Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
Una tassa sulla ricchezza, oltre che scatenare una galoppante fuga di capitali, equivarrebbe ad un triplo “colpo al mento”: deflazione, perdita di Pil e di gettito fiscale.
Un’imposta patrimoniale una tantum sarebbe una vera e propria idiozia. Porterebbe uno choc recessivo e servirebbe ad ammassare il “Monte Pelio” sul “Monte Ossa”.
Sarebbe impossibile da incassare senza la svendita di azioni e proprietà. Di conseguenza, l’economia cadrebbe in una spirale discendente.
Il “triplo colpo” travolgerebbe i presunti guadagni dell’”imposta sul patrimonio” per il noto “effetto denominatore”: aumenterebbe ancor più rapidamente il rapporto debito-pubblico/Pil.
In altre parole, un atto autolesionistico.
In Italia, ad esempio, il solo parlarne darebbe il via ad una galoppante fuga di capitali, facendo scivolare il Paese verso la crisi del debito del 2011.
Se l’obbiettivo è il crollo della fiducia, è questo il modo giusto per conseguirlo.
Se limitato ai soli conti bancari sarebbe grossolanamente recessivo, moralmente quasi criminale e non raccoglierebbe comunque molto denaro.
Inoltre, metterebbe a dura prova le Banche proprio nel momento in cui ne abbiamo più bisogno come “canale di credito”.
“Tecnicamente, è quasi impossibile imporre una tassa di questo tipo senza creare un caos economico che ne negherebbe completamente lo scopo”, ha detto il Prof. Richard della “City University and Tax Research UK”.
Soprattutto, una tassa patrimoniale non è affatto necessaria.
L’idea che non possiamo permetterci di coprire la generosità fiscale dovuta al Covid-19 senza un successivo e purificante ridimensionamento, è l’ultima iterazione dell’ideologia puritano-calvinista nella nostra vita pubblica.
È un ritorno alla fallacia dell’austerità.
Il coma-economico indotto da questa pandemia è il trasferimento di denaro dal settore pubblico a quello privato. Ma questo tornerà a scorrere una volta che la ripresa sarà in atto, a condizione che le imprese e le famiglie siano mantenute integre.
Come ha detto Keynes (con un po’ di esagerazione), il paese non sarebbe più ricco se l’intero debito nazionale venisse saldato. Il debito lo dobbiamo per lo più a noi stessi perché la nostra moneta noi ce la stampiamo.
Si tratta, quindi, di uno specchietto per la allodole.
L’insieme di una nazione non è composto dalla singolare e proverbiale Schwabian Hausfrau [la casalinga di Voghera].
La Banca d’Inghilterra sta attualmente acquistando l’intera emissione del debito del Tesoro di Sua Maestà. Questo QE , di conseguenza, non sarà mai “ripagato”, qualunque siano le assicurazioni proforma.
Si tratta di un puro finanziamento monetario del deficit fiscale — il QE del popolo, il denaro dagli elicotteri, la MMT o comunque vogliate chiamarlo — e gran parte del mondo sviluppato sta facendo la stessa cosa.
Ci sono ottime ragioni per invertire la tendenza tossica all’abnorme concentrazione della ricchezza e alla disuguaglianza del reddito.
Un “Coefficiente di Gini” alla brasiliana non è il fondamento di una fiorente democrazia moderna: viola il principio di solidarietà ed erode la fiducia alla base del nostro “stato di diritto”.
La mia conclusione, dopo aver vissuto molti anni in America Latina, è che sia proprio la disuguaglianza — la sensazione che la vita sia truccata e che la Legge sia un racket — la causa principale del perenne fallimento nel colmare il divario economico.
È l’immagine speculare della storia del “successo egalitario” dell’area nordico-anseatica.
Ma non ci vuole la mazza della “confisca della ricchezze” per attenuare le disuguaglianze.
Ciò di cui il Regno Unito ha bisogno è una chirurgica riforma fiscale per rendere il sistema più equo, nel contesto di un’espansione fiscale netta che perduri fino a quando non saremo al sicuro dalle scosse del Covid-19 — fino a quando, in altre parole, il divario produttivo non sarà di nuovo colmato, con un piccolo extra per buona misura.
