Jorge G. Castaneda per Project Syndicate
Città del Messico — Gli eventi in Bolivia restano eccezionalmente fluidi dopo l’espulsione del Presidente Evo Morales.
Potrebbero esserci elezioni libere ed eque entro 90 giorni. Ma anche no.
Morales, cui è stato concesso asilo politico in Messico, potrebbe nuovamente candidarsi alla presidenza, ma anche cercare di tornare al potere con altri mezzi.
La sinistra latinoamericana potrebbe riprendersi dalla caduta di una sua icona, ma anche continuare a perdere terreno.
Le politiche di Morales — buone o cattive che siano state — saranno rovesciate conseguenza dello spostamento a destra della politica Boliviana (non diversamente da quello che è successo in altri paesi dell’America Latina), ma potrebbero anche sopravvivergli.
Tuttavia, si possono già trarre tre conclusioni preliminari.
La prima riguarda le implicazioni regionali della caduta di Morales, indipendentemente dai dettagli della sua conclusione.
Dopo la cosiddetta marea-rosa dell’America Latina, all’incirca dal 2000 al 2015, molti degli emblematici leader della sinistra sono stati esclusi dal potere — oppure hanno fatto ricorso a vari stratagemmi (autoritari) per mantenervisi.
Una volta terminato il boom delle materie prime — e quando cominciarono a scoppiare episodi di corruzione in diversi paesi — molti leader, o Partiti di Sinistra, furono sfrattati senza troppe cerimonie.
Ciò si è verificato in Brasile, El Salvador e Cile. In Venezuela, Nicaragua e Bolivia, invece, la sinistra è rimasta al potere attraverso procedure sempre più repressive e antidemocratiche.
Con l’eccezione del Messico, dove Andrés Manuel López Obrador ha vinto le elezioni presidenziali del 2018, la sinistra è andata sempre più calando in tutta l’America Latina.
In Argentina, il mese scorso, la sconfitta del Presidente Mauricio Macri per mano del candidato Peronista Alberto Fernández, ha comunque restituito speranza alla sinistra di tutta la regione.
Allo stesso modo (da ottobre), le massicce e violente manifestazioni in Cile — spesso considerate proteste anti-neoliberiste e rivendicazioni per un “percorso diverso” — hanno dato motivo alla sinistra di credere che il pendolo fosse tornato indietro.
In questo contesto la fine politica di Morales è da considerarsi come una sconfitta. Era durato più a lungo di qualsiasi altro leader di sinistra sudamericano.
Le sue radici indigene in uno dei paesi più poveri della regione, assieme al suo carismatico antimperialismo e alla sua appariscenza, ne hanno fatto una specie di rockstar in gran parte del mondo.
Aiutato anche da un’economia cresciuta in modo impressionante e dal fatto che i suoi avversari fossero spesso dei razzisti.
Ora tutto questo è finito, nonostante i suoi migliori sforzi e gli aiuti dei Messicani e dei suoi alleati Cubani e Venezuelani, che gli hanno garantito un’importante presenza sui social media Boliviani e sulla stampa internazionale.
Morales e i suoi sostenitori hanno cercato di rappresentare la loro caduta come un classico “colpo di stato militare”, analogo a quelli che rovesciarono il Presidente guatemalteco Juan Jacobo Árbenz nel 1954, o Salvador Allende in Cile, nel 1973.
In entrambi i casi i militari entrarono nei palazzi presidenziali, con il sostegno o quanto meno il consenso americano, catturando la maggior parte degli aiutanti dei due Presidenti, chiudendo le legislature, reprimendo gli attivisti e i leader della sinistra, restando infine al potere per gli anni a venire.
Dopo essere stati rovesciati, dei due Presidenti democraticamente eletti il primo andò in esilio ed il secondo si suicidò.
Niente di tutto questo è accaduto in Bolivia in ottobre e novembre. E’ stato Morales ad aver palesemente violato la Costituzione correndo per un quarto mandato.
Le due “Organization of American States Electoral Observation Missions”, che lui stesso aveva invitato e di cui aveva accettato le condizioni, si rifiutarono di certificare l’esito delle elezioni — mentre l’esercito boliviano non ha arrestato nessuno.
