Edward Curtin per Off-Guardian
Molte migliaia di newyorkesi si sono temporaneamente trasferiti nella piccola città del Massachusetts dove vivo (7.000 abitanti), per la paura e il panico creati dai dati fraudolenti sulla malattia e sulla mortalità, raccolti e diffusi sotto il termine di “Covid-19”.
Notizie ingannevoli riguardo le malattie infettive, fatte circolare per indurre paura, sono una storia vecchia.
Ma questa volta fanno parte, forse, della più grande “campagna di propaganda” della storia moderna, che ha portato ad una repressione (governativa) senza precedenti della libertà delle persone, a un massiccio trasferimento di trilioni di dollari pubblici alle banche e alle società private, ma a poco più che briciole per gli americani medi.
Nella mia piccola città, le “seconde case” per le vacanze, gli Airbnbs, gli affittacamere e le camere d’albergo sono stracolmi.
È un volo verso la “sicurezza” che ricorda i mesi successivi agli attentati dell’11 settembre 2001 — e ai successivi attacchi all’antrace che hanno avuto origine da un laboratorio di armi biologiche del Governo americano.
Negli anni immediatamente successivi a quell’attacco, su queste colline fu costruita una “McMansions”. Le case furono comprate come fossero caramelle da un penny, mentre i newyorkesi inondavano la zona.
Oggi come allora i ricchi rifugiati, che accettano le spiegazioni ufficiali e organizzano la loro vita di conseguenza, si son dati alla fuga.
Poco hanno imparato dalla legge freudiana della “Ripetizione Compulsiva” e l’ultimo allarme-terrorismo li ha fatti rannicchiare su sé stessi, preda della paura.
Recitano la loro parte in una produzione teatrale concepita da maestri drammaturghi. Per semplicità, chiamiamola “L’Opera”.
Durante il giorno si possono vedere alcuni di loro che si muovono a piedi, a distanza di qualche metro l’uno dall’altro, sulle strade di campagna. Le strade del centro, invece, sono deserte giorno e notte.
Tutto questo in una cittadina che negli ultimi vent’anni è diventata un “set cinematografico di lusso” per turisti e proprietari di seconde case, che hanno portato con loro grandi ricchezze, rendendo molto difficile per la gente comune, con posti di lavoro nell’economia dei servizi, il poterci vivere o finanche solo sopravvivere.
Ora che il paese è stato “chiuso” dal Governo, la gente comune è fregata alla grande. Molte piccole imprese non apriranno mai più.
Il più grande datore di lavoro della cittadina, Jane Iredale Cosmetics (il perfetto datore di lavoro per questa vita da film), ha appena licenziato quarantasette dipendenti.
Il make-up del dramma psico-sociale sta per terminare, anche se il cinema è temporaneamente chiuso.
Non so se il mascara di Iredale — in Italiano maschera, ovvero mask — sia ancora disponibile.
In tempi normali la città sarebbe piena di gente che frequenta i ristoranti, i caffè e le boutique — che sfilano per le strade vestite da “star del cinema a SoHo”. Attori vestiti di nero.
Ora, invece, è una città-fantasma senza molti fantasmi. I pochi che si vedono passare indossano maschere di stoffa o di carta.
La parola “maschera” deriva dal latino: larva, fantasma, spettro, spirito disincarnato — insomma, una maschera.
Larvatus significa mascherato, una persona o un attore che indossa una maschera. Una persona, una maschera, un volto falso e impersonale che parla attraverso il foro della maschera.
Shakespeare aveva ragione. Per cogliere il gioco sociale bisogna essere un critico teatrale. C’è una ragione, in effetti, per cui i fantasmi recitano parti così importanti nelle sue opere.
Se la vita non è altro che un’ombra che cammina, un’attrice mediocre, allora noi cosa siamo, il cast?
Solo raramente siamo padroni del nostro destino — e quindi siamo solo dei subalterni che danzano secondo le melodie che i nostri padroni suonano per noi? Sembrerebbe proprio di sì.
Le maschere di carta e stoffa che la gente indossa sono solo il secondo strato del mascheramento, il primo è quello che i sociologi (piccoli discendenti di Shakespeare) chiamano “ruolo sociale” e le persone normali semplicemente “ruolo”, anche quando non sanno che [questi ruoli] li interpretano per la maggior parte del loro tempo.
La maggior parte delle persone associa il “giocare un ruolo” all’”essere fasulli”, senza notare che la vita sociale è tutta una recitazione e che il recitare è una cosa del tutto naturale.