Il Prof. Jonathan Portes del King’s College di Londra sostiene che il primo imperativo sia quello di “cogliere l’ortica” della nostra tassa comunale a favore dei poveri. La maggior parte dei paesi sviluppati ha, in effetti, un’imposta fissa basata sul patrimonio.
Ma anche il Regno Unito ha i suoi scandalosi cerotti. I residenti di una villa del valore 10 milioni di sterline a Kensington pagano 2.473 sterline l’anno, poco più di una giovane coppia in difficoltà in un appartamento con una sola camera da letto.
Nella repubblica socialista di New York (Nassau County), pagherebbero 245.000 sterline l’anno per questo privilegio. A Boston ne pagherebbero 122.000 e a Los Angeles 75.000.
Risolvere quest’anomalia andrebbe in qualche modo a rettificare il potente senso d’ingiustizia (e a margine potrebbe liberare qualche alloggio) senza danneggiare l’economia produttiva.
Senza dubbio i lettori hanno molti altri suggerimenti.
Ma tale riforma non dovrebbe essere confusa con il Covid-19. Lo Stato sovrano del Regno Unito non si trova davanti a vincoli di debito.
Il tasso della “scadenza a 40 anni” è pari a zero. Il Governo può prendere soldi in prestito a tassi reali fortemente negativi con scadenza verso la fine del 21° secolo.
I mandarini del Tesoro mettono in guardia dai mercati volubili. Amano avvertire. Amano ripiegare. Amano fare gli eroi e governare dal trespolo del Governo.
Ma in cent’anni non hanno quasi mai avuto ragione.
Hanno sbagliato sul Gold Standard nel 1925 e di nuovo sull’oro nel 1931.
Hanno sbagliato sui moltiplicatori fiscali per tutta la durata della Depressione e anche in occasione della crisi dello SME del 1992.
Hanno di nuovo sbagliato sull’austerità post-Lehman e sulla rivoluzione delle energie rinnovabili.
Hanno sbagliato ancora una volta sullo shock immediato del referendum sulla Brexit e, sicuramente, stanno sbagliando anche adesso.
Il loro “documento di strategia fiscale” lungo 10 pagine (per come è trapelato) segnala il rischio di una “crisi del debito sovrano” simile a quella del 1976, quando Dennis Healey dovette andare dal FMI con il cappello in mano.
Ma questo è un irritante abuso della storia.
Come ho scritto la settimana scorsa, la Gran Bretagna non ebbe nel 1976 una crisi del debito sovrano. Fu una una crisi della sterlina. Il Governo stava cercando di mantenere un tasso di cambio forzato, disaccoppiato dai fondamenti economici.
Ma oggi la sterlina fluttua in modo pulito.
Il debito britannico è denominato in valuta britannica e non c’è la più remota avvisaglia di uno sciopero sui Gilts [Titoli di Stato 1 – 50 anni con cedola semestrale di solito fissa].
I mercati hanno già espresso la loro approvazione al “pacchetto Covid” da 300 miliardi di sterline di Rishi Sunak, Cancelliere dello Scacchiere.
I “bond vigilantes” pensano, in generale, che sia la politica giusta, viste le attuali circostanze.
Ciò che li spaventerebbe veramente, perché scatenerebbe una spirale deflazionistica, è il Cancelliere che si mettesse ad ascoltare i cattivi consigli del Tesoro.
Ogni Paese dell’OCSE sta spendendo un sacco di soldi. Tutti noi sembriamo indisciplinati e sconvolti davanti alla posta in gioco.
Ma i “gestori patrimoniali” e i “fondi sovrani” devono pur mettere le loro eccedenze da qualche parte — e la Gran Bretagna non è peggiore di tanti altri Paesi.
Il rapporto debito/Pil degli Stati Uniti sta andando alle stelle e del Giappone non parliamo nemmeno.
I paesi che hanno un vincolo teorico sul debito sono, in primo luogo, l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e Cipro.
