Redazione: Sulla morte del Gen. Qasem Soleimani si stanno scontrando due tendenze.
La prima, di gran lunga la più diffusa, prevede una forte rappresaglia iraniana (uno per tutti, quest’articolo di Michael Snyder: http://theeconomiccollapseblog.com/archives/why-is-iran-flying-a-blood-red-flag-over-a-famous-mosque-that-is-directly-associated-with-the-mahdi).
L’altra, invece, prevede solo una reazione di facciata con i pompieri, Russia e Turchia (ma anche UE), a gettare acqua sul fuoco.
L’articolo che proponiamo s’iscrive a questa seconda tendenza, ma con una differenza sostanziale: il regime è ben conscio di non poter vincere una guerra aperta e, quindi, lui per primo non farà niente di sostanziale o di eccessivamente provocatorio.
Noi, a suo tempo, abbiamo creduto ad una guerra nel Golfo. Erano troppi i segnali perché ragionevolmente se ne potesse dubitare.
Poi, un po’ per volta le cose sono cambiate (impossibile elencarne le ragioni in questa sede) e noi, con onestà intellettuale, lo abbiamo rilevato.
Adesso, però, torniamo a pensarlo (sostanzialmente, non abbiamo mai smesso).
La Cina sostiene di aver vinto la “guerra commerciale” con gli Stati Uniti, la Germania il gasdotto sul Baltico lo sta realizzando, Macron fa la “mosca nocchiera”, decretando “la fine della Nato”.
Come potrebbe rispondere l’Amministrazione Trump?
Un evento macroeconomico catastrofico, una “botta inflattiva” conseguente al blocco di Hormuz, potrebbe piegare quei paesi il cui mercantilismo poggia sulla svalutazione artificiale della loro moneta (sulla questione petrodollari rimandiamo all’intervento di Mitt).
Pur consapevoli della drammaticità dell’evento, credevamo (e continuiamo a credere) che le conseguenze potrebbero portare alla fine dell’euro e dell’UE.
Aggiungiamo solo, a favore dell’opzione militare, l’influenza della lobby ebraica su tanti Senatori Repubblicani, con quello che ne consegue in termini d’Impeachment.
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Seth J. Frantzman per The National Review
L’uccisione del Generale Iraniano Qasem Soleimani e di un leader della milizia irachena ha messo in discussione l’opinione corrente che l’Iran sia un paese onnipotente, in grado di colpire tutto il Medio Oriente senza ripercussioni per sé stesso e per i suoi leader.
La decisione del Presidente Donald Trump è stata definita “sconsiderata” dai sostenitori dell'”Accordo Iraniano” di Barack Obama.
Il dubbio che ora si pone è se la capacità dell’Iran di costruire una sua ”area d’influenza”” non si basasse che sul solo timore di rappresaglie — che avrebbe impedito agli Stati Uniti e agli altri paesi di opporsi attivamente — piuttosto che sulla realtà.
Per decenni l’Iran ha prosperato sulla capacità di creare potenti “milizie delegate” in tutto il Medio Oriente, con Soleimani che ha svolto un ruolo-chiave nel riunire i vari gruppi di combattenti, dal Libano alla Siria e fino all’Iraq.
La sua morte potrebbe danneggiare la “sinfonia del potere” Iraniano, che lo vedeva come direttore d’orchestra.
L’opinione generale, tuttavia, è che l’Iran debba rispondere.
“La pressione su Teheran perché vendichi la perdita di una figura così importante sarà immensa”, ha sostenuto il Times di Londra.
Nel corso del tempo, l’Iran ha perso alcuni alleati-chiave.
Imad Mughniyeh, comandante in seconda di Hezbollah e alleato-chiave di Soleimani, fu ucciso in Siria nel 2008. Secondo quanto fu riferito, furono i Servizi Segreti israeliani e statunitensi a guidare la sua uccisione.
È particolarmente interessante il fatto che Soleimani — in una recente intervista sul suo ruolo nella guerra del 2006, lanciata da Hezbollah contro Israele — abbia detto di aver lavorato a stretto contatto con Mughniyeh e Hassan Nasrallah (leader di Hezbollah),
Ora due di quei tre sono morti.
Ci sarebbe dovuta essere una massiccia rappresaglia di Hezbollah per la morte di Mughniyeh, ma questa non si è mai materializzata.
