Redazione: Approfondiamo gli aspetti sulla mortalità da COVID19, con alcune riflessioni da insider oltre che da medico sul campo, come spiegato dai dr. Brenna e Prini. Certo, alcuni numeri di mortalità sembrano non tornare, in generale. Ad esempio quelli italiani in confronto alla vicina Svizzera, dove – vi ricordo – il Medico Cantonale del Ticino ha chiarito in video senza tema di smentita che i tamponi si fanno solo ai casi che hanno sintomi (dunque non ci si aspetta ci siano stati più tamponi effettuati a pazienti rispetto all’Italia, ndr) ossia ai casi conclamati. In soldoni, a fronte di un rapporto di popolazione Italia vs. Svizzera di 7X (ossia l’Italia ha ca. 7 volte più abitanti della Svizzera), la Confederazione ha un numero di casi a oggi pari a 21’562 (riproporzionati vs. Italia, 7X= 150’934 casi) con 734 morti (riproporzionati vs. Italia, 7X= 5’138 decessi), quasi tutti anziani e debilitati. L’Italia invece in comparazione, alla stessa data, ha un numero di casi pari a 128’948 e un numero di morti pari a 15’887. Come capite la Svizzera ha molti più casi dell’Italia ma decisamente molti meno morti, in proporzione. Come mai? Facile derivare che l’extra dose di morti in Italia vs Svizzera dipende in massima parte dai morti in eccesso Lombardi rispetto al resto d’Italia; ossia dai morti di Bergamo e Brescia prima di tutto, due zone – Bergamo e Brescia appunto – che ben più piccole e popolate e meno densamente popolate del capoluogo Lombardo, hanno più morti di Milano. Difficile trovare spiegazioni plausibili per tale “anomalia planetaria“, come l’hanno definita gli esperti… (a meno di grossolani errori di prevenzione e procedurali specificatamente in Lombardia, teoricamente il fiore all’occhiello della sanità italiana; o a causa di altre ragioni ad oggi “non citate”, …). Chiaramente se la comparazione non torna tra Italia vs. Svizzera, addirittura ci sono differenze che tendono verso ca. un ordine di grandezza di differenza – ossia torna ancora meno” – tra Svizzera e Lombardia, uno stato ed una regione per altro confinanti e storicamente assimilabili per la qualità della vita ed i servizi ai cittadini (la Lombardia da decenni è tra le regioni più ricche d’Europa, assieme alla Baviera, ndr). I dr. Brenna e Prini approfondiranno tecnicamente l’argomento “caldo” – ed in futuro ritengo “caldissimo” – della mortalità da COVID19, di seguito.
Ulteriori riflessioni sulla mortalità da COVID-19 dopo i dati dell’Istituto Cattaneo
(1) Ieri, in una intervista televisiva, il presidente del Center of Disease Control (CDC) di Atlanta, Dr. Robert Redfield, ha ribadito che “As many as 25% of people infected with the new coronavirus may not show symptoms” spazzando via le voci prive di fondamento circolate sulla stampa circa l’esistenza di un fantomatico numero di pazienti asintomatici doppio o triplo rispetto ai contagiati totali da SARS-COV-2. https://www.npr.org/sections/health-shots/2020/03/31/824155179/cdc-director-on-models-for-the-months-to-come-this-virus-is-going-to-be-with-us?t=1585857323255 I dati del CDC sono in buon accordo con quelli presenti in letteratura che abbiamo usato finora stimando, per l’appunto, in un 20-30% il numero dei pazienti contagiati inizialmente asintomatici che rimangono tali nel tempo. Quindi se è indubbio che buona parte di tali pazienti asintomatici sfuggiranno alla diagnosi e che quindi la letalità di SARS-COV-2 è sovrastimata, l’entità dell’errore potrà ridurre di 1/4 o nella migliore delle ipotesi di 1/3 i valori percentuali di mortalità finale https://www.mittdolcino.com/wp-content/uploads/2020/03/La-mortalit%C3%A0-%E2%80%9Cfinale%E2%80%9D-da-COVID-19-in-Italia-unu2019analisi-sui-dati-ragionata-2.pdf. (2) La mortalità “in atto” (decessi / totale contagiati) alla data dello 02/04/2020 in Italia è salita ancora: siamo al 12,1% (13915/115242). E’ evidente che i numeri di questa epidemia cominciano ad apparire davvero