Redazione: La Groenlandia riveste un’importanza fondamentale nello scacchiere geopolitico dell’emisfero settentrionale, non solo per le ingenti risorse minerarie.
Non crediamo moltissimo agli Stati Uniti che acquistano l’isola dalla Danimarca, per ragioni facilmente intuibili.
Ma sul rilancio dello spirito d’indipendenza di quella popolazione, adeguatamente “incentivato”, siamo pronti a scommettere qualcosa in più del classico dollaro bucato.
L’indipendenza, quindi, per poi confluire nella sfera d’influenza statunitense.
Il Presidente Trump crediamo che abbia solo lanciato (per il momento) un sasso nello stagno. L’avranno capito in Danimarca, “apparente proprietaria”, fra una risata e l’altra?
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Editoriale del The New York Sun
Chiamatelo, se volete, il “New Deal della Groenlandia”.
L’interesse del Presidente Trump per l’acquisto di quel vasto territorio conosciuto come Groenlandia è stato accolto in Danimarca, sua apparente proprietaria, da grandi risate e da una palese derisione.
“Dev’essere un pesce d’aprile”, ha commentato un ex premier, Lars Lokke Rasmussen. Martin Lidegaard, del “Partito Social Liberale Danese”, l’ha invece definita “una proposta grottesca”.
Se la proposta fosse vera, ha detto un portavoce del “Partito Popolare Danese”, rappresenterebbe la “prova finale che il Sig. Trump è impazzito”.
Anche stavolta l’apparente follia di un uomo è da interpretare, in realtà, in un altro modo.
Il “New Deal della Groenlandia” proposto dal Presidente Trump ha certamente molto più senso, per noi americani, rispetto al “New Deal Verde” proposto dai Democratici.
Il loro è solo un progetto per estendere il controllo del Governo su vasti settori dell’economia.
Il Presidente Trump, invece, è animato dalla preoccupazione per gli interessi strategici e commerciali dell’America.
Pensate all’acquisto della Louisiana. Pensate anche alla “Seward Folly”, come fu chiamato l’accordo per l’Alaska. Solo tre anni dopo ebbe inizio la corsa all’oro.
È noto, comunque, che Trump non sia stato il primo Presidente ad aver espresso interesse per la Groenlandia.
Il Wall Street Journal che, per primo, ha rivelato questa storia, ha scritto che già nel 1867 il “Dipartimento di Stato” lanciò un’indagine sull’acquisto non solo della Groenlandia, ma anche dell’Islanda.
Dopo la 2a Guerra Mondiale il Presidente Truman, ha osservato il WSJ, si offrì di acquistare la Groenlandia per 100 milioni/usd [dell’epoca].
Erano i dollari di Bretton Woods. Questo significa che, ai tempi di Truman, saremmo stati obbligati a riscattare ognuno di quei dollari per 1/35 di oncia d’oro.
In termini di denaro reale, Truman stava parlando di offrire l’equivalente di 2.857.142 once d’oro.
Oggi sarebbero 4,3 miliardi in banconote stampate dalla Federal Reserve. Ma allora la parola “biglietto verde” aveva un altro significato.
I truculenti danesi, in ogni caso, rifiutarono di prendere in considerazione l’offerta di Truman.
Fu all’inizio del 1940, secondo un rapporto postbellico del New York Times, che i membri del “Council on Foreign Relations” cominciarono a preoccuparsi della Groenlandia.
A marzo di quell’anno un gruppo di studio del Consiglio pubblicò un rapporto che avvertiva di come la Danimarca potesse cadere nelle mani della Germania e, con essa, la Groenlandia. La Germania, in effetti, invase la Danimarca il mese successivo.
Tre giorni dopo, in una conferenza stampa, FDR [Roosvelt] dichiarò, in accordo con un Ministro Danese presente a Washington, che “la Groenlandia appartiene al Continente Americano”.
Nel 1941, secondo un rapporto del 1946 citato dal New York Times, il “Dipartimento di Stato” deliberò che la Groenlandia si trovava nella zona coperta dalla “Dottrina Monroe”, che contrastava il colonialismo europeo nell’emisfero occidentale.
Dopo la guerra l’America firmò un accordo con la Danimarca che obbligava i danesi a sventolare la bandiera americana, a fianco di quella danese, in varie e concordate “zone di sicurezza”. All’America fu quindi concesso un potere enorme.
Alla luce di questa storia, il Sig. Trump sembra essere decisamente in vantaggio rispetto a coloro che lo deridono.
La questione è fermentata dentro di noi per diversi anni, conseguenza degli allarmi convulsi che riceviamo di tanto in tanto da un amico del Nord, preoccupato per le ricerche effettuate in Groenlandia dai comunisti cinesi, interessati alle “terre rare” e alle altre ricchezze strategiche sepolte sotto il ghiaccio.
Sembrerebbe quindi evidente che i danesi siano stati un po’ troppo frettolosi nel deridere il passo del Sig. Trump.
Soprattutto se si guarda agli enormi vantaggi di cui potrebbe beneficiare la popolazione nativa della Groenlandia.
Dopotutto, ci sono nell’isola più di 51.000 indigeni. Se l’America dovesse pagare l’equivalente di ciò che il Presidente Truman a suo tempo era disposto a pagare, arriveremmo a cifre dell’ordine di 84.000 usd a persona.
Questa somma potrebbe non essere di grande interesse per i superbi politici di Copenaghen.
Tuttavia, potrebbe interessare la popolazione indigena della Groenlandia, per la quale i danesi hanno fatto decisamente poco nel corso degli anni.
Ma le nostre sono solo parole. Il fatto è che non ci fidiamo dei danesi come una volta — e non solo perché abbiamo assistito, nel fine settimana, ad una meravigliosa performance estiva dell’Amleto di Shakespeare.
Da un lato i danesi sono membri del Trattato del Nord Atlantico [Nato]. Dall’altro non è chiaro se possano essere conteggiati sul serio fra gli alleati.
Durante gli anni della resa dei conti con il regime sovietico, la Danimarca cavillò a lungo prima di lasciar atterrare i vettori nucleari americani nel suo territorio.
In conclusione, non c’è alcun motivo perché il Presidente Trump, o qualsiasi altro leader americano, non cerchi di raggiungere un accordo per la Groenlandia.
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Link Originale: https://www.nysun.com/editorials/greenland-trumps-folly/90800/
Scelto e tradotto da Franco
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