Juliet Samuel per The Telegraph
L’episodio si è verificato verso la fine dello scorso anno, al termine di un triste seminario serale del King’s College di Londra.
Una Professoressa che segue da vicino l’internamento degli Ujguri nei “campi” cinesi, aveva appena finito di descrivere i metodi di annientamento culturale di Pechino.
Una delle studentesse, una ragazza di Hong Kong, alzò la mano e chiese: “Quello che è successo nello Xinjiang potrebbe ripetersi a Hong Kong?”.
Per un attimo la domanda mi sembrò assurda. Hong Kong non è come lo Xinjiang!
Io ho visitato Hong Kong. Ricordo di aver mangiato un bel piatto di formaggi (dopo due settimane passate in Cina) e di aver gustato lo spettacolo delle luci sui grattacieli di Kowloon.
Ricordo anche di aver parlato con i giornalisti che lavorano a Hong Kong, seduti in quella piccola anticamera di libertà in attesa del visto cinese.
Ma poi ho capito, all’improvviso, che la risposta alla domanda della studentessa era: “sì, potrebbe accadere”.
Pechino ha rinunciato a rispettare le libertà di Hong Kong, dando inizio all’integrazione della città nel suo sistema politico attraverso la nuova “Legge sulla Sicurezza”.
Ha arrestato migliaia di persone che manifestavano in favore della democrazia, comprese decine di bambini/e filmati mentre venivano presi in custodia, con i loro zaini e le loro code di cavallo.
Il “nuovo regime” di Hong Kong avrà probabilmente un aspetto un po’ diverso da quello dello Xinjiang, ma i principi saranno gli stessi.
Dissenso, giustizia, stato di diritto, libertà intellettuale, società civile, religione: tutto dev’essere schiacciato per servire gli obiettivi del Partito Comunista Cinese (PCC).
Il Regno Unito non può fermare tutto questo. Dopo anni di crescita del potere cinese, non possiamo far altro che tirare le deboli leve che ancora ci restano.
I nostri Giudici che siedono nella Corte d’Appello di Hong Kong, in attesa dell’arrivo della dittatura dovrebbero troncare la loro attività.
Il nostro Governo, che sta estendendo il diritto d’emigrare a tutti gli abitanti di Hong Kong che ne hanno diritto, deve garantire che l’offerta sia di lungo termine e non solo temporanea.
Dobbiamo sostenere qualsiasi misura internazionale volta a rimuovere lo speciale “status commerciale” di Hong Kong, anche a costo di penalizzare le nostre attività.
Più in generale dobbiamo riclassificare la Cina, nella nostra mente e nelle nostre politiche, per quello che è: uno Stato ostile.
Ci aiuterebbe ad eliminare l’influenza maligna del PCC sulla società civile, sull’élite imprenditoriale e sul mondo accademico della Gran Bretagna.
Lo scambio culturale e tecnologico con il popolo cinese è benvenuto. Il PCC non lo è.
Ci sarà un’enorme pressione perché il mondo democratico accetti il nuovo “status quo” di Hong Kong, qualunque siano i suoi orrori.
Non dobbiamo farlo perché, se lo facessimo, Taiwan sarebbe la prossima vittima dopodiché Pechino si sentirà libera di esportare i suoi metodi in tutto il mondo, controllando ciò che diciamo e pensiamo sul PCC e sui suoi interessi.
Se pensate che tutto questo sia inverosimile, parlate con gli accademici cinesi che si trovano nei campus britannici, o guardate il comportamento di alcune aziende britanniche che fanno affari con la Cina.
Per fortificarci contro la pigra accettazione, torniamo alla visione da incubo di quella studentessa: la Cina userà il modello dello Xinjiang in altri luoghi, compresa Hong Kong.
Sappiamo che il modello fu sperimentato la prima volta nel Tibet ma, esattamente, in cosa consiste?
