di Carloalberto Rossi e Giorgio Saibene
Non si discute più sul ritorno a lavorare, ma chi sentenzia che i politici si rinuncino solidalmente a due mesi o più di stipendio per far risparmiare qualche decina di milione di euro all’ente pubblico, chi è soddisfatto della passeggiata intorno al proprio condominio e lavora in smart-working vestito solo dalla vita in su e chi finalmente è riuscito a finire tutte le serie televisive di cui gli amici parlavano e non sapeva mai dire neanche i nomi dei personaggi. Insomma, un Paese baciato dal mare, dal sole, da una cultura millenaria, probabilmente dalla gastronomia migliore del mondo, ma che non sembra scalpitare all’idea di tornare nella routine quotidiana e affollare le strade. Eppure l’Italia è rappresentata anche dalla provincia di Milano che produce circa 400 miliardi di euro l’anno di fatturato: come il PIL della Norvegia, oppure come Portogallo e Grecia messi insieme; anche la sola provincia di Vicenza che con circa 90 mila imprese, molte delle quali del settore manifatturiero, caratterizzate da piccole dimensioni e gestione familiare, produce circa 90 miliardi di euro l’anno: molto più del PIL di Croazia, Malta e Slovenia messe insieme (Banca Mondiale, PIL nominale 2019).
Anche i grandi imprenditori restano chiusi e un po’ hanno donato alla protezione civile, delegando allo Stato l’onere di occuparsi dei più fragili, mentre oltre 4 milioni di cassaintegrati sono stati anticipati dagli imprenditori. Un mondo ben diverso dal dopoguerra, in cui soldi pubblici ce n’erano pochi, se non per l’edilizia e si dove far ripartire il Paese dopo i bombardamenti. Lo Stato oggi si sta facendo carico della cassa integrazione, di cui sono arrivate almeno 7,25 milioni di domande al 3 maggio, circa la metà del sistema del lavoro subordinato, che si aggiunge ad un piccolo contributo simbolico per le partite iva, che presumibilmente non avranno avuto spese durante il lock-down. In totale ci sono in Italia circa 23 milioni di occupati, di cui 850 mila in agricoltura, 6 milioni in industria e i restanti 16 milioni abbondanti nei servizi, di cui almeno un milione sono assistenti sportivi e culturali.
Tutti in piedi sul divano, urlava un noto commentatore sportivo, ma qui invece, sul divano stiamo tutti sdraiati, al punto di non capire più se è il divano ad aver preso la nostra forma, o se invece siamo noi ad aver preso quella del divano. Ormai sembra che il telecomando sia l’unico nostro contatto con il mondo esterno, coadiuvato da cellulare e computer portatile per ordinare la spesa o per leggere e conversare con qualcuno.
Un intero paese si sta lentamente assuefacendo ad un mondo ristretto e isolato, all’inizio con molte lamentele, poi via via sempre meno. Il lento susseguirsi di notiziari sui canali all-news, reso più frenetico dall’incessante zapping alla ricerca di un notiziario che non inizi al fatidico tocco, diventa sempre più un rumore di fondo, mentre notizie sempre più contraddittorie su contagi, ricoveri, decessi, decreti del governo, decreti regionali, ordinanze ministeriali, ordinanze della Protezione Civile, ordinanze regionali, ordinanze comunali si sovrappongono a interviste sempre più banali e scontate a presidenti, direttori, ministri, consulenti, commissari, consiglieri, politici e scienziati che aumentano il nostro stordimento allontanando sempre di più la nostra attenzione verso quello che all’inizio sembrava il necessario e doveroso traguardo: la fine del lock-down e la ripresa della normale attività.
Sembra che a moltissimi vada bene cosi, tanto singolarmente non possiamo farci niente, e il vecchio detto di Quintiliano che ognuno è l’artefice della propria fortuna adesso lo riferiamo solo alla probabilità di evitare il contagio. La nostra chance, da aiutare e perseguire, è solo quella. Certo però che per stare tranquilli sul divano serve una certezza del reddito, o perlomeno la sicurezza di avere risparmi sufficienti per mantenere la famiglia anche per il lungo e incerto futuro che seguirà l’apertura. E questo è vero per qualcuno, ma molto meno vero per molti altri.
Gli oltre 3,3 milioni di dipendenti pubblici sono sicuri del loro stipendio e moltissimi di loro (certo non tutti) si godono la solita partita a solitario al riparo da occhi indiscreti grazie allo smart- working. I 16 milioni di pensionati attendono come sempre la loro magra pensione, anche il milione scarso di percettori del reddito di cittadinanza hanno certezze di reddito almeno per un altro anno, mentre i circa 3 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato, oggi in attesa della cassa integrazione, sanno solo che prima o poi perderanno una parte sostanziosa del loro stipendio, del milione di professionisti parecchi hanno scorte sufficienti e possono aspettare un contenzioso che aumenterà fortemente, e i circa 300.000 imprenditori di maggiori dimensioni, e spesso percettori di finanziamenti pubblici, hanno scorte in famiglia e attendono i miliardi di finanziamenti promessi dal governo. In tutto finora 28,6 milioni di italiani quasi sicuri del proprio reddito che stanno sul divano.
Ma ci sono ancora circa 5 milioni di piccolissimi imprenditori, oppure espulsi e recuperati da una occupazione sempre più incerta, che costituiscono il popolo delle partite IVA, tutti in attesa di quei 600 euro che risolutivi non sembrano proprio essere. Alle loro sia pur ridotta capacità di spesa si aggrappano poco più di 5 milioni di giovanissimi, studenti e casalinghe, e i 14,5 milioni di inattivi in età lavorativa, tutti gruppi che neanche prima avevano un reddito. E siamo così arrivati a 53 milioni di italiani, vuol dire che mancano ancora 7,5 milioni di italiani che evidentemente sono quelli che ancora lavorano nell’industria, nell’agricoltura e nei servizi e chi in tutti questi 60 giorni hanno continuato a produrre per il Paese, inseriti nella lista di attività essenziali all’economia nazionale. Lista che ha compreso i rivenditori di marijuana legale con consegna a domicilio, ma che ha fermato l’industria della moda e della pelletteria.
Non resta che auspicare, per la fragile sicurezza di tutti, dipendenti pubblici compresi, buona ripresa lavorativa a tutti! E che sia il più in fretta possibile..scuole comprese.
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