Constantin Eckner per The Spectator
“Tempi disperati richiedono misure disperate”. E’ questa l’espressione del momento per riassumere il modo in cui i Paesi stanno affrontando lo scricchiolio del Coronavirus.
La Germania non fa eccezione.
Secondo numerose proiezioni, anche prima della pandemia l’economia del Paese stava dirigendosi verso una lieve recessione.
Ma, una volta che il virus si è diffuso nella Provincia di Hubei, i produttori tedeschi hanno cominciato ad essere colpiti in un punto assai doloroso: le catene d’approvvigionamento.
Lo shock iniziale, dovuto alla riduzione della capacità produttiva cinese, ha messo a nudo ancora una volta la dipendenza della Germania dai rapporti commerciali con il gigante economico asiatico.
Da anni la Germania si affida alla Cina sia per approvvigionarsi di prodotti e componenti a basso costo che come mercato per le sue esportazioni.
La crisi finanziaria del 2008 colpì la maggior parte d’Europa, ma la Germania ne rimase quasi indenne grazie ad un’economia orientata all’esportazione — in parte grazie alla Cina.
La Germania non si è mai preoccupata troppo dei progressi geo-economici che Pechino stava facendo.
Non si è preoccupata molto anche del forum 16+1 con i Paesi dell’”Europa Centrale e Orientale” lanciato nel 2012, o dell’iniziativa cinese “Belt and Road” presentata nel 2013, o della strategia “Made in China 2025”, volta al predominio cinese nelle tecnologie emergenti.
Tuttavia, quando il Gruppo Cinese Midea rilevò la tedesca Kuka (una delle stelle nascenti fra i produttori di robotica), nel 2016, il Governo di Angela Merkel fu colto alla sprovvista.
Pochi mesi dopo la caduta della Kuka nelle mani di un’azienda cinese, il produttore di chip Aixtron evitò la stessa sorte solo perché il Ministero dell’Economia Tedesco ritirò l’approvazione iniziale all’acquisizione.
Questi due eventi costrinsero il Governo Tedesco ad aggiornare le norme sugli investimenti esteri, con particolare attenzione alla Cina.
Ma lo shock economico del Coronavirus sta cambiando ancora una volta le dinamiche.
I funzionari del Governo di Berlino stanno nuovamente discutendo su come proteggere i “gioielli della corona” industriale del Paese da acquisizioni ostili, visto che la maggior parte è sottovalutata sul mercato azionario.
Queste aziende, di conseguenza, sono potenzialmente esposte agli investitori esteri, se gli attuali azionisti diventassero sufficientemente nervosi da abbandonare la nave.
Naturalmente, la Cina e le sue aziende sono considerate fra gli acquirenti interessati.
Dopo un anno in cui gli investimenti cinesi nei 28 paesi-membri dell’UE sono diminuiti di circa un terzo, la tendenza potrebbe cambiare rapidamente se Pechino vedesse sufficienti vantaggi ad acquistare nuove aziende.
Soprattutto se, dopo le restrizioni dovute al Coronavirus, la Cina fosse il primo Paese a riprendersi dallo shock economico.
Pubblicamente, la Germania si è schierata contro la “diplomazia mascherata” di Xi Jinping (che ha fatto seguito all’epidemia di Coronavirus in Europa), condannando i suoi tentativi di sfruttare la crisi politicamente ed economicamente.
Ma, a porte chiuse, gli “alti funzionari” riconoscono che l’economia tedesca ha decisamente bisogno della Cina, proprio come nel 2008 o, forse, anche di più.
La Germania ha il più alto “tasso d’esportazione” fra i Paesi del G20 (circa il 47% del suo Pil). Uno “shock da domanda” di proporzioni globali metterebbe in seria difficoltà molti suoi produttori.
Visto che la Cina si sta riprendendo dalla pandemia più velocemente del resto del mondo, la Germania potrebbe finire con il legarsi ancora di più al gigante economico asiatico — anche più di quanto lo fosse prima della crisi.
Le grandi case automobilistiche tedesche (Volkswagen, Daimler e BMW), che realizzano circa un terzo dei loro profitti in Cina, potrebbero guidare la futura spinta verso est.
Nel 2019 l’esportazione di auto tedesche in Cina è aumentata, nonostante le nuove immatricolazioni fossero diminuite di ca. il 10%.
Herbert Diess, Presidente della Volkswagen, è stato il primo leader industriale di alto livello ad esprimere pubblicamente ciò che molti pensano, nel suo e in altri settori: “Abbiamo bisogno della Cina e del suo mercato per uscire da questa crisi”.
Volkswagen e BMW restano ottimiste sulle loro prospettive, promettendo agli azionisti di pagare dividendi sostanziosi, nonostante le attuali turbolenze.
Tale ottimismo deriva dalla fiducia che nutrono nella Cina e nella Merkel.
Dopo aver sostenuto la reazione dell’Europa contro Pechino, culminata un anno fa con la dichiarazione che la Cina sia da considerarsi un “rivale sistemico”, la Cancelliera Tedesca ha cominciato a fare pressioni per interrompere qualsiasi ulteriore sforzo per contrastare quel Paese.
Ben prima della crisi, la Cancelleria era già preoccupata che un ulteriore sostegno [ad azioni anti-cinesi] potesse significare, per la Germania, un prezzo economico da pagare.
Berlino è sempre più insoddisfatta dei suoi partner europei perché sente di dover portare Bruxelles sulle sue spalle.
L’attuale dibattito sui “Coronabond”, che prevedono che i Paesi dell’Eurozona debbano garantire collettivamente il debito (sotto forma di obbligazioni), potrebbe ulteriormente allontanare la Germania dai suoi partner continentali.
Questi “tempi disperati” potrebbero spingere la Merkel a stringere una nuova alleanza con Xi, accettando il fatto che la Germania non possa sopravvivere senza il mercato cinese e la sua “potenza di fuoco” finanziaria — pur nella consapevolezza che Pechino non esiterà a sfruttare tale dipendenza per promuovere i suoi obiettivi geo-economici.
Per la sua futura prosperità, la Germania potrebbe essere costretta a guardare ad Oriente.
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Link Originale: https://www.spectator.co.uk/article/Does-Germany-need-China-more-than-Europe
Scelto e tradotto da Franco
Articolo rilanciato. La data originaria della pubblicazione potrebbe essere diversa da questa
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