Redazione: l’articolo che proponiamo è uno dei più lucidi che mai siano stati scritti sui QE dell’eurozona e sulla guerra valutaria con gli Stati Uniti. Chi vorrà leggerlo non lo dimenticherà facilmente.
Da rilevare che, normalmente, AEP e Alberto Bagnai sono sulla stessa lunghezza d’onda. Le sue considerazioni, quindi, sono ragionevolmente le stesse che esprimerebbe il Senatore leghista se avesse le mani libere.
Quella guerra Trump/Merkel che a volte abbiamo temuto, ma che soprattutto abbiamo auspicato, forse sta davvero cominciando. Il “dado è tratto” ed ormai crediamo (speriamo!) che non si torni più indietro.
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Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
L’Europa è stata avvertita. Qualsiasi utilizzo della leva monetaria per mantenere basso il tasso di cambio dell’euro sarà considerato una provocazione da parte dell’Amministrazione Trump.
Ulteriori tagli dei Tassi d’Interesse verranno considerati come una manipolazione valutaria.
La rinascita del QE [Quantitaive Easing] sarà considerata come una svalutazione sotto mentite spoglie – quello che in effetti è – visto che il denaro filtra nel mercato dei titoli e deprime l’euro.
La BRI [Banca dei Regolamenti Internazionali] ha affermato che in effetti almeno 300 miliardi/euro del QE hanno raggiunto la sola Londra fra il 2014 e il 2017.
Se la BCE copia la Swiss National Bank e comincia ad accumulare direttamente assets esteri per deprimere la sua valuta, l’Europa dovrà affrontare forti ritorsioni.
Che gli svizzeri possano continuare a farla franca con questa politica per molto tempo ancora è una questione aperta. La BNS detiene partecipazioni estere per 760 miliardi/usd – quasi il 120% del suo Pil – e possiede fette importanti di Apple, Microsoft, Amazon, Facebook ed Exxon.
Sullo sfondo della vacillante economia globale stiamo entrando nella prossima fase della guerra valutaria. Sarà una guerra molto brutta per la scarsità della domanda globale.
Ciò che colpisce dei tweets di questa settimana di Donald Trump contro la BCE è quanto sia stato veloce nel riconoscere l’importanza della piroetta politica di Mario Draghi a Sintra – già soprannominata dai mercati obbligazionari il “whatever it takes n° 2” – e con quanta rapidità li abbia lanciati:
“Mario Draghi ha appena annunciato che potrebbero esserci altri stimoli monetari, facendo immediatamente svalutare l’euro contro il dollaro, rendendo ingiustamente più facile, per i paesi dell’Eurozona, competere contro gli Stati Uniti. Sono anni che vanno a braccetto con la Cina e con altri paesi”.
Quest’affermazione ha la chiara impronta del suo guru per il commercio, Peter Navarro.
Il dollaro è chiaramente sopravvalutato. Il “Federal Reserve’s Broad Dollar Index” ha raggiunto all’inizio di giugno il massimo da 17 anni. Il deficit del commercio manifatturiero è salito a 900 miliardi di dollari.
Questi squilibri sono stati aggravati dalle politiche di Trump. I tagli alle tasse praticati al top del ciclo economico hanno spinto il deficit di bilancio al 4% del PIL. Hanno costretto la Fed, lo scorso anno, a tirare il freno.
Questo regime di “allentamento fiscale/monetario” è una formula da manuale se si vuole una valuta forte. Ma questo la Casa Bianca non lo ammetterà mai. Dà la colpa agli stranieri e, certo, anche questi non sono innocenti.
L’eurozona è il principale parassita globale. Ha succhiato domanda dall’economia globale con avanzi delle Partite Correnti da 300 a 400 miliardi di euro.
La Cina al confronto è stata una santa. Questo comportamento da “free rider” è il risultato della struttura dell’euro e dell’austerità imposta dagli ideologi tedeschi all’Unione Monetaria attraverso il Patto di Stabilità.
E’ il resto del mondo a pagare il prezzo per il drammatico esperimento di Eurolandia e per il suo fallimento nello stimolare l’economia – vale a dire la sua incapacità di creare un “Tesoro” congiunto in grado di emettere debito condiviso che avrebbe reso possibile un rilancio degli investimenti nella metà depressa dell’Europa.
Il Sig. Navarro ha impresso una svolta considerevole su quest’argomento: il meccanismo deformato dell’Unione Monetaria consente alla Germania di mantenere l’implicito marco tedesco grossolanamente sottovalutato e di bloccare nella logica del “beggar-thy-neighbour“ [affama-il-tuo-vicino] l’Europa meridionale.
Da qui l’eccedenza cronica della bilancia delle Partite Correnti tedesca pari all’8,5% del suo Pil.
La Casa Bianca del Sig. Trump ne ha avuto abbastanza e il campo di battaglia è ormai centrato sulla moneta.
Anche i democratici cantano dallo stesso spartito, la candidata alla presidenza Elizabeth Warren ha lanciato una campagna di “patriottismo economico”.
L’”Economic Policy Institute” di Washington ha proposto di acquistare le obbligazioni di qualsiasi paese impegnato nella manipolazione valutaria per neutralizzare quest’effetto [svalutazione di fatto].
Il Tesoro degli Stati Uniti è il responsabile della politica valutaria e può effettivamente ordinare alla Fed di sostenere gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti.
