Redazione: Quest’articolo ci ha colpito sia per la tempistica, sia per la rivista che lo ha pubblicato: The Spectator, vicinissima al Governo Johnson.
Francamente, non prendiamo sul serio l’analisi sulle possibili conseguenze economiche, per la Francia, di un’uscita dalla moneta unica, vista la parzialità dell’Istituto che l’ha redatta (anche l’autore lo ammette).
Nascoste nel nostro archivio abbiamo analisi diverse e, poi, non crediamo ai numeri sulla svalutazione del franco rispetto all’euro.
La moneta unica, in effetti, si frantumerebbe inevitabilmente in 19 valute nazionali ed un’ipotesi di svalutazione (eventualmente comparata) andrebbe fatta, semmai, sul dollaro.
Tant’è, ma una questione ci ha colpito come un pugno allo stomaco.
Se la Frexit fosse proposta dallo stesso Emmanuel Macron, potrebbe avere un esito diverso da quella della pugnace ma impreparata Marine Le Pen (nelle ultime Presidenziali, memorabile la figuraccia nel confronto finale con Macron, al punto che qualcuno avanzò dubbi …..)?
John Keiger vuol forse dirci qualcosa?
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John Keiger per The Spectator UK
Con la solidarietà europea impalata sull’epidemia del Coronavirus, si torna a parlare di Frexit.
Nella situazione attuale, come potrebbe essere organizzata?
Analogamente alla Gran Bretagna, per uscire dall’UE la Francia dovrebbe attivare l’art. 50 del “Trattato di Lisbona”.
Ma per uscire dalla Moneta Unica?
Bruxelles, che ha una regola per tutto, non lo dice — ed anche il “Trattato di Lisbona”, nelle sue 3.000 pagine, tace.
Quindi, attraverso quali procedure la Francia potrebbe muovere verso l’Eurexit — e quali sarebbero le conseguenze finanziarie?
Per avviare le trattative con Bruxelles un punto di partenza potrebbe essere il “reverse engineering” sugli articoli monetari del “Trattato di Lisbona”.
Il Titolo VIII del Trattato (144 articoli), dedicato alla politica monetaria, non fa alcun riferimento alla possibilità che uno Stato possa uscire dalla moneta unica.
Tuttavia, contiene cinque articoli sostanziali per regolare il suo avvio: “Disposizioni transitorie per l’adesione degli Stati membri alla moneta unica”.
L’articolo 139, in effetti, stabilisce quali siano i diritti degli Stati-membri che non soddisfano ancora i criteri per l’adesione all’euro, ma che vi aspirano.
Definito “Stati-membri con deroga”, l’articolo 139 descrive in dettaglio gli aspetti della moneta unica che non vengono applicati né a loro né alle Banche Centrali (vanno dai “disavanzi di bilancio” fino all’emissione vera e propria dell’euro).
Questi Stati hanno in effetti una clausola di “non partecipazione” ai vincoli dell’Unione Monetaria.
L’articolo 140, invece, stabilisce i criteri di “convergenza monetaria” che portano alla fissazione del “tasso di conversione” in euro della moneta nazionale dello Stato-membro.
Al momento del lancio dell’euro, il 1° gennaio 2002, il tasso di cambio del “franco francese” fu fissato a 6,55 franchi/euro, che da molti fu ritenuto eccessivo.
La Francia, la cui cultura legalistica costituisce il fondamento del costituzionalismo e del modus operandi di Bruxelles, non avrebbe alcun problema ad invertire l’ingegneria [reverse engineering] del “Trattato di Lisbona” per negoziare una “Eurexit morbida”, nel periodo di due anni previsto dall’articolo 50 della legge.
Ma, anche dopo 63 anni, la Francia è tutt’ora lo Stato-membro con il più alto senso di sovranità nazionale. Si potrebbe facilmente immaginare che i negoziati con Bruxelles degenerino in una “Eurexit dura”.
