Redazione: In un articolo pubblicato ieri abbiamo stigmatizzato l’ignobile lassismo dell’Occidente sul conflitto fra gli Stati Uniti e la Cina.
Ci permettiamo una citazione di Hemingway: “Non chiedere mai per chi suona la campana. Essa suona sempre per te”.
Dopo aver suonato per le Filippine e il Viet Nam (espropriati di alcune isole davanti alle loro coste), dopo aver suonato per Hong Kong e in attesa che suoni anche per Taiwan, stavolta è il turno dell’India.
Espropriata dei suoi territori, è stata messa davanti al fatto compiuto.
E adesso cosa succede? Una guerra nucleare per una valle che nessuno conosce, che però ai cinesi interessa molto, trovandosi sulla rotta della “Via della Seta”?
Suvvia, cosa importa di tutto questo a un pacifico giapponese, a uno spaventato coreano o a un sempre meno grasso europeo?
Chi mai metterà fine alla prepotenza della Cina, ringalluzzita dai problemi che il suo virus ha creato al resto del mondo, incoraggiata dalla becera rivolta dei BLM?
Speriamo negli Stati Uniti. In Italia, invece, siamo tutti convinti del miraggio cinese. Il risveglio sarà brusco.
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Sudha Ramachandran per The Diplomat (sintesi)
Le tensioni fra India e Cina lungo la “Line of Actual Control” (LAC) si sono notevolmente aggravate quando, lunedì sera, un Ufficiale dell’Esercito Indiano e 19 soldati sono stati uccisi in “un violento scontro corpo a corpo” nella “Valle di Galwan”, nel Ladakh.
Si prevede che il numero dei morti aumenterà perché decine di altri soldati saranno coinvolti nei combattimenti.
Secondo una dichiarazione dell’Esercito Indiano entrambe le parti hanno subito delle perdite.
Il Governo Cinese non ha ancora reso note le cifre dei morti e dei feriti ma l’Agenzia ANI ha riferito che 43 soldati cinesi dovrebbero essere stati uccisi o feriti nello scontro.
Con grande preoccupazione dell’India, martedì il Governo Cinese aveva rivendicato la sovranità sulla “Valle di Galwan”.
La Cina ha sostenuto che quell’area è da sempre un suo territorio e ha incolpato l’India per gli scontri.
Il “Ministero degli Affari Esteri” Indiano, invece, ha accusato Pechino di voler cambiare unilateralmente lo status quo della zona.
Anche se nei combattimenti non sono state usate armi da fuoco, lo scontro è stato comunque “selvaggio”.
“Le squadre d’assalto Cinesi, armate con tondini di ferro e manganelli avvolti nel filo spinato hanno cacciato e massacrato le nostre truppe”, hanno riferito fonti indiane.
Gli scontri di lunedì sera dovrebbero far suonare il campanello d’allarme sia a Nuova Delhi che a Pechino.
È lo scontro più cruento da quello di “Nathu La” nel 1967. È anche la prima volta che, dal 1975, dei soldati perdono la vita lungo il LAC.
Il confronto ha avuto luogo contemporaneamente ai colloqui fra militari indiani e cinesi, volti a disinnescare le tensioni lungo il loro conteso confine.
Solo pochi giorni prima le tensioni bilaterali sembravano si fossero allentate, almeno un po’.
“La situazione lungo il LAC è sotto controllo”, aveva dichiarato il 13 giugno il “Generale in Capo” dell’Esercito Indiano, Manoj Mukund Naravane, dopo una serie d’incontri fra i comandanti locali delle due parti.
Il fatto che le violenze siano avvenute proprio quando le due parti stavano lavorando per “migliorare la situazione al confine” — dando inizio ad un “parziale disimpegno” nel Ladakh Orientale — indica quanto sia fragile la situazione sul terreno.
Riafferma ciò che una parte degli analisti Indiani — criticati dal Governo Indiano per la gestione della crisi di maggio lungo il LAC — ha detto nell’ultimo mese: “… c’è molto di cui preoccuparsi lungo il fronte settentrionale dell’India”.
