Redazione: Un articolo colto, forse un po’ cinico, senz’altro hobbesiano. Sentiamo quasi echeggiare, sullo sfondo, il ghigno di Leo Strauss.
L’autore ci pone davanti ad una scelta: l’utopia (il “politicamente corretto”) da un lato, il realismo (la “coscienza dei propri limiti”) dall’altra.
Ci sono cose della natura (nel senso lato del termine) poste al di fuori del nostro controllo. Non possiamo imporre il nostro sistema dappertutto, la nostra cultura a chi non vuole o non può recepirla.
Non possiamo pretendere che un popolo passi dall’asino ai viaggi spaziali come conseguenza di un’idealistica decisione esterna.
La cosa migliore, davanti a certi eventi, è di non complicarli con il nostro “interventismo buonista”, ma di lasciare che evolvano secondo natura e rapporti di forza (per chi volesse: Tucidide, “dialogo degli Ateniesi e dei Melii sulla giustizia in guerra”), lasciando ai popoli la gestione di sé stessi.
Sembra questo il messaggio di Sumantra Maitra, sullo sfondo del fallimento culturale, prima che militare, in Afghanistan.
Donald Trump voleva porre fine alla guerra, cominciata da Bush e continuata da Obama. Ma si oppose John Bolton a nome di una parte dello Stato Profondo (ha pagato anche per questo).
Sembra che l’idea venga ora ripresa e il sito The Federalist “va in soccorso” del Presidente, giustificando con quest’articolo la sua decisione.
E così, Trump, potrà finalmente porre fine a questa guerra, per gli Stati Uniti ma anche per il nostro Paese (abbiamo un grosso contingente da quelle parti).
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Sumantra Maitra per The Federalist
I due passaggi più sorprendenti nello scioccante rapporto del Washington Post (sul fallimento dell’Occidente nella costruzione di uno Stato Democratico in Afghanistan), sono scritti con notevole chiarezza.
Il rapporto afferma che: “….. alcuni funzionari statunitensi volevano usare la guerra per trasformare l’Afghanistan in una democrazia. Altri, invece, volevano trasformare la cultura Afgana per sancire i diritti delle donne”.
Pensiamoci un attimo.
Abbiamo speso più di 1.000 miliardi di dollari, causato più di 2.000 vittime (per non dire delle 20.000 persone che sono state mutilate e sfregiate fisicamente e psicologicamente per tutta la vita) ….. per trasformare il semi-feudale Afghanistan in una moderna Svizzera!
Tutto questo per riuscire dove già l’Impero britannico e quello sovietico avevano fallito: imporre idee modellate, sviluppate e praticate in Occidente in una terra che, storicamente, non ha mai avuto una Magna Carta, un James Madison o una Rivoluzione d’Ottobre.
L’Afghanistan non aveva nemmeno una società “normata” come l’India pre-coloniale, oppure l’Egitto, la Cina, la Germania o il Giappone pre-1945.
L’arroganza alla base di questa pretesa è sconcertante, incredibile, pressoché impossibile da spiegare.
Scordatevi del Presidente George W. Bush o del Presidente Barack Obama, scordatevi l’assurdità dell’impeachment o il rapporto dell’Ispettore Generale — questa storia secondo cui, Amministrazione dopo Amministrazione, sono state propalate mezze verità, è la rivelazione più importante degli ultimi anni.
Ma non giunge inaspettata e le cause vanno discusse fino alla radice.
Tutti hanno mentito sull’Afghanistan
La reazione istintiva dei realisti, con riferimento alla politica di Washington e Londra (almeno dalla fine degli anni ’80), dovrebbe essere questa: “Vedete? Ve l’avevo detto”.
La reazione dei teorici idealisti, invece, dovrebbe essere piena di (giustificata) rabbia: “com’è possibile che i funzionari governativi abbiano mentito?”.
Burocrati, think-tanks, professori, giornalisti, sedicenti statisti, uomini e donne in uniforme ….. ebbene, hanno tutti mentito? Com’è stato possibile?
Senza alcun dubbio una delle cause è l’assoluta mediocrità dei burocrati, mal-guidati dal fanatismo ideologico. Ma è anche possibile che ci sia una componente legata, in generale, alle persone comuni.
Sì, leggere il rapporto del WP potrebbe essere uno shock e quindi è proprio questo il momento giusto per guardarci allo specchio.
Come reagite, voi o le persone attorno a voi, quando la TV diffonde la foto di un bambino morto in Ucraina, Venezuela o Siria?
Nella mia vita da corrispondente politico e di guerra, da accademico e successivamente da editorialista, ho scoperto che due cose non cambiano mai.
La prima è l’assordante conformismo della burocrazia.
Idealisti, “liberali benestanti” e “neoconservatori senza interessi in gioco” sono i più petulanti nell’intervenire su questioni relative a terre lontane, con il loro maledetto ed ipocrita impulso al “buonismo a tutti i costi” e all’”altruismo di facciata”.