Dopotutto, quando la Francia lasciò, nel 1966, un’altra organizzazione internazionale — la Nato — attivò quella che oggi chiameremmo una “Frexit dura”, con poche negoziazioni — come ho già scritto su The Spectator nel 2018.
Ed allora, quali sarebbero le conseguenze di una rapida uscita della Francia dall’Eurozona?
Quando nel 2017 Marine Le Pen basò la sua “politica presidenziale” proprio su questo, un rispettabile think-tank francese, l’Institut Montaigne, produsse un “research paper” dal titolo: “Come lasciare l’euro e ripristinare una moneta nazionale, il franco”.
I suoi risultati sono degni di essere rivisti nel momento in cui l’UE è entrata in un’altra delle sue crisi finanziarie e monetarie — e la “simpatia francese” per l’UE e l’euro è tale da far riemergere il dibattito sulla Frexit.
In primo luogo va sottolineato che, analogamente alla Gran Bretagna, l’”élite metropolitana” e il “mondo accademico francese” siano prevalentemente a favore dell’UE — e l’”Institut Montaigne” fa ben pochi sforzi, in questo senso, per nascondere il suo punto di vista.
In secondo luogo, la ricerca è stata condotta con la premessa che l’uscita dall’euro sarebbe stata effettuata dalla leader francese di estrema destra Marine Le Pen.
Una Leader che non ha mai ricoperto cariche governative, scansata dalle élite industriali e finanziarie francesi, la cui difesa dell’Eurexit, nella campagna presidenziale, fu palesemente assai debole.
Quanto diversa potrebbe essere l’analisi, oggi, se l’uscita dall’euro fosse un obbiettivo di Emmanuel Macron!
A questo contesto andrebbe aggiunto che la ricerca dell’”Institut Montaigne” fondò le sue metodologie su quelle che i think-tank britannici implementarono per la Brexit, che l’Istituto stesso ammette (liberamente) fossero pregiudizialmente negative.
Con queste premesse le previsioni di quel rapporto, redatto nel 2017, non sono poi così fosche.
Lo scenario è quello di un deprezzamento del 15% della nuova moneta, il franco, rispetto all’euro.
Lo scenario migliore è quello di un calo del Pil dello 0,6% nel primo anno (2,3% valore mediano) e, a medio termine, del 3%.
Non sorprende che il modello preveda — come per quello della Brexit — un tasso di cambio più basso e, di conseguenza, un’inflazione più alta. Tuttavia, non tiene conto del conseguente miglioramento delle esportazioni francesi.
La divergenza, rispetto agli scenari della Brexit, è tutta nella fuga di capitali, conseguenza della svalutazione del franco.
Qui il rapporto dell’Istituto balza su uno scenario peggiore, confrontando la situazione che verrebbe a crearsi [in Francia] con quella della Grecia nel 2015: i controlli sul cambio da parte del Governo Greco, la chiusura delle Banche Nazionali per tre settimane e la possibilità per i cittadini di ritirare al massimo 60 euro al giorno.
Ma il confronto tra la 6a economia mondiale e la Grecia non è affatto convincente.
Un’uscita dall’euro, quindi, sarebbe così ingestibile per la Francia?
L’Unione Europea parla molto della moneta unica, ma in realtà l’euro è una moneta comune, visto che gli Stati-membri hanno mantenuto in funzione le 19 Tesorerie e Banche Centrali.
Con l’euro che s’avvicina all’ennesima crisi esistenziale sulla mutualizzazione del debito, l’opzione di riconquistare la “sovranità monetaria” nazionale diventa ancor più interessante.
La Francia, in effetti, potrebbe scoprire che il miglior evento che possa capitare sia il crollo dell’euro.
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Link Originale: https://www.spectator.co.uk/article/iA-hard-Frexit-needn-t-be-a-disaster-for-France
Scelto e tradotto da Franco
Articolo rilanciato. La data originaria della pubblicazione potrebbe essere diversa da questa
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