Ammettere che sia una cosa fittizia e che ci si stia esibendo in un’opera teatrale scritta e diretta da qualcun altro significa aprire una botola sotto i nostri piedi.
Il termine sociologico “status” si riferisce alle moltissime posizioni che occupiamo nella vita quotidiana (come i titoli professionali, le posizioni familiari, persino gli status razziali) e che la società c’impone.
In questo modo una persona potrebbe essere classificata, ad esempio, per essere un medico, ma anche un padre o uno zio.
Ogni status — medico, padre, zio — impone delle aspettative sociali, ovvero un ruolo che ci si aspetta un individuo debba svolgere per non essere considerato, nella migliore delle ipotesi, un tipo stravagante.
Trattarli come simulazioni giocose di una vita di “sperimentazione”, trattare i titoli e gli status sociali come un qualcosa di comico, fa sì che un individuo non venga considerato come un attore del “gioco sociale”. Solo i bambini e i pazzi lo fanno.
Immaginate di essere un impostore e d’indossare l’uniforme di un pilota di linea. Per passare da pilota bisogna che sappiate interpretare il ruolo. In altre parole, per sembrare “autentico” bisogna che siate un buon attore.
Questo è ciò che Shakespeare intendeva dire con “tutto il mondo è un palcoscenico”: “il palcoscenico di legno su cui vengono rappresentati Amleto e Otello è solo una forma ‘artificiale’ della vita ‘naturale’ fabbricata dalla società”.
In questo senso è la vita sociale, quindi, ad essere fasulla — il che solleva la questione fondamentale di cosa significhi, allora, essere genuini, essere reali.
Il filosofo René Descartes una volta disse: “Così come un attore, che per nascondere il suo rossore [dovuto all’emozione] entra in scena mascherato, anch’io salgo sul palcoscenico del mondo, mascherato”.
Ma mascherarsi significa nascondersi, essere un fantasma che nessuno può vedere, una nullità.
Cartesio e Shakespeare ci ponevano questa fondamentale domanda: “Chi siamo? Siamo proprio noi?”.
Nietzsche la poneva in quest’altro modo: “Sei sincero? O sei semplicemente un attore? Un rappresentante o colui che viene rappresentato? Alla fine, forse, sei solo la copia di un attore”.
Gli individui, da bravi subalterni, hanno obbedito alle istruzioni del regista e si sono ritirati nelle grotte di Platone dove si rannicchiano, spaventati, intorno a schermi tremolanti diventati la realtà più vicina — e che lo diventeranno ancora di più, in futuro, quando il “potere costituito” spingerà più forte sulla sua agenda digitale.
Siamo ancora all’inizio dello spettacolo, ma di un tipo diverso, con gli interpreti che ricevono sì le istruzioni del regista, ma elettronicamente.
Che il cast non abbia scritto la commedia e che non sappia nemmeno chi l’ha fatto non sembra dia fastidio a nessuno.
Lo vedono come l’unico “show in town” e quindi lo interpretano — ma, se l’anonimato della vita digitale si aggiunge alla commedia degli errori, si arriva a quello che molti desiderano vedere.
Viviamo nella cultura della copia, in tutti i sensi del termine. Raramente c’è un originale, di qualsiasi cosa si tratti, anche di persone.
Molto tempo fa Walter Benjamin scrisse un famoso articolo intitolato: “L’opera d’arte nell’era della riproduzione meccanica”.
Vi sostiene che la riproduzione meccanica di un’opera d’arte elimini la sua “aura“: “Le riproduzioni sostituiscono una pluralità di copie a un’esistenza unica”.
Nell’era del cinema e dello schermo digitale questo vale anche per le persone. L’unicità sta svanendo.
Più le persone vivono nelle immagini proiettate sullo e per mezzo dello schermo (oggetti della propaganda che tale tecnologia offre ai potenti), più possono essere riprodotte.
E’ questo, naturalmente, quello che sta succedendo [con la pandemia Covid-19].
Una volta le masse dovevano essere riunite in una mandria e in un unico luogo per essere indotte ad agire all’unisono.
Oggi quel luogo è stato sostituito dal cyberspazio e il “ballo in maschera” può essere diretto senza che ci sia alcun movimento.
Benvenuti. “L’Opera” è appena iniziata.
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Link Originale: https://off-guardian.org/2020/04/12/phantoms-of-the-operation/
Scelto e tradotto da Franco
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