Redazione: L’articolo è interessante per comprendere quello che all’estero si pensa dell’Italia. Si aggiunge agli altri che sono apparsi sulla stampa internazionale.
Tutti puntano il dito contro il nostro Paese, benché non sia il solo alle prese con un debito pubblico notevole.
Quelli di Francia e Spagna, ad esempio, seppur inferiori al nostro, toccheranno comunque il 130pc, a fronte di una minore tendenza al risparmio, un notevole debito privato e una bilancia commerciale in perenne deficit.
Ma si parla solo dell’Italia. Perché?
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Pieter Cleppe per National Review (sintesi)
In Europa, quando la crisi del coronavirus si placherà, potrebbe riaccendersene un’altra: quella della moneta comune, l’euro.
Questa crisi si scatenò la prima volta nel 2009-2010 — quando la Grecia fu sul punto di fallire — e non è mai veramente passata.
Potrebbe avere delle conseguenze anche per gli Stati Uniti.
Nessun Paese dell’eurozona è insolvente grazie alla BCE, che ha massicciamente stampato denaro.
I Governi europei, da parte loro, hanno speso come marinai ubriachi.
Solo la Germania ha impegnato 1,2 trilioni di euro, più di ogni altro Paese dell’UE.
C’è il pericolo reale che il sostegno tedesco alle imprese nazionali comprometta la leale concorrenza nell’UE, che dovrebbe essere garantita dalla Commissione Europea (che stavolta è rimasta in silenzio).
Recentemente, i Governi europei hanno stanziato ulteriori 750 miliardi di euro per incentivare il superamento della pandemia (“Next Generation EU”).
Andranno ad aggiungersi agli oneri che già gravano sui contribuenti europei.
Quei capitali saranno presi in prestito sui mercati internazionali — forse anche dalla Cina — e garantiti congiuntamente dai Governi europei.
Uno sviluppo che, per quanto contrastato dai Paesi del nord, è di notevole importanza politica.
Per rimborsare i prestiti emessi congiuntamente, la Commissione Europea preleverà le tasse direttamente dai singoli Paesi.
Alla “tassa sui rifiuti plastici non riciclati” potrebbe seguire “un prelievo sull’emissione di carbonio e uno sul digitale”.
I Paesi cosiddetti “frugali” (Olanda, Austria, Svezia e Danimarca), fiscalmente responsabili, hanno esitato a lungo ma, alla fine, hanno ceduto.
L’UE, in effetti, non spende bene i soldi che gestisce.
Tanto per cominciare, dedica più di 400 miliardi di euro ai “sussidi agricoli”, indipendentemente dall’effettiva produzione.
Equivalgono a enormi trasferimenti di risorse pubbliche ai proprietari di terreni agricoli — fra i quali (prima della Brexit) la Regina d’Inghilterra.
Il sistema emerse dopo che i sussidi agricoli dell’UE avevano portato a una massiccia sovrapproduzione.
Invece di ridurli, si decise di disaccoppiarli dalla produzione.
Come si può leggere in un dettagliato rapporto (2019) del New York Times:
“”In tutta l’Ungheria e in gran parte dell’Europa Centrale e Orientale la maggior parte delle sovvenzioni va a poche e potenti persone.
Il Primo Ministro della Repubblica Ceca ha ricevuto decine di milioni di dollari proprio l’anno scorso.
I sussidi hanno portato all’accaparramento di terreni sia in Slovacchia che in Bulgaria””.
Secondo il Times: “”Pochi leader hanno tentato di sfruttare il sistema dei sussidi in modo così diffuso e sfacciato come [il Primo Ministro Victor] Orban in Ungheria””.
I “fondi regionali” sono, per importanza, il secondo settore di spesa dell’UE.
Dovrebbero aiutare le regioni più povere d’Europa a recuperare il ritardo, ma hanno finito per “sostenere la criminalità organizzata e la mafia del Sud Italia”, secondo la Banca Centrale Italiana.