L’intero confine fra India e Cina è oggetto di reciproche contestazioni e il LAC è il confine di fatto.
Nella percezione indiana il LAC è lungo 3.488 chilometri, mentre i cinesi sostengono che la sua lunghezza sia di soli 2.000 km.
Oltre alle differenze sulla lunghezza, sia l’India che la Cina rivendicano notevoli porzioni di territorio posti sotto il controllo dell’altro.
Nel settore occidentale l’India rivendica 38.000 kmq di territorio, che un tempo era parte dello Stato “Jammu e Kashmir”, oggi noto come territorio dell’”Unione del Ladakh”.
Si tratta di un territorio che la Cina occupò nella guerra sino-indiana del 1962 e che poi rimase sotto il suo controllo.
L’India rivendica altri 5.180 kmq di terreno nella parte di Kashmir che il Pakistan cedette alla Cina nel 1963.
Nel settore orientale Pechino rivendica, a sua volta, circa 90.000 kmq di territorio che approssimativamente equivale allo Stato Indiano dell’”Arunachal Pradesh”, ovvero a quello che Pechino chiama “Tibet del Sud”.
Durante la guerra del 1962 la Cina avanzò su quel territorio ma, successivamente, si ritirò. Il settore centrale del LAC è il meno controverso dei tre.
La crisi attuale è scoppiata il 5 maggio, quando le truppe Indiane e Cinesi si sono scontrate a Pangong Tso, un lago a cavallo del LAC sito nel Ladakh.
Secondo quanto ci è stato riferito, i soldati del “People’s Liberation Army” (PLA) avrebbero impedito alle truppe indiane di pattugliare le aree tra il “Finger 4” (la linea di rivendicazione cinese) e il “Finger” 8 (la linea di rivendicazione indiana).
“Questo è un territorio che fino al 5 maggio pattugliavamo entrambi”, ci ha detto un Ufficiale Superiore del Comando Nord dell’Esercito Indiano.
Nelle settimane successive le due parti si sono scontrate anche in altri luoghi del settore orientale.
“Le intrusioni cinesi sono cresciute in frequenza e profondità. Il PLA ha costruito dei bunker e dispiegato ulteriori truppe e veicoli pesanti nelle zone occupate”, ha detto l’Ufficiale dell’Esercito Indiano.
In un incontro (6 giugno) nella regione di Chushul-Moldo fra i comandanti militari indiani e cinesi, le due parti hanno convenuto di “risolvere pacificamente la situazione nelle zone di confine, in conformità con i vari accordi bilaterali. Seguirà un parziale disimpegno e continueranno i colloqui fra gli Ufficiali a vari livelli”.
Tuttavia, come indica lo scontro di lunedì sera, la situazione lungo il LAC è dir poco volatile e preoccupante.
Di tanto in tanto le tensioni scoppiano perché sono diverse le percezioni di dove corra il confine — e così le pattuglie di entrambe le parti si scontrano.
Questa volta, tuttavia, i problemi non sono quelli soliti.
Quello che è successo nella “Valle di Galwan” non è stato un normale incidente fra pattuglie, ma il risultato del tentativo della Cina di ridisegnare unilateralmente il LAC.
Le mosse cinesi nella “Valle di Galwan” hanno messo a nudo questa strategia.
Alla fine di aprile la Cina ha cominciato ad ammassare truppe lungo il LAC, per poi inviarle sul lato indiano.
“Il LAC, nella “Valle di Galwan”, è definito con notevole chiarezza e fu accettato da entrambe le parti”, ha sottolineato Shukla.
Ma la Cina ha comunque inviato i suoi soldati per 3-4 km oltre il confine, violando “la linea di confine e occupando il territorio che Pechino tradizionalmente riconosce per essere indiano”.
Ha innescato un conflitto in un’area sulla quale non c’erano tensioni dal 1962.
Poi, martedì, il Governo Cinese ha fatto un ulteriore passo in avanti rivendicando la sovranità sulla “Valle di Galwan” nella sua interezza.
A differenza del passato, questa volta ha “inviato migliaia di soldati”.
