Redazione: E’ un articolo per qualche verso inconsueto, ma interessante perché offre ai lettori l’opinione, seppur in parte scontata, di un “centro studi” di livello mondiale sulla situazione italiana.
L’offriamo in modo asettico, ma non neghiamo la preoccupazione per il programma cinese di acquistare PMI italiane, perché poste al di sotto della linea d’attenzione delle Autorità.
Questo studio è quindi un grido d’allarme — e noi ci auguriamo che chi di dovere sappia recepire.
————
Valbona Zeneli e Michele Capriati, Diplomat Risk Intelligence, pubblicato da The Diplomat
L’Italia rappresenta uno dei Paesi più importanti per gli interessi geo-economici cinesi in Europa.
È una fonte di risorse strategiche sia nell’industria avanzata che in quella tradizionale, ma anche di marchi e tecnologie riconosciute a livello internazionale.
Inoltre, occupa una cruciale posizione geografica nel quadro della “Via della Seta Marittima” del 21° secolo, parte integrante della “Belt and Road Initiative”.
Per la Cina, l’accesso alle infrastrutture portuali italiane è una priorità per espandere le sue rotte commerciali, dal Mediterraneo al Nord Europa.
Nel marzo del 2019 l’Italia è diventata “membro ufficiale” della “Belt and Road Initiative”, diventando il primo Paese del G-7 ad aderire alla piattaforma guidata da Pechino — e la più grande economia fra i 15 Paesi dell’Unione Europea.
L’inclusione nella BRI della terza economia più grande d’Europa (15% del Pil dell’Eurozona), è stato un fatto simbolico (oltre che importante) per le ambizioni della Cina in Europa, perché ne sottolinea il ruolo crescente nel mondo.
L’ambizioso BRI–MoU [Memorandun of Understanding] firmato da Roma e Pechino comprendeva 50 accordi, che coprivano aree economiche, culturali e infrastrutturali.
Tuttavia, la prevista spinta economica non si è ancora concretizzata, mentre le sue ricadute (nel contesto fortemente critico dell’Unione Europea e degli Stati Uniti) hanno innescato in Italia un aspro dibattito politico.
L’Italia membro del BRI: dove sono i benefici?
L’Italia sperava che l’adesione al BRI avrebbe aperto nuove opportunità nel commercio e negli investimenti.
Dai primi anni 2000 il commercio fra i due Paesi è quintuplicato (dai 9,6 miliardi di dollari del 2001 ai 49,9 miliardi di dollari del 2019) ma, dal 2010, i livelli complessivi sono rimasti invariati (49,5 miliardi di dollari).
Allo stesso tempo, il deficit commerciale dell’Italia è in continuo aumento — ha raggiunto nel 2019 i 20,9 miliardi di dollari, a fronte di esportazioni in continua diminuizione, con un calo del 6,1% solo nello scorso anno.
Nel 2019 la Cina è stata, per l’Italia, il terzo partner per l’importazione (oltre il 7% del totale) ma solo il nono per l’esportazione (solo il 2,9%), soprattutto nei settori delle apparecchiature e dei macchinari elettronici.
Per quanto riguarda gli “investimenti diretti esteri” [IDE] cinesi, l’Italia è fra i primi tre destinatari in Europa, dopo Regno Unito e Germania.
Dal 2000 al 2019 gli IDE cinesi in Italia hanno raggiunto cumulativamente i 17,4 miliardi di dollari, con un picco nel 2014 e nel 2015.
Se si considerano anche le altre “voci”, l’importo degli investimenti ha raggiunto i 25,5 miliardi di dollari, concentrandosi principalmente sull’energia (6,5 miliardi di dollari), i trasporti (8,75 miliardi di dollari), la tecnologia (4 miliardi di dollari) e la finanza (2,8 miliardi di dollari).
Fra gli investimenti principali c’è stata l’acquisizione del 17% della Pirelli (7,9 miliardi di dollari) da parte dell’impresa statale cinese ChemChina.
Gli investitori cinesi, attraverso la People’s Bank of China, si sono interessati anche al “mercato borsistico” italiano, acquistando azioni per oltre 4 miliardi di dollari di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Eni, Enel, Telecom Italia, Generali, Terna e altri.
Negli ultimi anni, tuttavia, l’importo degli investimenti è stato deludente.
Lo scorso anno l’Italia non è riuscita ad attrarre molti progetti. Sono stati firmati 29 accordi per un valore di 2,8 miliardi di dollari, fra i quali quelli fra la “CCCC” e i porti di Trieste e Genova.
Quando la Huawei ha annunciato (luglio del 2019) un piano d’investimenti da 3,1 miliardi di dollari in tre anni, il Governo Italiano ha cominciato ad insistere sui “Diritti Umani” e sulla limitazione all’accesso della “Huawei Technology” nella rete-dati di quinta generazione (5G).
Lo scorso dicembre la “Commissione per l’Intelligence e la Sicurezza” del Parlamento Italiano ha raccomandato al Governo di prendere in “seria considerazione” la possibilità di bandire Huawei (e altri fornitori di apparecchiature cinesi) dalle reti-mobili 5G italiane.
Il Governo si è limitato a ricordare che le procedure di screening esistenti (compreso il cosiddetto “Golden Power”), implementate per proteggere gli assets strategici (difesa, sicurezza nazionale, trasporti e alta tecnologia, compreso il 5G), siano da considerarsi più che sufficienti.
La crisi Covid-19 e le sue conseguenze economiche
Dal febbraio del 2020 il quadro economico italiano è completamente cambiato.
