George Neumayr per The American Spectator
In uno dei suoi ultimi discorsi, prima di abdicare nel 2013, Papa Benedetto XVI denunciò il liberalismo che era penetrato nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
In quel liberalismo egli trovò “tanti problemi e tanta miseria: seminari chiusi, conventi chiusi, la banalizzazione della liturgia”.
Ma poi consegnò la Chiesa a quegli stessi liberali e a un successore votato alla liberalizzazione della Chiesa.
Poco dopo aver assunto il potere, Jorge Bergoglio diede un primo colpo alle idee del suo predecessore.
Disse ad un intervistatore che, nonostante il Concilio “Vaticano II” avesse incoraggiato l’apertura alla “cultura moderna”, “molto poco era stato fatto in quella direzione”.
Un difetto che promise di correggere: “Ho l’umiltà e l’ambizione di voler fare qualcosa”.
Ma, per accelerare la rivoluzione liberale nella Chiesa, Papa Francesco doveva assicurarsi che il suo predecessore fosse messo sotto controllo.
Ci riuscì facendo vivere Benedetto all’interno del Vaticano — una soluzione progettata per mettergli la museruola: l’equivalente di una prigione.
La disonestà della “detenzione di fatto” si è palesata di nuovo la scorsa settimana, quando è venuto fuori che il suo segretario, senza alcun dubbio portatore di ordini provenienti dall’alto, ha fatto pressione su Benedetto per rimuovere il suo nome da un libro sul celibato clericale, scritto dal Cardinale Robert Sarah.
Il segretario, l’Arcivescovo Georg Gänswein, è in effetti una specie di carceriere che fa la spola fra Papa Benedetto e Papa Francesco. Si dice che trascorra mezza giornata con uno e l’altra metà con l’altro.
Il Cardinale Sarah ha fornito un’ampia documentazione a dimostrazione del fatto che Benedetto aveva acconsentito al contenuto del testo, contrario ad allentare il divieto sui preti sposati.
Ma, visto che i media stavano presentato il libro come un atto polemico verso Papa Francesco (che vuole autorizzare i preti sposati nella regione amazzonica dell’America Latina), Gänswein ha cominciato a dare di matto, bullizzando Benedetto perché togliesse la sua firma.
Ma il Cardinale Sarah si è risentito ed ha chiamato Gänswein, rinfacciandogli la disonestà delle sue trame. Comunque, per docilità verso il Papa, ha infine accettato questa finzione.
È ovvio che questa vicenda prefiguri l’autorizzazione del Papa ai preti sposati. Altrimenti, perché mai il Papa si sarebbe preoccupato di questo testo che esplicitava, semplicemente, una posizione che Sarah e Benedetto hanno sempre avuto nel corso degli anni?
Il risultato di questo confuso viavai è che Benedetto resta prigioniero del Vaticano, mentre il nuovo Papa continua a spazzar via la sua eredità.
Va detto che la passività di Benedetto ha aiutato Gänswein e Papa Francesco a controllarlo — un problema che aveva preceduto la sua abdicazione, come ha sottolineato l’arcivescovo Carlo Viganò in una recente lettera.
Secondo Viganò, Gänswein ha sempre manipolato Benedetto:
“È tempo di rivelare il controllo che è stato abusivamente e sistematicamente esercitato dall’Arcivescovo Gänswein sul Sommo Pontefice Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato. Gänswein filtra abitualmente tutte le informazioni, assumendosi il diritto di giudicare se e che cosa dire al Santo Padre”.
Nel selezionare Gänswein come ”balia” di Benedetto, Papa Francesco agì con astuzia.
Gänswein, fin dall’inizio, era sempre stato dalla parte dei “cattivi”.
Tutte le comunicazioni del Vaticano, volte a sostenere la “continuità” fra i due Papi (che Gänswein ha fatto di tutto per promuovere), sono false.
Non sono e non sono mai stati in una vera continuità.
