Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
Nessun Primo Ministro britannico è entrato a Downing Street dopo una tale campagna diffamatoria da parte delle élites mediatiche mondiali.
Ha messo radici il ritratto di un incorreggibile pagliaccio che guida una paese sminuito e nostalgico verso un vicolo cieco. Questa caricatura è la Croce che Boris dovrà portare addosso.
“All’estero c’è una perdita di rispetto quasi universale verso il Regno Unito. Boris dovrà giocare una partita durissima“, ha dichiarato Sir Jeremy Greenstock, ex Ambasciatore alle Nazioni Unite.
Parte del mio lavoro nel campo dell’economia mondiale è di leggere ogni giorno la stampa europea.
Sto notando che vengono continuamente riciclate le stesse storie, che risalgono al tempo in cui Boris era corrispondente del Telegraph a Bruxelles, senza peraltro alcuna nota che lo precisi.
Racconti su una EU definita “forza di polizia da Repubblica delle Banane” e su “bare foderate di euro” sono tornati a tormentarci direttamente dal secolo scorso.
Non serve a niente ribattere che i giornalisti europei fanno affidamento sul “sentito dire” e su scelte selettive di affermazioni prese fuori contesto, vogliono solo lanciargli addosso delle offese.
Il meglio che si può dire è che, più uno si allontana dall’Europa e dalla zona culturale del New York Times, meno importante diventa la questione.
Un Ambasciatore dell’Estremo Oriente ha detto che: “In Asia non c’è la stessa animosità verso Boris, perché i paesi di quel Continente non sono stati bersaglio dei suoi attacchi”.
Un altro inviato ha detto che: “Quello che gli asiatici vogliono sapere, in realtà, è come la Gran Bretagna si muoverà nei riguardi degli Stati Uniti”.
Più il Governo di Boris continuerà a percorrere una “terza via” fra Stati Uniti e Cina – amico di entrambi ma asservito a nessuno dei due – più si creerà uno spazio strategico per tutti gli altri paesi.
L’immediata “cartina al tornasole” è se Boris, per proteggere la navigazione nel Golfo, appoggerà la proposta di Jeremy Hunt per una forza navale “europea”, oppure se opterà per la “VI Flotta” statunitense e la fratellanza Trumpiana.
E’ questa è la prima possibile crisi, dalle potenti ramificazioni, che attende Boris a Downing Street.
I cinesi non hanno una visione precostituita sulla Brexit, anche se si rammaricano di aver perso un utile alleato all’interno del sistema di Bruxelles.
Negli ultimi anni la Gran Bretagna aveva costituito una minoranza di blocco contro il protezionismo a guida francese – la questione più conosciuta è quella sull’acciaio – al punto da essere considerata una specie di quinta colonna cinese.
Ma, tutto sommato, i cinesi sono abbastanza indifferenti. La Brexit offre altre opportunità. Ai cinesi piace eliminare uno per uno gli stati europei più deboli.
Hanno preso il Porto del Pireo durante la crisi dell’euro in Grecia ed hanno reclutato l’Italia per la “Belt and Road Initiative” sfruttando la “resa dei conti fiscale” di Lega-M5S con Bruxelles.
“Saremo da soli, in ginocchio e alla disperata ricerca di un accordo commerciale con la Cina” – ha dichiarato George Walden, ex diplomatico britannico e autore di “China: a Wolf in the World?” – “Ciò metterà in evidenza la tendenza al bullismo della Cina e noi non saremo in grado di mantenere finanche la nostra dignità. Metteranno pressione su Boris in ogni modo possibile”.
Il riflesso è già evidente nei toni sempre più alti dell’Ambasciatore di Pechino a Londra.
Se Boris alzerà la posta su Hong Kong – vale a dire se appoggerà i residenti, come promesso, nel sostenere “passo per passo” la “Dichiarazione Congiunta” del 1984 – svanirà il premio di un accordo commerciale con la Cina.
Eppure la Cina deve calibrare le parole attentamente. Più sono grossolane le minacce, più è probabile che Boris si allinei strettamente all’America di Donald Trump. Morirebbero le speranze della Huawei e della tecnologia nucleare cinese nel Regno Unito.
Per Xi Jinping esiste ancora un valore strategico nel preservare quella che il “Daily People” ha chiamato l’”età dell’oro” nelle relazioni anglo-cinesi.
La Russia, invece, è un animale diverso. Walden ha dichiarato che: “Vladimir Putin vuole solo distruggere l’UE. Ha tutto l’interesse a lavorarsi una Gran Bretagna indebolita”.
Ha continuato dicendo che Putin vuol giocarsi le sue possibilità e che: “Le relazioni tra Regno Unito e Russia sono in un vicolo cieco ed è nell’interesse di entrambe le parti uscirne il più presto possibile”.
Il sussurro diplomatico vuole che Putin stia preparando una sorta di offerta a Boris.
La sua predatoria strategia iniziale, attuata subito dopo il referendum per verificare se un Regno Unito ferito potesse essere separato dal “branco occidentale”, è finita. Non ha portato da nessuna parte.