L’Italia è stata colpita dalla crisi più grave dalla seconda Guerra Mondiale, con oltre 20.000 morti (Covid-19) e con l’economia che subirà la più profonda recessione nella storia del Paese.
La diffusione della pandemia ha causato un imprevedibile “shock di mercato” sia a livello di domanda che di offerta, con la progressiva chiusura delle attività economiche, necessaria per arginare l’epidemia.
Già prima di questa crisi l’Italia si trovava a fronteggiare sia una stagnazione dei redditi (lo stesso reddito medio pro capite di 20 anni fa) che un tasso di disoccupazione del 10% — con un debito sovrano al 133% del Pil.
Il colpo economico derivante dal disastro sanitario porterà conseguenze ancora più gravi.
L’”Istituto Italiano di Statistica” [Istat] ha rilevato che la fiducia dei consumatori, a marzo, è diminuita del 9,9 % rispetto al mese precedente e che l’”Economic Sentiment Indicator” è diminuito del 17,6 %.
Nello scenario più ottimistico, Confindustria stima per il secondo trimestre un calo del 10% del Pil rispetto alla fine del 2019 — e una ripresa nella seconda metà del 2020, seppur ostacolata dalla debolezza della domanda di beni e servizi.
Si stima che l’Italia finirà il 2020 con un calo del 6% del Pil, uno del 6,8 % dei consumi ed uno del 10,6 % degli investimenti.
I prezzi delle azioni sono crollati. In poche settimane l’Indice MIB ha raggiunto i livelli più bassi dal 2012, con una contrazione del 40% in particolare per le Banche e per le Assicurazioni.
In una situazione del genere molte aziende italiane, che prima della crisi erano in una buona forma, rischiano di passare in mani straniere.
Sembra una ripetizione di quanto accadde dopo la crisi dell’Eurozona, ma in forma peggiore.
Durante la crisi precedente gli investimenti cinesi, soprattutto attraverso acquisizioni di aziende italiane, passarono dai 100 milioni di euro del 2010 ai 7,6 miliardi di euro del 2015.
Estensione del “Golden Power”
Preoccupato che le aziende italiane in difficoltà possano essere acquistate a prezzi stracciati da operatori stranieri, il Governo Italiano ha rapidamente avviato un intervento a tutela delle imprese nazionali.
A partire dall’8 aprile 2020 le regole del “Golden Power” sono state estese a una vasta gamma di settori, fra i quali sanità, finanza, assicurazioni, infrastrutture, materie prime, robotica e media.
Tuttavia, la protezione delle imprese italiane dalle acquisizioni estere potrebbe essere difficile da attuare in una situazione economica così disastrosa, quando la maggior parte delle aziende rischia il fallimento.
Una soluzione intermedia potrebbe essere, invece, la loro ricapitalizzazione attraverso un “Fondo Pubblico d’Investimento”.
In questa fase il Governo Italiano si è attivato per arginare gli effetti più immediati della crisi fornendo sussidi alle famiglie.
Ma non esiste un piano vero e proprio per proteggere le imprese dal fallimento, vista la modesta entità dei “prestiti garantiti dallo Stato” a disposizione delle imprese.
Ma nei prossimi giorni potrebbero aggiungersi altre risorse dell’UE.
Le piccole e medie imprese (PMI), che sono l’ancora di salvezza dell’economia italiana, sono particolarmente a rischio.
In futuro potremmo vedere le imprese cinesi acquistare PMI per valori inferiori ai 100 milioni di euro — un trend che avevamo già visto negli ultimi anni — perché le linee-guida dello screening sugli investimenti non prestano molta attenzione alle piccole imprese.
La crisi attuale creerà maggiori opportunità d’acquisto per gli investitori cinesi.
La questione più critica è lo sviluppo di un piano strategico (stimolo diretto della spesa pubblica e avvio di grandi investimenti nel settore pubblico) che vada oltre l’emergenza, per promuovere la ripresa dell’economia.
Il programma è indispensabile per favorire la domanda aggregata ma, d’altro canto, richiederebbe un’assistenza finanziaria quasi insostenibile visto il livello del debito pubblico — oltre 2,5 trilioni di euro.
La risposta europea
L’Italia non è il solo paese ad essere preda della crisi pandemica e quindi sarà l’intera UE a dover affrontare i relativi shock sanitari ed economici.
I prossimi mesi saranno cruciali per ricostruire il tessuto economico del Continente (non solo quello dell’Italia) e saranno quindi necessarie risorse comuni.
Sarà una questione geo-economica a livello europeo. I “titoli di debito” garantiti da tutti i Paesi dell’UE, in tutte le forme, potrebbero essere uno degli strumenti.
Tuttavia, sarebbe solo un primo passo verso il superamento del limite più grosso delle Istituzioni Comunitarie: l’assenza di comuni strumenti fiscali.
La politica monetaria lo è, ma quella fiscale è ancora di competenza esclusiva dei singoli Paesi.
In un’epoca di grande concorrenza fra le varie “potenze” (con quella cinese sempre più forte e comunque adusa a giocare in modo “diverso”), davanti ai problemi sistemici della salute e dell’ambiente, non è accettabile la mancanza di adeguati strumenti di politica economica in ambito UE.
In questo senso, l’attuale pandemia potrebbe essere un’opportunità.
————
Link Originale: https://thediplomat.com/2020/04/is-italys-economic-crisis-an-opportunity-for-china/
Scelto e tradotto da Franco
*****
Le immagini, i tweet, e i filmati pubblicati (i contenuti) nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio e quindi immediatamente utilizzabili. In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.