Ricordiamo, a titolo d’esempio, quando il Vaticano cercò di manipolare Benedetto perché lodasse una serie di opuscoli su Papa Francesco, pubblicando una falsa dichiarazione che lo faceva sembrare entusiasta.
Ma poi venne fuori che Benedetto aveva criticato alcuni degli autori degli opuscoli, perché a suo tempo erano stati suoi critici accaniti!
Benedetto era inorridito dal fatto che il Vaticano avesse scelto gli autori fra un gruppo di teologi che aveva precedentemente cercato d’imbrattarlo.
Uno dei compiti di Gänswein, in effetti, consiste nello stroncare sul nascere i problemi di cattiva comunicazione — in ogni caso i due Papi devono sembrare come “due piselli in un baccello”.
Come nel caso del libro di Sarah, Papa Francesco e i suoi galoppini stanno chiaramente sfruttando la debolezza fisica di Benedetto per “prenderlo a scappellotti”, conseguenza della ribellione contro lo “spirito liberalizzatore” del sinodo amazzonico.
Il prigioniero del Vaticano si era allontanato dalla sua cella, per così dire, e questo a loro non piaceva.
La scorsa settimana i sicofanti papali, in preda al panico, hanno detto alla stampa che era tempo che la Chiesa adottasse delle “regole per gli ex papi”, riducendo la loro libertà di parola.
Non importa che questa proposta venisse proprio da quei teologi liberali che chiedevano il diritto di dissentire dall’insegnamento della Chiesa sotto il pontificato di Benedetto XVI.
Gridavano alla “mancanza della libertà di parola nella Chiesa” ma, ora, vogliono reprimere la libertà di parola del Papa in pensione.
Nessuno è più intollerante di un “liberale tollerante” che sale in cima a un’Istituzione. Appena in carica, nega agli altri ciò che una volta rivendicava per sé stesso.
E’ questo il fenomeno cui stiamo assistendo nella Chiesa.
Papa Francesco e i suoi seguaci salirono al potere cavalcando il “diritto al dissenso” e ora mantengono il potere negando questo diritto agli altri.
Se l’opposizione conservatrice avesse un numero maggiore di Cardinali Viganò, la rivoluzione di Papa Francesco potrebbe essere bloccata. Ma il candore e il coraggio di quel Cardinale scarseggiano nell’episcopato.
Basti pensare al Cardinale Sarah che, seppur più volte umiliato (Papa Francesco, nel 2016, licenziò ventisette membri del suo dipartimento, la “Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti”), non ha voluto comunque scuotere troppo la barca.
I membri della cerchia di Francesco non sono altrettanto timidi. “Dopo la lunga marcia verso il papato” — ha detto il Cardinale tedesco Walter Kasper — “ora abbiamo il vento alle spalle”.
Le dimissioni di Benedetto hanno spianato la strada alla Chiesa che egli temeva (quella disposta a scambiare gli Insegnamenti con lo spirito del tempo), aprendo la strada al Papa che ne incarnava lo spirito.
Francesco personifica l'”ermeneutica della politica” che, secondo Benedetto, aveva corrotto la Chiesa post-Vaticano II.
Francesco è un gesuita eterodosso, altamente politico, che Benedetto aveva ripetutamente censurato quando era a capo della “Congregazione per la Dottrina della Fede”, sotto Papa Giovanni Paolo II.
La pensione di Benedetto non è di quelle felici. Ha visto scomparire gran parte di quel “progresso nella continuità” che aveva caratterizzato il suo papato, per essere sostituito da approcci eterodossi di questo o di quell’altro tipo.
All’inizio del suo pontificato, aveva ammonito sulla “dittatura del relativismo”. Ma ora sta terminando la sua vita imprigionato da un Papa che abbraccia quello stesso relativismo.
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Link Originale: https://spectator.org/the-prisoner-of-the-vatican/
Scelto e tradotto da Franco
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