Mi ricorda la “Dottrina Reagan” durante la Guerra Fredda: giocare con Mosca al suo stesso gioco, sponsorizzando insurrezioni come ad esempio in Nicaragua, Afghanistan etc. In questo modo dissanguò l’Unione Sovietica.
Questo è il Nuovo Ordine Mondiale che Mario Draghi sta affrontando, mentre cerca di fermare lo scivolo dell’eurozona verso il pantano deflazionistico. I rendimenti dei bund decennali sono crollati a meno 0,30% e i mercati obbligazionari stanno segnalando l’arrivo di un’era glaciale.
Chiaramente, la decisione di chiudere il programma di QE [2,6 trilioni/euro] a gennaio dichiarando “missione compiuta”, quando Eurolandia era già in piena recessione industriale, è stato un errore.
Ma Draghi fu costretto dai falchi. Ora si è vendicato del Consiglio Direttivo della BCE mettendolo davanti al fatto compiuto.
Salvo che l’eurozona cominci a recuperare, “saranno necessari ulteriori stimoli” e, per buona misura, “se la crisi ha dimostrato qualcosa è che dobbiamo utilizzare tutta la flessibilità del nostro mandato per adempiere al nostro compito”.
Ha preso questo impegno senza prima assicurarsi il consenso del blocco teutonico. La CDU di Angela Merkel l’ha definito “un segnale allarmante per l’integrità della BCE”. Questa volta il Sig. Draghi potrebbe aver superato il limite, in tutti i sensi.
La BCE può ovviamente acquistare sia obbligazioni societarie che debito bancario (uno scudo per l’Italia). Può anche fare qualche furtiva monetizzazione del debito pubblico.
Ma il QE “plain-vanilla”, in questa fase, sta arrancando. Può essere estratto solo un ben piccolo stimolo abbassando la parte lunga della curva di rendimento, che si è già quasi invertita.
“È solo teatro. La BCE è impotente. Sta cercando di creare un senso di azione, ma niente di tutto questo ha effetto“, ha detto Ashoka Mody, un ex “bail-out chief” operante in Europa per conto del FMI e autore di “Eurotragedy: A Drama in Nine Acts”.
Il cancro deflazionistico è ora così profondamente inserito nell’eurozona che ci vorrebbe il classico “Helicopter Money” [denaro dall’elicottero] o il “People’s QE” [il QE della gente] – il finanziamento monetario delle opere pubbliche – per combattere qualsivoglia futura crisi globale.
Tale azione violerebbe il Trattato di Lisbona e metterebbe alla prova l’acquiescenza politica tedesca al “progetto euro” fino alla sua distruzione.
In verità, il QE in Europa ha sempre funzionato essenzialmente attraverso la svalutazione. L’indice ponderato per il commercio in euro scese del 14% l’anno successivo a quello in cui Draghi segnalò per la prima volta [2014] che stavano per arrivare gli acquisti dei bonds.
E quello fu certamente uno stimolo potente. Quando successivamente l’euro si è rivalutato l’economia dell’eurozona si è arrestata.
Ci vorrebbe la compressione permanente del tasso di cambio per mantenere Eurolandia sulla sua traiettoria.
Ma, come hanno scoperto i giapponesi, è molto difficile per un’economia con un’inflazione prossima allo zero e uno strutturale surplus commerciale bloccare il tasso di cambio, a meno che non si ricorra ad una conclamata guerra valutaria.
Ma questo è esattamente ciò che il Sig. Trump non permetterà.
La via dello stimolo monetario non esiste più nell’eurozona. Solo uno straordinario stimolo fiscale – 2% o 3% del Pil – potrebbe essere sufficiente a superare questa grave crisi. Ma anche questa possibilità è bloccata.
“La BCE negli ultimi sette anni ha mascherato la fragilità dell’eurozona e nessuno sa quando arriverà l’ora della verità“, ha detto Jean Pisani-Ferry, Consigliere Economico del Presidente Francese Emmanuel Macron e un collega del think tank Bruegel.
E ha continuato: “Non esiste uno schema di deposito comune per le banche. Gli investimenti transfrontalieri stanno ritirandosi. Il circolo vizioso Banca/Stato potrebbe tornare in qualsiasi momento”.
Il “golpe retorico” di Mario Draghi del luglio 2012 funzionò solo perché ottenne la parziale approvazione della Germania a che la BCE fungesse da ‘prestatore di ultima istanza’ per il debito Italiano (a condizioni rigorose). Questo fermò immediatamente una crisi che comunque era artificiale.
La situazione di oggi è completamente diversa. La minaccia è il crollo deflazionistico, ma la BCE una risposta non ce l’ha.
I mercati pensavano di aver ascoltato, nel discorso di Draghi, un replay del “whatever it takes” e che quindi egli fosse pronto a premere il pulsante “acquista”.
Ma a Sintra gli economisti hanno ascoltato un’altra nota: un lamentoso appello in favore dell’unione fiscale nell’UEM prima che sia troppo tardi.
Mario Draghi, l’esausto guerriero monetario, ci stava solo dicendo che la BCE non può da sola salvare il progetto europeo per la seconda volta.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2019/06/19/currency-war-next-phase-global-conflict-europe-chief-parasite/
Scelto e tradotto da Franco
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