Allo stesso modo, l’operazione israeliana “Black Belt” contro la “Jihad Islamica” appoggiata dall’Iran (lo scorso Novembre a Gaza), ebbe inizio con l’uccisione di Baha Abu al-Ata.
La “Jihad Islamica” si vendicò con il mero lancio di un razzo, che Israele intercettò facilmente.
L’Iran è in grado di diffondere il caos in tutto il Medio Oriente, ma deve scegliere con saggezza cosa fare subito dopo.
Le sue risorse comprendono Hezbollah — milizie con base in Siria [e Libano] che lavorano per il regime di Assad e per l’Iran — e oltre 100.000 membri delle milizie sciite filo-iraniane in Iraq.
L’Iran ha anche trasferito missili e droni ai ribelli Houthi dello Yemen e nel 2018-19 alle milizie sciite in Iraq, le “Popular Mobilization Units”.
Tuttavia, i missili da soli non vincono le guerre. Hezbollah ha un arsenale di circa 150.000 missili, che però sono privi della “guida di precisione” che li renderebbe una minaccia strategica per Israele.
L’Iran dispone anche di droni (come quelli usati per attaccare l’Arabia Saudita a settembre), missili da crociera e sciami di piccole imbarcazioni che usa per ostacolare la navigazione.
Tuttavia, nessuna delle tecnologie iraniane — né il suo “Islamic Revolutionary Guard Corp” — costituisce una minaccia così grave, almeno per un avversario che voglia davvero affrontare l’Iran.
La minaccia consiste più che altro nell’usare la forza quando i suoi avversari non vogliono essere attaccati.
E’ questo il motivo per cui certe tattiche, come il rapimento di un accademico o l’attacco ad una petroliera con bandiera del Regno Unito, siano fra i suoi metodi preferiti.
Quando ha usato i suoi “missili di precisione”, lo ha fatto contro l’ISIS e contro un gruppo dissidente curdo.
Dalla Siria, Soleimani ha ideato diversi piccoli attacchi contro Israele: un fallito attacco di droni ad agosto, tre attacchi missilistici nel 2019 e un “razzo a salve” nel 2018.
In risposta, nel solo 2019 Israele ha colpito 54 bersagli, secondo le “Forze di Difesa Israeliane”. Inoltre, ha effettuato oltre 1.000 attacchi aerei su obiettivi iraniani in Siria.
Se facciamo il bilancio degli attacchi, quando sceglie di combattere militarmente l’Iran generalmente perde.
Il genio di Soleimani è consistito nell’aver costruito l’influenza dell’Iran un poco per volta, principalmente fra gli sciiti.
Ha equipaggiato le milizie con armi leggere e pochi veicoli corazzati, gettando le basi per il traffico di armi iraniane, come i droni, la difesa aerea e i missili balistici.
Ma paragonare Soleimani al Generale nazista Erwin Rommel — che disponeva di un esercito e di carri armati — è pura follia.
La narrazione prevalente sull’”Accordo Nucleare” con l’Iran era che, se non ci fosse stato, solo la guerra avrebbe potuto fermare il programma nucleare dell’Iran.
Tuttavia, nonostante decenni di lavoro sul suo programma nucleare, l’Iran la “Bomba H” ancora non ce l’ha.
Non è chiaro, in realtà, se ne abbia mai voluto una. Forse, voleva solo un accordo che garantisse al paese la copertura politica per dominare Iraq, Siria, Libano e Yemen.
L’Iran prospera con le minacce, gli attacchi li usa giudiziosamente solo per ostacolare ed intimidire i “nemici”.
Ma l’Iran non vuole la guerra. Il regime iraniano sa che una “grande guerra” comporterebbe il suo crollo.
Il regime iraniano ha ucciso 1.500 manifestanti a novembre, proprio perché temeva la crescente rabbia della popolazione iraniana.
Dove ha avuto luogo, in effetti, lo spontaneo e drammatico “scoppio di rabbia” per la morte di Soleimani? A ben vedere, non ci sono state le proteste di milioni di uomini in Iraq, Siria, Libano e Iran.
Questa è la prova che il ruolo dell’Iran è destinato ad indebolirsi e che, se anche rispondesse, dovrebbe decidere molto saggiamente dove e come farlo.
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Link Originale: https://www.nationalreview.com/2020/01/qasem-soleimani-killing-breaks-myth-iran-power/
Scelto e tradotto da Franco