mostruosi, tenendo conto che tale 12,1% si riferisce alla mortalità “in atto”, e che per ottenere la percentuale della mortalità finale, dovranno essere aggiunti ai 13915 decessi cumulativi alla data odierna, tutti i decessi che avverranno tra i casi ancora attivi (83049) e che sono ancora ben il 72,1% sul totale dei contagiati (83049/115242). (3) Non bastasse, sappiamo che in un recente studio, l’Istituto Cattaneo di Bologna (qui il link dello studio https://www.cattaneo.org/wp-content/uploads/2018/03/03-04-01-Covid19-ver-03.pdf) ha registrato il numero totale dei decessi in Italia nel periodo dal 21/02/2020 al 21/03/2020 confrontandoli con la media dei decessi osservati nello stesso periodo dell’anno nei 5 anni precedenti. Tale dato è stato calcolato controllando “solo” 1084 comuni italiani sugli oltre 8000 totali (quindi i dati sono *sottostimati*) e in più arrivano fino alla data del 21/03/2020 (quindi prima della settimana di picco dell’epidemia). Rispetto ai dati ufficiali della Protezione Civile, che alla data del 21/03/2020 conteggiava 4825 decessi in pazienti COVID, lo studio ha evidenziato nel periodo esaminato un numero di morti in eccesso rispetto agli anni precedenti notevolmente maggiore: ben 8740 sul campione di 1080 comuni (ovvero su 12,3 milioni di abitanti e non sul totale di 60,4 milioni di italiani!). Nello studio infatti si legge “Anche sotto un assunto di massima prudenza, in base al quale nei rimanenti 7 mila comuni non dovessero rivelarsi scostamenti rispetto alla mortalità media degli anni precedenti, il numero di decessi riconducibili a Coronavirus in Italia risulta comunque il doppio di quello a cui si arriva sulla base dei numeri relativi ai pazienti deceduti positivi al test per Covid-19, comunicati dalla Protezione Civile.” Tale eccesso di mortalità per gli addetti ai lavori NON è assolutamente sorprendente, se non nell’entità. Infatti sappiamo che accade quasi ogni anno che il CDC di Atlanta, incrociando le segnalazioni pervenute sui decessi dovuti all’influenza con i dati sulla mortalità complessiva durante la stagione influenzale, riveda al rialzo la stima della mortalità concludendo che una quota di decessi dovuti all’influenza non sono stati rilevati come tali (Iuliano et al. Lancet, Volume 391, ISSUE 10127, P1285-1300, March 31, 2018). Peraltro, è verosimile a questo punto che lo scarto rilevato dall’Istituto Cattaneo non solo si sia confermato nella settimana successiva al 21/03/2020, ma si sia accentuato nei giorni dal 21 al 29 marzo, quelli attorno al picco dell’epidemia. Possiamo dunque concludere che alla data del 02/04/2020 la *reale* mortalità “in atto” non sia quindi il 12,1%, ma almeno il doppio, ovvero che sia superiore al 20%. I dati forniti dall’Istituto Cattaneo consentono di rigettare definitivamente e senza appello come illogico espediente privo di qualsiasi fondamento lo scorporo dal computo delle morti da COVID-19 dei pazienti con altre patologie (operando un distinguo artificioso tra morti *per* e morti *con* Coronavirus) come accade in Germania: se esistesse davvero un numero importante di pazienti deceduti *con* coronavirus, ovvero nei quali il riscontro della positività a SARS-COV-2 è solo una fortuita coincidenza che nulla ha a che vedere col decesso, la mortalità da COVID-19 comunicata dalla Protezione Civile avrebbe dovuto rivelarsi SUPERIORE e non NETTAMENTE INFERIORE alla mortalità in eccesso rispetto agli anni precedenti riscontrata dall’Istituto Cattaneo. Ergo, quanto sia campato per aria l’approccio negazionista tedesco nel calcolare la mortalità da COVID-19 è ben reso dal fatto che, seguendo tale linea di ragionamento, un cardiopatico che si schianti e muoia in un incidente d’auto non sarebbe da computare tra i morti sulle strade perché cardiopatico! Peraltro, la percentuale di mortalità in atto bassissima fornita dalla Germania (1,3%, 1104/84688) risulta sempre più ridicola alla luce dei dati sulle