E’ il prodotto di una cultura senza spessore, che predica vuote assurdità (“vedrete, alla fine tutto andrà bene!”). Segna lo stato finale dell’universalismo liberale e dell’evoluzione sociale dell’umanità.
Pensateci.
La democrazia liberale è un sistema che funziona solo da poche centinaia di anni ed è stata perfezionata solo negli ultimi 70 — con gli ultimi 20, peraltro, caratterizzati da un potere unipolare [quello degli Stati Uniti].
Un salto nel tempo? Pensare di aver raggiunto in modo irreversibile l’apice dell’organizzazione sociale è un concetto affascinante dal punto di vista di uno storico. Ma è anche un pensiero arrogante.
Tuttavia, se andate ad una qualsiasi conferenza accademica potrete sentire lo stesso “mantra”, la stessa assurdità: “le persone stanno morendo, dobbiamo fare qualcosa! Ogni guerra è una lotta esistenziale fra il bene e il male e tutto andrà bene solo se agiremo con urgenza”.
L’utopia non dovrebbe ispirare la politica estera
La seconda [cosa che non cambia mai] sono le persone dalle belle intenzioni.
Niente è più pericoloso. Nessuna di esse sarà mai vittima dei piani scervellati che hanno ideato, dalla droga alla giustizia riabilitativa, dall’intervento straniero alla guerra.
Sono come gli Eloi, per usare il romanzo di H.G. Wells [https://it.wikipedia.org/wiki/La_macchina_del_tempo_(romanzo)]: ingenui e semplici, non conoscono altro che un istintivo ed iper-emotivo “dobbiamo fare qualcosa!” per qualsiasi problema si ponga di fronte a loro.
Se chiudete gli occhi potreste persino sentire, in quelle parole, una sorta di frittura vocale.
Per ogni singolo “Grand Admiral Thrawn” ci sono centinaia di migliaia di questi “Ezra Bridgers”; per ogni “Tyrion Lannister” ci sono migliaia di “Daenerys Targaryens”.
L’unica differenza è che la vita reale non è quella di “Star Wars” o di “Game of Thrones” — e il finale, di solito, non è affatto felice.
Eppure, sull’Afghanistan hanno tutti torto. C’è del male, oggettivamente, in un mondo che non può essere né cambiato né discusso, ma solo bloccato o sterminato.
Esistono circostanze e società immutabili, situazioni non vincenti degne del “Kobayashi Maru” della politica mondiale [https://it.wikipedia.org/wiki/Test_della_Kobayashi_Maru], in cui le persone sono condannate per sempre al loro ciclo di esistenza.
L’accettazione impotente di un’inevitabile tragedia è la lezione fondamentale degli antichi greci.
Prendendo in prestito una frase di Henry Kissinger, “….. dovete essere consapevoli del fatto che ogni civiltà, alla fine, è crollata”, il minimo che possiate fare è di non accelerare il collasso facendo pessime scelte.
C’è un motivo per cui il conservatorismo parla di “conservazione delle risorse” e di “mantenimento dell’equilibrio di potere esistente”.
Non c’è niente di “conservatore”, in effetti, nel cercare di plasmare una [diversa] società [secondo i propri criteri].
Eppure, questi principi non vengono più insegnati né dai liberali né dai marxisti, i due bastardi del modernismo (derivati dagli stessi “genitori filosofici”) che sostengono di come sia possibile raggiungere lo stadio finale della storia.
A questo punto, non nutro più alcuna illusione sul fatto che si possa modificare una grande strategia senza combattere la burocrazia, il cuore sanguinante degli Eloi nelle città ed infine gli utopici idealisti che vogliono modellare il mondo, perché credono che le cose alla fine miglioreranno.
Il nemico è dentro di noi. E questo nemico non si fermerà fino a quando non riconosceremo la lezione impartita dalla storia: una politica estera universalista e dettata dai diritti umani è insostenibile.
L’insegnamento che possiamo trarre dai giornali afgani non riguarda l’inerzia della burocrazia. E nemmeno la miopia dei politici o l’arroganza del complesso militar-industriale. Ma, piuttosto, che le vecchie lezioni sono tornate ad essere nuove.
La causa alla radice delle disavventure afgane è la stessa dei giorni di Pericle. Il male primario è l’istinto idealistico al buonismo.
L’unipolarità [Stati Uniti] ha dato origine a compiacenze e disavventure ma, con il ritorno della rivalità fra grandi potenze, il prossimo equilibrio che andrà a formarsi farà di nuovo ricorso alla vecchia saggezza:
“gli istinti provvidenziali e il potere hanno il carattere della fatalità e negarlo è un atto di arroganza, perché le forze della natura sono poste al di là del controllo umano. L’equilibrio e la vera giustizia esistono solo fra potenze uguali e non esiste moralità maggiore del preferire l’ordine ad un caos sempre più grande”.
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Link Originale: https://thefederalist.com/2019/12/13/turning-feudal-afghanistan-into-switzerland-was-always-a-fools-errand/
Scelto e tradotto da Franco
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