L’euro li ha trasformati in mutuatari subsovrani. Non possono svalutare o stampare denaro per guadagnarsi una via d’uscita dalla crisi di solvibilità.
La pandemia sta spingendo i loro rapporti debito/Pil a livelli di epistassi e sta anche spingendo le loro economie in una trappola deflazionistica.
Possono respirare (fino a un certo punto) finché la BCE continua a comprare il loro debito e a limitare gli spread.
Ma la Corte Costituzionale tedesca ha appena stabilito che acquisti illimitati di questo tipo siano da considerarsi dei “salvataggi fiscali” che entrano dalla porta di servizio — e violano comunque i Trattati UE.
Alla Bundesbank è vietato partecipare al QE se la questione non venisse risolta entro tre mesi e, senza la Bundesbank, il progetto non avrebbe credibilità.
Questa sentenza è solo una spacconata cui faranno seguito le solite falsità? Ancora non lo sappiamo.
Sunak dovrebbe ignorare la “paura del debito” diffusa dai media britannici e mantenere ferma la rotta sull’espansione degli investimenti pubblici e dei progetti infrastrutturali.
Il criterio rilevante è che questa spesa aumenti il “tasso di crescita tendenziale” dell’economia (che il moltiplicatore fiscale, in altre parole, sia superiore a 1,0) e che, quindi, possa ripagarsi da sola abbassando al contempo il rapporto debito/Pil — oltre che garantire una migliore solidarietà sociale, che ha anch’essa un suo valore economico.
È la cura magica della “crescita organica” e della “crescita del Pil nominale”.
Non c’è bisogno di tagliare la spesa o di aumentare le tasse, figuriamoci di sequestrare ricchezza.
Ma c’è chi vuole andare oltre e alzare la posta in gioco.
Il Prof. Portes raccomanda di “far andare l’economia a gonfie vele” per i prossimi 10 anni, spingendo l’inflazione verso il 3pc o il 4pc — un’idea avanzata negli Stati Uniti da Olivier Blanchard (ex FMI) e Janet Yellen (ex Presidente della FED).
Tutto questo ridurrebbe il rapporto debito/Pil ancor più velocemente.
Se sentiste l’odore di un topo … avreste ragione. Si tratterebbe in effetti di un’inadempienza mascherata. Un haircut per i creditori, gli obbligazionisti e i possessori di capitale. In un certo senso, sarebbe una blanda tassa sul patrimonio.
Arriverà un momento in cui i “bond vigilantes” si sveglieranno dal torpore e cominceranno ad abbaiare.
Ma il Tesoro degli Stati Uniti riuscì a farli tacere, alla fine degli anni Quaranta e all’inizio degli anni Cinquanta, con una spietata repressione finanziaria. Limitò i rendimenti con un “ordine esecutivo” imposto dall’alto [executive fiat] che erose il valore reale.
Il Regno Unito, da parte sua, “tassò” gli acquirenti patriottici del “prestito di guerra” con la stessa mancanza di sentimentalismo.
Non è così facile, in un mondo globalizzato e caratterizzato dal libero flusso di capitali, praticare un “haircut” ai creditori. Qualsiasi paese che cerchi di farlo in modo troppo aggressivo sarà passato al microscopio e dovrà affrontare una fuga di capitali.
C’è una certa sicurezza sui numeri finché tutto il blocco dell’OCSE gioca allo stesso gioco, ma l’Inferno non ha lo stesso furore di un risparmiatore derubato.
Secondo me c’è un altro mezzo molto più felice.
Se per qualche anno riuscissimo a raggiungere un’inflazione comodamente al di sopra del 2pc (più facile a dirsi che a farsi, come ha sperimentato il Giappone), l’economia ne sarebbe lubrificata e il rapporto debito/Pil scenderebbe senza disturbare il “Contratto Fondamentale” fra creditori e debitori.
Quello di cui non abbiamo certamente bisogno è di un draconiano sequestro dei beni privati e di un nuovo shock recessivo. Un po’ di buon senso, per favore.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2020/05/19/calvinist-wealth-seizure-utter-madness/
Scelto e tradotto da Franco
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