mortalità in atto che giungono dagli altri maggiori stati europei con l’avanzare della pandemia (Spagna 9,2%; Francia 7,6%; Olanda 9,1%; Belgio 6,7%; UK 8,7% https://www.worldometers.info/coronavirus). (4) Alla luce di quanto detto finora, inizia a spiegarsi (e a colmarsi almeno parte) il grandissimo scarto che stiamo osservando in Italia tra mortalità “in atto” e mortalità sui casi chiusi, definita come deceduti su (deceduti + guariti). E’ evidente infatti che, *alla fine dell’epidemia*, le percentuali dei due tipi di mortalità DOVRANNO COINCIDERE. Pertanto, nei prossimi mesi di pandemia (che, ricordo, tra alti e bassi potrebbero anche essere dodici), ciò che osserveremo sarà un convergere delle due curve. Quale delle due si modificherà di più per andare ad “incontrare” l’altra? Ovvero, in altre parole, la convergenza finale tra le due curve avverrà in zona 10%, 20% o 30%? Proviamo a ragionare. La mortalità sui casi chiusi prende in considerazione solo i casi clinici che hanno già avuto un esito definitivo su un campione di popolazione (guarigione o decesso) e pertanto non è falsata né dal mancato computo dei decessi futuri nel campione in atto (come la mortalità in atto), né dal mancato rilevamento dei decessi messo in luce dall’Istituto Cattaneo (che avvengono al di fuori del campione di popolazione esaminato). Tuttavia è fortemente sovrastimata quando si ha un marcato superamento delle capacità ricettive dei reparti di terapia intensiva e ospedalieri di un dato sistema sanitario (che è ciò che è accaduto e sta accadendo in Italia). In tali sfavorevoli condizioni, un numero significativo di malati che avrebbero potuto guarire se curati in modo adeguato dal sistema sanitario, finiscono invece computati nel numero dei morti. Inoltre, è opportuno precisare che la mortalità sui casi chiusi può essere comunque inizialmente sovrastimata o sottostimata anche nel caso in cui la patologia oggetto del calcolo richieda, rispettivamente, un tempo più lungo per guarire che per morire o un tempo più lungo per morire che per guarire. I malati di COVID-19 ricadono nella prima eventualità, in quanto è necessario in media un tempo per guarire più lungo che per morire. Nei diversi studi presenti in letteratura, infatti, il tempo medio dai primi sintomi al decesso è attorno a 10-16 giorni, mentre il tempo medio dai primi sintomi alla guarigione è attorno a 24-28 giorni (J Korean Med Sci. 2020 Mar 30;35(12):e132; Chen et al., BMJ, 368, m1091 2020 Mar 26; Han et al., Clin Infect Dis 2020 Mar 30). Quindi se da un lato la mortalità “in atto” è sottostimata (alla luce dei dati dell’Istituto Cattaneo), dall’altra la mortalità sui casi chiusi da COVID-19 tenderà ad essere sovrastimata. Di quanto è difficile dirlo: resta il fatto che da oltre 20 giorni il dato è particolarmente costante e oscilla tra il 45% e il 43%. Anche dovesse calare in modo significativo nelle prossime settimane, alla luce dei dati attuali è davvero difficile immaginare che le percentuali delle due diverse stime della mortalità possano incontrarsi su valori molto inferiori al 20%. (5) Teniamo a mente che le epidemie di SARS-COV-2 nei diversi paesi europei NON sono cronologicamente sincronizzate. l’Italia è il paese che per primo ha avuto un’esplosione di casi di COVID-19. Gli altri paesi europei sono “in ritardo” rispetto all’Italia di un lasso di tempo pari a 9-10 giorni. Pertanto, quando confrontiamo le mortalità in atto tra diversi paesi è doveroso tenerne conto, soprattutto alla luce del fatto che in Italia e in Europa le mortalità in atto hanno mostrato di aumentare giorno per giorno durante l’epidemia. Non possiamo affermare con certezza che il “distacco” tra il 12,1% dell’Italia e i valori compresi tra 6,7% e 9,2% degli altri paesi europei verrà colmato completamente nei prossimi giorni. Ma se confrontiamo la mortalità italiana in atto di 10 giorni fa (23/03/2020) con quella Spagnola di oggi (02/04/2020), ci accorgiamo che sono, rispettivamente 9,5% (6077/63927) e 9,2% (10096/110238). Insomma, si equivalgono, cosa che ci suggerisce che se è vero (com’è vero) che gli alti tassi di mortalità osservati in Lombardia (e dunque in Italia) sono in parte dovuti al superamento delle capacità ricettive dei reparti ospedalieri di terapia intensiva (e non) a causa dei numeri dell’epidemia, lo stesso meccanismo si sta verificando e continuerà a verificarsi anche negli altri paesi europei, in parallelo all’aggravarsi dell’epidemia. (6) Alla luce di quanto sopra, è ormai davvero difficile pensare che la virulenza e la letalità di SARS-COV-2 del ramo italiano/europeo https://www.mittdolcino.com/wp-content/uploads/2020/03/La-mortalit%C3%A0-%E2%80%9Cfinale%E2%80%9D-da-COVID-19-in-Italia-unu2019analisi-sui-dati-ragionata-2.pdf non siano state in qualche modo accentuate dalle mutazioni che lo hanno caratterizzato rispetto ai ceppi circolati nei vari paesi asiatici tra febbraio e marzo o nella Cina eccetto Hubei/Wuhan. (7) Permettetemi uno sfogo finale, da medico, con più di vent’anni di anzianità lavorativa. Sono 13 anni che tagliamo la spesa sanitaria nazionale rispetto al PIL in modo continuo al punto che già in condizioni normali (senza nessuna pandemia in corso) i posti letto per i pazienti cronici sono scomparsi e i posti letto per acuti sono appena sufficienti. Negli ultimi 10 anni la capacità assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si è ridotta dal 92% al 77% https://www.assidai.it/spesa-sanitaria-italia-europa e la spesa sanitaria è rimasta inchiodata a fronte dell’invecchiamento della popolazione e all’aumento dei costi delle terapie a prezzi correnti. In altre parole, “Gli aumenti registrati in questo periodo non sono stati sufficienti a tenere il passo con l’inflazione. Se si valuta la spesa in termini reali, si registra un calo che l’ha riportata attorno ai valori del 2004.” https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-l-evoluzione-della-spesa-sanitaria. Il tutto, mentre, non dimentichiamolo le dinamiche della spesa negli altri paesi europei seguivano andamenti diametralmente opposti che hanno aperto una forbice importante tra l’Italia e i paesi più importanti dell’Unione Europea (dati OCSE 2019, quota spesa sanitaria come percentuale del PIL Germania 11,3%, Francia 11,5%, media UE 9,6%, Italia 8,9%) https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf Non c’è da stupirsi dunque se il “Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale”, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2006, è stato aggiornato l’ultima volta nel 2010. Nonostante i molti alert degli ultimi 10 anni, il piano è stato dimenticato e a farne le spese in corso di epidemia da SARS-COV-2 sono tanto i malati (per superamento delle capacità di ricezione del SSN) quanto gli operatori sanitari (non è stata rispettata la prescrizione di avere una riserva nazionale di dispositivi di protezione individuale) https://www.sanitainformazione.it/salute/avvisi-ignorati-zero-scorte-di-dpi-scarsa-sorveglianza-epidemiologica-il-flop-del-piano-pandemico-fermo-a-dieci-anni-fa (8) Ovviamente, le conseguenze della pandemia non sono e non saranno solo sanitarie. Premesso che il costo in vite umane viene prima ed è sempre e per definizione intollerabile, anche il costo economico per l’Italia sarà davvero devastante, con un segno negativo del PIL a fine anno che potrebbe anche andare in doppia cifra, specie se la Germania bloccherà i “Coronabond” e l’Italia resterà legata all’Euro http://thesaker.is/if-germany-rejects-corona-bonds-they-must-quit-the-eurozone. Dr Simone Sbrenna MD, PhD e Drssa Elisabetta Prini, MD, CIDS (medici convenzionati SSN)
*****
Le immagini, i tweet, e i filmati pubblicati (i contenuti) nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio e quindi immediatamente utilizzabili. In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.