Redazionale di Megas Alexandros
E’ di oggi la notizia dell’iscrizione nel “Registro degli Indagati” del Governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, per la storia della fornitura di camici effettuata dalla ditta del cognato.
La notizia è clamorosa soprattutto per l’evidente ingenuità con cui Fontana si è infilato dentro la vicenda.
Una tale ingenuità si giustifica solo con l’ipotesi che la tanto paventata secessione del Nord fosse veramente nella testa del Partito di Salvini.
Ma veniamo ai fatti, frutto dell’indagine della Procura di Milano. Li riportiamo fedelmente da “Il Fatto Quotidiano” il quale, a sua volta, fa riferimento al Corriere.
“Frode in pubbliche forniture” in concorso con il cognato Andrea Dini (che gestisce la Dama spa) e con il DG dimissionario di Aria Spa (la centrale-acquisti regionale), Filippo Bongiovanni.
E’ questa l’accusa con cui la Procura di Milano ha iscritto nel “Registro degli Indagati” il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana.
L’inchiesta sulla fornitura di camici per l’emergenza coronavirus era stata resa pubblica da due inchieste di Report e del Fatto Quotidiano.
ll 19 maggio, allertato da un’intervista di Report trasmessa quattro giorni prima, il Governatore chiese all’Unione Fiduciaria di effettuare un bonifico, da un suo conto personale, in favore della Dama spa: 250mila euro, il mancato profitto della vendita dei dispositivi.
Operazione che la fiduciaria ritenne sospetta, segnalandola di conseguenza alla Banca d’Italia.
Secondo il Corriere, dimostra che il leghista fosse al corrente dell’operazione nonostante se ne dichiarasse totalmente estraneo.
E, al centro delle verifiche del PM-aggiunto (Maurizio Romanelli) e della Guardia di Finanza, c’è proprio il ruolo svolto dal Governatore che, fino al 7 giugno, si era dichiarato estraneo alla procedura: “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”.
Ma, come racconta il Corriere della Sera, con una parte dei soldi che deteneva in un conto svizzero a lui intestato (5,3 milioni, scudati nel 2015, provenienti da due trust alle Bahamas), il leghista cercò di effettuare fin dal 19 maggio un bonifico (poi ritenuto sospetto) da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta.
In poche parole, la cifra corrispondente al mancato profitto del cognato, causato dal provvedimento che Fontana avrebbe preso il giorno dopo.
Provvedimento con cui trasformava la “vendita” dei 75mila camici alla Regione in “donazione” — assieme alla rinuncia dell’azienda a farsi pagare i 49.353 camici e i 7.000 set già consegnati.
Un’operazione che fece scattare l’allarme nell’Unione Fiduciaria che bloccò il pagamento perché, sulla base della normativa antiriciclaggio, non aveva ravvisato una causale coerente con il bonifico — disposto oltretutto da un soggetto “sensibile”, in ragione dell’incarico politico.
E così la fiduciaria, in segreto, fece una “segnalazione di operazione sospetta” all’”Unità d’Informazione Finanziaria” della Banca d’Italia, che la girò alla Guardia di Finanza e alla Procura, che cominciarono a indagare sul ruolo di Fontana nella vicenda.
Poco dopo, i finanzieri si recarono nella sede dell’Unione Fiduciaria, acquisendo gli atti e ascoltando (il 9 giugno) il Responsabile della “Funzione Antiriciclaggio”.
Due giorni dopo, l’11 giugno, Fontana chiese alla fiduciaria di non effettuare più il bonifico che aveva richiesto con così grande urgenza.
L’ipotesi degli inquirenti è che il Governatore lombardo, a differenza di quanto aveva dichiarato fino al 7 giugno, sapesse da almeno tre settimane cosa stesse succedendo con l’”affare dei camici”, pur continuando a dichiarare la propria estraneità ai fatti.
Se questo venisse confermato, costituirebbe una violazione del “Patto d’integrità” contro il “Conflitto d’Interesse”.
Secondo il Corriere, Fontana aveva saputo fin da subito dell’affare, visto che a informarlo fu il suo Assessore Raffaele Cattaneo, Capo dell’Unità di Emergenza, che stava cercando di reperire il maggior numero di camici possibile, nei giorni dell’emergenza Covid.
Rimane infine la questione della provenienza dei soldi per il bonifico.
Come detto, questi erano stati recuperati da un conto svizzero di Fontana (assolutamente lecito), acceso presso la banca Ubs Ag.
L’aspetto più delicato è che questi 5,3 milioni, senza che il Governatore ne avesse mai parlato pubblicamente, sono frutto di una “voluntary disclosure”, cioè della Legge per favorire il rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero.
Nel settembre 2015, dopo la morte della madre Maria Giovanna Brunella, Fontana “scudò” i 5,3 milioni detenuti in Svizzera e provenienti da due trust creati alle Bahamas nel 2005, quando Fontana presiedeva il Consiglio Regionale.
Trust dei quali la madre dentista figurava “intestataria”, mentre Fontana risultava in uno “soggetto delegato” e nell’altro “beneficiario economico”.
Sulla vicenda mi lasciano altamente esterefatto le parole a caldo del Capo della Lega Matteo Salvini, che si e’ scalgiato contro i PM:
“Attilio Fontana ‘indagato’ perché un’azienda ha regalato migliaia di camici ai medici lombardi. Ma vi pare normale? La Lombardia, le sue istituzioni, i suoi medici, le sue aziende e i suoi morti meritano rispetto. Malagiustizia a senso unico e ‘alla Palamara’, non se ne può più”, ha scritto il leader del Carroccio su Twitter.
Credo, che di fronte alla evidenza dei fatti sopra descritti, ogni italiano onesto e di buon senso non possa far altro che convenire che queste parole di Matteo Salvini non siano altro che la pietra tombale sulla sua carriera politica, una carriera politica gia’ molto compromessa, visto il palese tradimento verso i suoi elettori sul tema dell’italexit.
Un politico deve essere al di sopra di ogni dubbio e sinceramente nella vicenda che riguarda Fontana i dubbi sono molti. La magistratura fara’ il suo lavoro, ma la difesa di Salvini, consentitemi, allo stato attuale, e’ completamente fuori luogo e devestantante per il suo futuro politico qualora i dubbi fossero confermati dalle indagini con il relativo rinvio a giudizio del governatore della Lombardia.
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MA
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