Redazione: Le Primavere Arabe sono state fra i più grandi “regali all’umanità” della coppia meno rimpianta di tutti i tempi, Obama/Clinton.
L’articolo è davvero straordinario nella sua schiettezza. Sostiene quello che in molti hanno sempre pensato, senza avere il coraggio di dirlo.
In certi paesi dalle società teocratiche e tribali, dalla cultura asimmetrica e poco diffusa, la “democrazia occidentale” è solo un feticcio della nostra arroganza.
In Tunisia, ad esempio, si stava meglio quando si stava peggio e, forse, un vituperato ed odioso Principe Saudita potrebbe essere la speranza più grande per la laicizzazione (molto graduale) non solo del suo paese.
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John R. Bradley per The Spectator
Dopo un decennio dall’inizio delle Primavere Arabe è difficile trovare delle buone notizie, ovunque si voglia guardare.
Contrariamente ad Asia, America Latina ed Africa sub-sahariana, in quei paesi la povertà estrema è aumentata.
Sono diminuiti sia la crescita economica che gli investimenti esteri. La disoccupazione, specialmente fra i giovani, è cresciuta. Gli standard dell’istruzione sono crollati e c’è meno libertà di stampa e di associazione.
Lo scorso anno, un sondaggio della BBC ha scoperto che più della metà degli arabi vuole emigrare.
Nei paesi i cui autocratici capi furono rovesciati — Tunisia, Libia, Egitto e Yemen — c’è una forte nostalgia per l’era pre-rivoluzionaria.
In Egitto (il paese arabo più brutalmente repressivo dai tempi dell’Iraq di Saddam Hussein), questa settimana, qualsiasi citazione pubblica dell’anniversario della rivolta di Tahrir [2011] è stata pesantemente scoraggiata.
Wael Ghonim, l’ex dirigente egiziano di Google (la cui pagina Facebook, che mostrava le torture della polizia, favorì la rivoluzione), ora vive in un autoimposto esilio in California.
Ma, nei recenti video sui social media, egli assomiglia non tanto ad un fanatico della tecnologia, quanto ad uno delle decine di migliaia di prigionieri politici che languiscono nelle sporche carceri dell’Egitto.
La testa e le sopracciglia sono rasate grossolanamente, è dolorosamente scarno e le sue osservazioni sono insolitamente cariche d’imprecazioni.
Questo commento, “Wael Ghonim ha annunciato ufficialmente la morte della Rivoluzione del 25 gennaio”, è forse il più toccante fra le migliaia che sono pervenuti.
Un altro commento afferma che il suo “incredibile cambiamento riflette ciò che è già successo a tutti noi ….. abbiamo aspettato e sofferto fino a quando abbiamo perso la speranza. Ora siamo tutti perdenti”.
L’Egitto, almeno, ha un Governo che funziona. La Libia, invece, è ancora alle prese con una guerra civile fra due regimi rivali, sostenuti da diverse potenze straniere. Come lo Yemen, che sta affrontando la peggior carestia al mondo.
La Siria sta cominciando solo adesso a riprendersi da una delle guerre civili più brutali della storia mentre, in Iraq, lo sconvolgimento è cominciato ad ottobre, causando da allora più di 500 morti e 25.000 feriti fra i manifestanti.
In Libano, invece, i manifestanti sono stanchi della democrazia e chiedono la sostituzione del Governo con un’Amministrazione Tecnocratica fatta di esperti nominati [ovvero non eletti].
In Tunisia, la cui storia viene considerata come l’unica di successo, ci sono Elezioni regolari ma sono gli islamisti — esperti nel mobilitare le minoranze che li sostengono — a vincerle.
Solo il 41% degli elettori registrati si è preso la briga di andare a votare nelle ultime Elezioni Parlamentari e Presidenziali. Il Presidente Kais Saied, quindi, ha potuto vincere a valanga.
Era appoggiato dai Fratelli Musulmani (ovvero dalla sua propaggine tunisina, Ennahda) e, una volta eletto, ha nominato il suo leader, Rached Ghannouchi, come nuovo Presidente del Parlamento.
Saied ha fatto una campagna per impedire che uomini e donne non collegati fra loro [matrimonio, parentela etc.] socializzassero in pubblico — affermando che esiste una cospirazione mondiale per minare il paese, trasformando i suoi giovani in omosessuali.
I suoi sostenitori hanno celebrato la vittoria cantando per le strade slogan anti-israeliani.