Consiste in più di un milione di Uiguri (un gruppo etnico per lo più musulmano) rinchiuso nei “campi di rieducazione” per ricevere una “formazione professionale”, così sostiene Pechino.
Ma i resoconti dei fuggitivi dicono cose molto diverse. Raccontano di un sistema infernale in cui i prigionieri sono costretti a vivere incatenati in una stanza, con un secchio per gli escrementi.
La mattina devono cantare a squarciagola inni di lode al Partito Comunista e a Xi Jinping. Nel pomeriggio, invece, devono “confessare” i loro “peccati”. Chi resiste viene picchiato.
Le detenute del campo femminile sono soggette a stupri sistematici. All’arrivo, vengono sottoposte a esami medici e sono costrette a prendere pillole, o a farsi iniettare droghe, in apparenti esperimenti medici.
Si sospetta che Pechino usi quei campi come fonte per la raccolta di organi, come ha già fatto con decine di migliaia di seguaci del Falun Gong.
Alcuni osservatori, come la Dot.ssa Joanne Smith Finley (conduttrice del seminario del King’s), temono che sia già in atto un genocidio segreto, con i prigionieri spediti verso est e poi fatti scomparire.
Fuori dalle carceri, il Governo Provinciale gestisce un sistema distopico che fonde tecnologie all’avanguardia (fornite dalla Huawei) con uno “stato di polizia” vecchio stile.
Gli studenti Uiguri tornano a casa e scoprono che le loro famiglie sono semplicemente scomparse.
Le foto scattate da visitatori come la Dot.ssa Finley mostrano le case, una dopo l’altra, semplicemente vuote.
I rifugiati che vivono all’estero sono tagliati fuori da qualsiasi contatto e possono guardare solo on-line le loro città, le tombe di famiglia che scompaiono da Google Earth e i loro parenti che sfilano in televisione per denunciarli.
Praticamente, ogni angolo di strada e ogni palo di recinzione ha una telecamera per monitorare la gente del posto, perché non faccia qualcosa d’illegale come possedere un Corano o indossare un abito tradizionale. I residenti, inoltre, devono spiarsi a vicenda.
I bambini delle scuole, molti dei quali con genitori detenuti a tempo indeterminato, vengono reclutati nei gruppi giovanili del PCC.
Vengono affissi manifesti che recano il loro volto con aggiunte sinistre citazioni sul loro amore per Xi.
I cinesi di etnia Han, nel frattempo, sono incoraggiati ad emigrare nello Xinjiang attraverso manifesti in cui il territorio appare vergine, pronto per essere occupato.
Smettiamola di parlare del Governo cinese come se fosse portatore solo di “un altro modo di fare le cose”.
Nonostante il progresso economico, è fortemente orientato al controllo più ossessivo della popolazione — non solo in patria, ma anche all’estero.
Per decenni Hong Kong è stata l’eccezione alla regola. È stato uno hub che collegava la Cina al mondo e il mondo alla Cina.
È stato il luogo dove gli intellettuali cinesi hanno potuto pubblicare libri che non potevano passare la censura della Cina continentale.
Era il luogo dove i lettori andavano a comprare libri o a usare Facebook.
Era il luogo dove i continentali andavano a comprare il latte artificiale per i loro bambini, quando si scoprì che la marca più popolare della Cina era contaminata e quindi li avvelenava.
Era la porta attraverso la quale il capitale occidentale affluiva in Cina per costruire le fabbriche — ed è la via di fuga attraverso la quale i cinesi cercano di far passare le loro ricchezze, per portarle lontano dal PCC.
Ma il PCC non vuole che i suoi cittadini siano collegati al resto del mondo. Tutto ciò che vuole dal resto del mondo è tecnologia, denaro e obbedienza.
Il minimo che possiamo fare è rifiutarci di concederglieli.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/politics/2020/05/29/horrors-await-hong-kong-underfull-chinese-rule/
Scelto e tradotto da Franco
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