Redazione: Non nascondiamo il senso d’ingiustizia che ci prende quando sentiamo parlare dell’Iran non come del paese che ha causato milioni di morti nel tentativo di esportare la “rivoluzione sciita”, ma come di una povera vittima della violenza altrui.
Nessuno parla, ad esempio, della feroce brutalità con cui vengono represse le minoranze etniche del Paese (che poi tanto “minoranze” non sono, visto che sono la metà dell’intera popolazione).
O della ferocia con cui un milione di ragazzi fu fatto saltare sulle mine per salvaguardare i mezzi militari (guerra Iran/Iraq).
Nessuno parla del sollievo di tanta parte della popolazione iraniana nell’apprendere della morte di un generale violento ed insensibile a qualsiasi confronto civile, se non con l’area più dura del regime iraniano.
Nessuno parla non diciamo della rinascita, ma della “riconsiderazione” dello Zoroastrismo (la prima religione monoteista al mondo) come affermazione della propria identità, a fronte del regime teista di Teheran.
Nessuno parla della popolazione che si sta ribellando alle drammatiche condizioni economiche del paese, che non si riconosce nell’integralismo islamico ma in valori grosso modo occidentali.
L’articolo è interessante anche perché indica, in coda, la strategia di una parte dell’Occidente (ma non dell’Europa): “soffiare” sulle etnie del paese per ridurne l’aggressività, sperando sia sufficiente per evitare sviluppi drammatici (ma le notizie che arrivano non sono confortanti).
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Peter Skurkiss per American Thinker
Quando si tratta dell’Iran, la maggior parte degli analisti e dei commentatori ne parla come se il paese fosse un omogeneo monolite popolato da Persiani.
Ma è un errore, non lo è.
Il “Tallone d’Achille” dell’Iran, che solo raramente viene menzionato, è la sua diversità etnica e religiosa.
Ciò è stato evidenziato da Brenda Shaffer della Georgetown University, fra i maggiori esperti delle minoranze etniche iraniane.
“”Shaffer sostiene che l’attuale popolazione iraniana — oltre 85 milioni di persone — sia composta da 42 milioni di Persiani, 27 milioni di Azeri, 8 milioni di Curdi, 5 milioni di Arabi, 2 milioni di turkmeni e 1,5 milioni di Baluchi””.
Di conseguenza, nonostante i Persiani dominino il paese e siano il più grande gruppo etnico, la metà della popolazione si definisce “non-persiana”.
Questi gruppi di “non-persiani” non sono felici e contenti. Ognuno ha i suoi costumi, la sua storia, la sua cultura e spesso la sua lingua.
Come ha ben osservato Peter Zeihan in The Accidental Superpower, la geografia dell’Iran non aiuta a consolidare il Paese, che è composto da montagne e valli montane.
“”Le persone in una valle di montagna non si identificano necessariamente con quelle della valle successiva, tanto meno con quelle ancor più lontane.
Mantenere tutti questi gruppi sotto la stessa autorità politica richiede un sistema rigido in grado di forzare l’unità, ragione per cui il moderno Iran ha un esercito composto da milioni di uomini.
L’Iran, in effetti, occupa militarmente il suo stesso territorio. L’esistenza di un grande esercito non è certo un’opzione, per l’Iran””.
Ilan Berman ha scritto che sono le Province dell’Iran, quelle lontane da Teheran, i luoghi dove l’identità etnica e la resistenza al Governo Centrale sono più forti.
Ogni volta che il “centro” è debole, la “periferia” cresce. E questo, in effetti, è ciò che sta accadendo.
“”Con l’inizio dell’attuale ciclo di disordini — dicembre 2017 — le enclavi etniche dell’Iran sono emerse come il più vibrante centro di resistenza al Governo Clericale.
A sua volta, il Regime Iraniano ha riservato la repressione più dura — dagli arresti di massa alle violenze di Stato — alle città abitate dalle minoranze etniche.
La brutalità della risposta ufficiale riflette quanto profondamente le Autorità Iraniane temano l’attivismo politico e il potenziale destabilizzante delle comunità etniche del paese.
Hanno buone ragioni per farlo. Nelle rivolte che hanno avuto luogo in varie Province del paese i movimenti etnici radicali sono emersi come una delle principali sfide alla sicurezza interna””.
Sfortunatamente per il Regime, ci sono gravi disordini anche nella Provincia del Khuzestan, al centro della produzione petrolifera dell’Iran.
Per avere un’idea di quanto l’Iran possa essere fragile, Berman ha scritto che l’iraniano-medio teme così tanto la frammentazione del paese da tacitare qualsiasi critica al brutale trattamento che Teheran riserva ai non-persiani delle province periferiche — anche se egli stesso sta soffrendo sotto la sferza del regime.
Non ci vuole di certo un genio geopolitico per rendersi conto di quanto l’Iran sia intrinsecamente vulnerabile.
I suoi nemici potrebbero considerare la divisione etnica del paese come un’opportunità per gettare i semi della ribellione all’interno dell’Iran.
E questa sarebbe una sorta di giustizia mistica.
E’ dagli anni ’70, in effetti, che l’Iran tenta di esportare la sua rivoluzione islamico-sciita negli altri paesi della regione, portando dolore e causando centinaia di migliaia di morti in Siria, Libano, Iraq, Israele e nei Paesi del Golfo attraverso i suoi “delegati”.
Questi paesi hanno dovuto spendere le loro energie e le loro risorse per rispondere alle iniziative iraniane. E’ stata essenzialmente una strada a senso unico ed un esercizio faticoso per coloro che ne sono stato oggetto.
Un paese dalle ampie risorse — diciamolo, Israele — potrebbe decidere che è tempo di ricambiare il favore e prendere sul serio l’obiettivo di destabilizzare l’Iran.
La logica parla chiaro. Se l’Iran fosse impegnato in patria dalla resistenza civile armata, sarebbe molto meno capace di causare problemi altrove.
Visto l’attuale panorama del paese, quest’obbiettivo potrebbe non essere così difficile da conseguire.
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Link Originale: https://www.americanthinker.com/blog/2020/01/the_achilles_heel_of_iran.html
Scelto e tradotto da Franco