo tempo in modo diverso. L’opera è in corso di realizzazione da parte della “China Communications Construction” e il contratto prevede che qualsiasi controversia debba essere risolta nei Tribunali cinesi. In caso di inadempienza, la Cina potrà impadronirsi di parte del territorio montenegrino.
Il FMI afferma che l’incompiuta montenegrina ha spinto il rapporto debito/Pil dal 63% all’80%, mentre il Paese sta raggiungendo il limite accettabile dell’imposizione fiscale. Le conseguenze rischiano di far ritardare l’adesione all’UE perché il Montenegro sta violando le regole di Maastricht.
Nel caso del porto di Hambantota nello Sri Lanka – il Governo locale ha dovuto firmare un contratto di leasing di 99 anni dopo aver fallito il rimborso del prestito cinese – il tasso d’interesse sul debito era del 6,3%.
Hillman del CSIS ha detto che “Questo tasso è da due a tre volte quello praticato dall’ADB. C’è un mito che gira là fuori, che i soldi cinesi arrivino a buon mercato. Le pratiche per ottenere i prestiti sono molto opache. Una delle cose migliori che i cinesi possono fare, a questo punto, è di rendere pubblici i contratti, come fanno tutte le Banche di Sviluppo multilaterali”.
Forse, la caratteristica più bizzarra della BRI è l’essere diventata “prestatrice di ultima istanza” per la costruzione di centrali a carbone, secondo l’”Institute for Energy Economics and Financial Analysis” [IEEFA].
L’IEEFA ha affermato che i prestatori cinesi – soprattutto le banche statali – stanno finanziando progetti pari a 36 miliardi di dollari per la realizzazione di centrali a carbone in tutto il mondo. Solo un terzo utilizza la migliore tecnologia del settore.
Questo nel momento in cui la Banca Mondiale, gli organismi multilaterali e la maggior parte dei creditori occidentali stanno cercando di uscire dal carbone come misura de minimis per scongiurare il cambiamento climatico.
Le entità statali cinesi sono profondamente coinvolte nella costruzione e nella gestione degli impianti. Questi behemoth [leggendarie creature bibliche] stanno trovando una nuova prospettiva di vita all’estero, mentre ne restringono l’utilizzo a casa loro.
Hillman ha detto che: “La BRI è una rampa di lancio per gli eccessi di capacità del Paese. Si tratta di una tecnologia obsoleta e questi impianti avranno una durata di 30 o persino 50 anni”.
Gli impianti sono concentrati in Paesi come il Bangladesh, il Vietnam e il Pakistan, dove già ora l’energia solare o eolica è competitiva e lo diventerà sempre di più nel corso degli anni. Entro un decennio coloro che si sono indebitati per poterli realizzare rischiano di doverli chiudere.
L’IEEFA ha affermato che le aziende statali cinesi sono le principali gaglioffe. Quelle private, invece, stanno gravitando su progetti per l’energia rinnovabile perché sono più redditizie.
Serve davvero una distorsione mentale per insistere sul carbone. Pechino sta parimenti spingendo, nell’Asia in via di sviluppo, l’industria basata sulla chimica del carbone, ad alta emissione di CO2.
Ma Xi sta lanciando una coalizione internazionale, così ha sostenuto, volta allo “sviluppo verde”. Il rapporto ufficiale ha esaltato “uno stile di vita e di lavoro ‘verdi’, con un ridotto utilizzo del carbone, che sia anche circolare e sostenibile”.
Bravo Xi. Adesso consegna il pacco.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2019/04/26/china-can-no-longer-afford-silk-road-blessing-world/
Scelto e tradotto da Franco
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