“Le tende, i bunker e le altre infrastrutture che i cinesi hanno posto sul lato indiano del LAC indicano che sono qui per restare”, ha detto l’Ufficiale dell’Esercito Indiano.
Se è vero che le ambizioni territoriali della Cina e la sua aggressività siano da biasimare, il Governo Indiano, da parte sua, ha forti responsabilità per la situazione di svantaggio in cui oggi si trova.
I rapporti dei Servizi Segreti di aprile sulla concentrazione di Forze Cinesi nel Ladakh avrebbero dovuto spingere Nuova Delhi a rafforzare la propria presenza militare nella zona.
Ma così non è stato. Anche dopo gli scontri del 5 maggio il Governo Indiano ha minimizzato la portata dell’aggressione cinese.
In effetti, il Comandante in Capo dell’Esercito, Naravane, ha descritto gli incidenti nel Ladakh come “scontri temporanei e di breve durata”.
Ma allora … perché Nuova Delhi sta sminuendo questa crisi?
Il Primo Ministro Narendra Modi e il Bharatiya Janata Party (BJP) sono da sempre forti sostenitori del nazionalismo e di un approccio muscolare con i Paesi confinanti.
Avendo affermato di essere i più forti “guardiani della sicurezza nazionale” e della “sovranità territoriale dell’India”, hanno finito con il trovarsi in una situazione difficile.
“Sono stati sorpresi a farsi un pisolino lungo il confine. Da qui il tentativo di offuscare gli eventi”, ha detto l’Ufficiale dell’Esercito Indiano.
Preoccupato di salvare la faccia davanti al popolo indiano, il Governo del BJP ha cercato di sviare le domande sulla cattiva gestione della crisi, sottolineando il suo impegno volto a riaffermare “l’orgoglio nazionale”.
Ma la morte di 20 soldati indiani nello scontro di lunedì sera pone al Governo Modi domande molto più acute.
Terminato il lungo silenzio sulla “questione dei confini”, Modi ha avvertito la Cina che “l’India, se provocata, è capace di dare una risposta adeguata”.
Ha così convocato una riunione di tutti i Partiti per venerdì prossimo, per discutere della situazione lungo il confine.
Resta da vedere come il suo Governo risponderà all’occupazione cinese.
La sua cattiva gestione potrebbe culminare con la perdita di territorio a favore della Cina.
Secondo il Tenente Generale Panag, che è stato “Comandante in Capo” del “Comando Nord” fra il 2007 e il 2008, nelle ultime settimane i cinesi hanno occupato un’area di 35-40 kmq.
Negando la perdita di territorio, il Governo Modi sembra fare il gioco dei cinesi, appoggiando di fatto la loro posizione.
Ancor più pericolosa è la spiegazione data dal Governo alle tensioni lungo i confini.
“I faccia a faccia fra le truppe di frontiera si verificano lungo il LAC a causa delle divergenze sui confini”, ha detto Naravane a fine maggio.
“Tali spiegazioni potrebbero aprire il vaso di Pandora”, ha scritto Panag.
Potrebbero incoraggiare la Cina ad usare una strategia simile per occupare altri territori attualmente sotto il controllo indiano.
Potrebbero “comportare la perdita di altro territorio, a Chumar, Demchok, Fukche, Kailash Range, Hot Springs, lungo il fiume Shyok e nelle pianure di Depsang”.
I funzionari indiani hanno dichiarato che il loro obiettivo è quello di far sì che i cinesi ripristinino lo “status quo ante” a partire dal mese di aprile.
Riusciranno a convincere i cinesi?
Non c’è motivo perché Pechino dia ascolto alle richieste dell’India. Dopotutto, si trova in una posizione di vantaggio.
La modifica unilaterale del LAC sembrerebbe essere un fatto compiuto.
Nella migliore delle ipotesi l’India può aspettarsi che i cinesi si tirino un po’ indietro, ma solo dopo aver ottenuto importanti concessioni da Nuova Delhi.
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Link Originale: https://thediplomat.com/2020/06/blood-spilled-on-the-china-india-border/
Scelto e tradotto da Franco
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