Un decennio di governi islamisti ha creato disperazione ed impotenza. Un sondaggio condotto da Gallup, subito dopo le Elezioni Parlamentari, ha svelato che il 64% dei tunisini non ha fiducia nel Governo nazionale, il 79% afferma che la corruzione del Governo è molto diffusa (ben superiore a quella dei tempi di Ben Ali) ed il 76% afferma che sono tempi brutti per trovare un lavoro (la disoccupazione è al massimo storico).
La Tunisia è stato l’unico Paese Arabo a spendere più denaro per l’istruzione che per la difesa ma ora, conseguenza di un’impennata senza precedenti del terrorismo, il 15% del bilancio è destinato alla sola sicurezza interna.
I circa 6.000 tunisini che a suo tempo si unirono ai ranghi dello Stato Islamico — il più alto tasso pro-capite al mondo — non furono attivamente scoraggiati dal farlo e, una volta tornati a casa, stanno provocando il caos.
Ignorato dalla copertura mediatica a tinte rosa della transizione verso la democrazia, è il fatto che sotto l’autocrate Ben Ali la Tunisia fosse il Paese Musulmano più laico e socialmente progressista.
L’elezione di Saied a Presidente è il chiodo finale sulla bara di quell’eredità.
Il velo e la barba furono a suo tempo banditi come simboli arretrati del dogma religioso ma, in questi giorni, sono entrambi tornati di uso comune.
Anche la prostituzione era legale e regolamentata, ma oggi tutte le “case di tolleranza” sono chiuse, tranne una.
Anche l’aborto, ai tempi di Ben Alì, era possibile dietro semplice richiesta. Ma ora è fortemente limitato, conseguenza del drastico taglio dei finanziamenti e del fatto che sia diventato un nuovo tabù sociale.
Le Moschee erano chiuse al di fuori dell’orario di preghiera. Ma ora nessuno è mai troppo lontano da non sentire i versetti del Corano diffusi dagli altoparlanti.
La grande ironia della Primavera Araba è che Ben Ali sia fuggito da Tunisi per recarsi a Riyadh.
Mentre il suo paese veniva trasformato in un Paese islamico, il Principe Ereditario Saudita, Mohammed bin Salman [MbS], assumeva il ruolo di leader del cambiamento progressista.
Per fortuna, se la Primavera Araba ha insegnato qualcosa a Bin Salman, è che una rapida transizione verso la democrazia porta alla catastrofe.
La chiave per la trasformazione dell’Arabia Saudita è mantenere uno stretto controllo sul dissenso politico.
Tuttavia, il rifiuto del wahhabismo (in Arabia Saudita) e del suo uso come strumento di soft-power all’estero (per promuoverlo, i Sauditi hanno speso decine di miliardi di dollari, a partire dagli anni ’70 ), è il cambiamento ideologico globale più positivo dalla caduta del comunismo.
Dai concerti pop alle donne che possono guidare, dalle mostre d’arte al turismo di massa, dalla fine della segregazione sessuale alla neutralizzazione della Polizia Religiosa ….. per quanti vivevano nel Regno, quando il Wahhabismo incombeva su tutto come una nuvola tossica, i cambiamenti sono da considerarsi “mozzafiato”.
Mentre l’Arabia Saudita si prepara ad ospitare il vertice del G20 alla fine di quest’anno, le continue richieste di sanzioni culturali ed economiche per l’uccisione dell’Agente Segreto della Fratellanza Musulmana, Jamal Khashoggi — hanno dato nuovo slancio alle voci secondo cui il Principe Ereditario potrebbe aver violato il telefono di Jeff Bezos.
Queste voci sono un abominio.
Ho parlato contro le sanzioni imposte all’Iran e contro la campagna BDS [boicottaggio, disinvestimento e sanzioni] verso Israele e, per lo stesso motivo, aggiungo all’elenco l’Arabia Saudita: le sanzioni feriscono solo la gente comune.
In mezzo alla disperazione diffusa in tutta la Regione, Bin Salman è l’ultima grande speranza araba.
Nella sua audace spinta verso la modernizzazione, egli ha il sostegno della stragrande maggioranza della popolazione Saudita. È giunto il momento di dargliene atto.
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Link Originale: https://www.spectator.co.uk/2020/01/ten-years-on-the-arab-spring-has-only-benefited-the-islamists/
Scelto e tradotto da Franco
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