Ma Boris non ha detto niente al riguardo. In campagna elettorale ha sostenuto che il pulsante del “reset” con il Cremlino di Putin non funziona mai: “La Russia ti delude sempre”.
Tuttavia l’Europa sa che la tentazione, seppur nascosta, c’è ….. se spingesse la Gran Bretagna troppo lontano.
Gli aspetti geopolitici sono l’ostacolo più grande che l’UE deve superare.
Bruxelles può essere orribile quando parla impunemente di commercio – perché pensa di poterselo permettere – ma un tale approccio rischia di generare, nel Regno Unito, una reazione politica ed emotiva che l’Europa non può controllare.
Fino ad ora l’UE era convinta di poter separare il commercio dalla sicurezza e di poterlo fare interamente alle sue condizioni.
Ma ora deve valutare il rischio che gli inglesi possano allontanarsi dall’orbita strategica dell’UE molto più di quanto si aspettasse. Fino a “perdere” del tutto il Regno Unito.
I Brexiteer controllano per la prima volta la macchina del Governo Britannico. Non sono più relegati nel reparto Potemkin, con i quadri pro-UE ad esercitare il potere reale attraverso il Cabinet Office.
L’aritmetica parlamentare potrebbe non essere cambiata. Non cambiò nemmeno nel Maggio del 1940 quando la Camera passò dalla capitolazione alla sfida in soli sei straordinari giorni. Quello che è cambiato è l’umore.
Charles Grant del “Centre for European Reform” ha affermato che le Capitali dell’UE pensano che una “Brexit senza accordo” sia ora decisamente più probabile: “….. non credono che il Parlamento possa fermarla”.
Le manovre di Grieve vengono sempre più liquidate come stupidaggini. E questo è significativo, ma non vuol dire che l’UE abbandonerà l’”Accordo di Recesso”.
Grant ha detto che: “All’UE pensano di essere ben preparati, molto più di noi, e di poter accettare una Brexit senza accordo”.
Tuttavia, l’UE ha cambiato i suoi calcoli e ha aperto le porte a modifiche “chirurgiche” – che è un termine elastico.
Sì, sono ancora in molti nei circoli di potere dell’UE che danno grande rilievo all’ipotesi “asimmetrica”. Sono convinti che il Regno Unito entrerà in crisi, a differenza dell’UE.
La nuova argomentazione di cui si sente parlare è che il no-deal aprirà la strada ad un nuovo accordo, solo pochi mesi dopo. Il dolore costringerà la Gran Bretagna a tornare rapidamente a casa. Quindi l’UE lascerà che questo accada.
Ma in Germania ci sono critici potenti. Pensano che sia una strada piena di pericoli diplomatici.
“Sarebbe più saggio per l’UE adottare un approccio più strategico e non impuntarsi sull’’Accordo di Recesso’”, ha affermato Jean Pisani-Ferry, Consigliere Economico del francese Emmanuel Macron e membro dell’istituto Bruegel.
Aggiungendo che: “Posso capire che l’Accordo sia un problema per la parte britannica, visto il parere del Procuratore Generale”.
Niente è ancora definito, come suggerisce la retorica pro-forma dell’UE. Come tutti gli altri, gli europei stanno aspettando di vedere cosa succede quando Boris diventerà Primo Ministro — ed anche di quali consiglieri si circonderà.
Proporrà un rinnovato “Accordo di Recesso”, corredato di campane, di fischietti e di una spolverata di “magic Boris”, o diventerà un radicale, assieme ai fautori della rottura netta?
L’UE, poi, accetterebbe una sorta di data di scadenza sulla barriera di protezione irlandese?
Tutto dipende da come Taoiseach Leo Varadkar riuscirà a mettere in equilibrio l’interesse principale dell’Irlanda [confini aperti con il Nord] con l’aumento della pressione esercitata da Bruxelles, che minaccia implicitamente di aumentare le barriere commerciali dell’UE contro i beni irlandesi, a meno che il paese non realizzi un confine rigido con il Nord.
“Se Varadkar affermerà di poter convivere con un limite di tempo, Francia e Germania saranno d’accordo“, ha dichiarato Grant.
Boris ha molto di più con cui giocare, in questa complessa danza con l’Europa, di quanto i suoi nemici siano disposti a concedere.
I leader dell’UE spalancheranno le braccia se non altro per amor di quiete, sperando che un vero Brexiteer possa consegnar loro gli irriducibili che sfuggivano a Theresa May.
“Gli europei non vogliono il caos. Ascolteranno Boris ma questi dovrà mettere qualcosa sul tavolo” – ha dichiarato Sir Jeremy Greenstock, ora membro del “Gatehouse Signal” – “Il Regno Unito non è un paese in crisi. Ha problemi con la Brexit solo perché questa è un fatto straordinario”.
Gli europei dicono che dipende tutto da Boris. Si potrebbe aggiungere che dipende egualmente anche da loro.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2019/07/23/boris-will-have-play-diplomatic-blinder-win-sceptics-across/
Scelto e tradotto a Franco
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