È vero, Morales si è dimesso quando i militari glie lo hanno chiesto (dopo aver accettato le richieste dei manifestanti per un nuovo voto).
Ma, successivamente, tutte le esistenti disposizioni costituzionali sono state seguite pedissequamente.
La Corte Costituzionale, che permise a Morales di correre per la quarta volta, ha giudicato legale la successione presidenziale [Jeanine Áñez, riconosciuta anche dalla Russia].
Inoltre, sono state promesse elezioni tempestive e i militari non hanno preso il potere.
In effetti, l’alto comando militare in carica sotto Morales, quello che gli “suggerì” di dimettersi, è stato sostituito.
La domanda più ampia e riassuntiva è questa: “se i meccanismi elettorali non sono più sufficienti per sostituire un Presidente che è deciso a restare al potere, diventa legittimo il tentativo di rimuoverlo con altri mezzi?“.
Sarebbe accettabile, in altre parole, un “colpo di stato” per rovesciare il Presidente venezuelano Nicolás Maduro, il Presidente nicaraguense Daniel Ortega o Raúl Castro a Cuba?
E che dire dei dittatori come il cileno Augusto Pinochet o l’argentino Jorge Videla negli anni ’70 e ’80?
Perché è legittimo che milioni di persone chiedano le dimissioni dei loro leader, ma non lo è più se i militari si uniscono a loro, senza far uso della forza?
Quando i dittatori assumono il potere con leciti mezzi elettorali, ma poi lo trattengono con altri metodi (generando la ribellione di studenti, sindacati, donne e popolazioni indigene — come in Ecuador solo poche settimane fa), le cose non sono più così chiare come sembravano esserlo fino a qualche decennio fa.
La caduta di Morales è stata causata da una complessa combinazione di fattori, solo uno dei quali è stata la richiesta dei militari di farsi da parte.
Trasformarlo in un moderno Allende, sopravvissuto solo perché fuggito, potrebbe essere un notevole strumento propagandistico per la sinistra radicale in Messico e in Bolivia, ma non corrisponde alla realtà sul campo.
Questo ci porta alla terza conclusione.
Se il nuovo governo Boliviano si attiene al calendario previsto dalla Costituzione e pianifica le elezioni entro 90 giorni, ciò preverrebbe qualsiasi discussione su “colpi di stato” e “non colpi di stato”.
Se il partito di Morales, il “Movimiento al Socialismo”, schierasse un candidato diverso da Morales, darebbe piena legittimità al processo.
A Morales quasi certamente non sarà permesso di correre, sia perché ha cercato d’imbrogliare in occasione del voto precedente, sia perché c’è il divieto costituzionale a candidarsi per un quarto mandato.
Se l’opposizione di centrodestra vincesse, tenterebbe senza dubbio di rovesciare molte delle politiche e delle decisioni di Morales.
Vale la pena notare, tuttavia, che Carlos Mesa — che avrebbe partecipato al voto di ballottaggio contro Morales, se quest’ultimo non si fosse proclamato vincitore al primo turno — non è un estremista di destra.
In realtà, egli è stato il rappresentante di Morales all’Aja, nella causa intentata dalla Bolivia contro il Cile dinanzi alla “Corte Internazionale di Giustizia”.
Ma questo è lo scopo delle elezioni e della rotazione al potere: cambiare rotta se l’elettorato dovesse deciderlo.
Morales cercherà di usare il suo asilo politico e il supporto ufficiale del Messico per tornare al potere. Potrebbe anche riuscirci. Ma ciò non risolverebbe il dilemma di fondo del paese.
Durante 200 anni d’indipendenza i boliviani, come molti altri in America Latina, non sono riusciti a trasferire il potere in modo pacifico e democratico da un Presidente all’altro.
I mandati per governare sono stati interrotti da “colpi di stato”, rivoluzioni, insurrezioni ed incidenti — e i leader sono rimasti al potere a tempo indeterminato.
Far uscire definitivamente Morales dalla scena, mentre si trasferisce il potere in modo pacifico e democratico da un Presidente all’altro, sarebbe un risultato importante per la Bolivia.
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Link Originale: https://www.project-syndicate.org/commentary/downfall-of-evo-morales-not-a-coup-by-jorge-g-castaneda-2019-11
Scelto e tradotto da Franco
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