La maggior parte delle ricerche economiche ha concluso che questi fondi non aiutano a colmare il divario economico.
Uno studio sostiene addirittura che portino più danni che benefici alle regioni che sono beneficiarie nette di questa generosità.
Lo spreco associato ai fondi UE non è un segreto, ma è spesso considerato come una sorta di “tangente” per sostenere il “mercato unico” dell’UE, che consente alle imprese soprattutto tedesche di commerciare in Europa in modo più agevole.
Il mercato unico è una buona cosa, anche se il suo obiettivo è passato dall’eliminazione del protezionismo nazionale all’armonizzazione delle norme a livello europeo.
Il malcontento per quest’ultimo aspetto e la spesa scriteriata dell’UE sono stati due dei motivi alla base della Brexit.
Il malcontento nei “Paesi frugali” è sempre più forte, ma non è comunque il presagio di un esodo dall’Unione.
Un’idea che da quelle parti è assolutamente minoritaria.
In Italia, invece, il sostegno per l’uscita dall’UE e dall’eurozona è decisamente maggiore. In aprile, rispettivamente intorno al 40 e al 50pc.
Dopo la Brexit, le voci a favore di una gestione finanziaria responsabile si sono indebolite.
La pandemia ha aiutato coloro che spingevano per una maggiore capacità di spesa dell’UE.
È importante notare, tuttavia, che la facoltà della Commissione UE di emettere debito congiunto è limitata nel tempo.
Alla fine, i 750 miliardi di euro del nuovo programma di prestiti congiunti sono relativamente pochi.
A dirla tutta, è la BCE che sta impedendo la disgregazione dell’eurozona.
Le tasse sono già molto elevate nei paesi finanziariamente più deboli come Francia, Belgio, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna.
Il danno economico del Covid sta ora schiacciando il gettito fiscale.
Se i Governi di questi paesi vogliono evitare grandi tagli alla spesa, devono aumentare l’indebitamento … ed è qui che entra in gioco la BCE.
I disavanzi di bilancio dei Governi dell’eurozona ammonteranno quest’anno a ca. 1,4 trilioni di euro, pari all’incirca al denaro extra che la BCE si è impegnata a iniettare nel sistema entro la fine dell’anno.
Secondo stime prudenti, entro la fine del 2021 l’espansione monetaria supererà 1,6 trilioni di euro, molto più dei 340 miliardi che la Commissione Europea intende distribuire fino alla fine del prossimo anno.
La BCE è diventata una cruciale fonte di finanziamento per molti Governi dell’eurozona.
Lo fa attraverso programmi apparentemente infiniti, identificati solo in forma abbreviata: LTRO, TLTRO, PEPP e PSPP.
Per quanto riguarda il denaro prestato alle banche, questo viene speso in gran parte in obbligazioni dei Governi dell’eurozona.
Nel 2011, il Presidente francese Sarkozy affermò che il vero scopo del programma LTRO era quello di finanziare i Governi: “”Questo significa che ogni Stato può rivolgersi alle proprie banche, che avranno liquidità a disposizione””.
La BCE, inoltre, acquista i Titoli senza rispettare la regola del Capital Key a vantaggio degli paesi finanziariamente più deboli, con notevole disappunto dei Paesi del nord dell’eurozona.
Ci sono vincoli legali, in effetti, che mirano a impedire il finanziamento monetario, considerato antidemocratico (perché aumenta la spesa pubblica aggirando il controllo parlamentare) — ma l’ammontare non è comunque abnorme.
Recentemente, la Corte Costituzionale tedesca è intervenuta con una Sentenza che accusa la BCE di condurre i propri programmi non motivando sufficientemente le ragioni per cui siano necessari.
Ma i Giudici tedeschi sono storicamente bravi ad abbaiare ma non a mordere e, così, è stato trovato un altro fudge, con la Bundesbank che si è limitata a consegnare una nota esplicativa.
Per molto tempo l’opposizione tedesca all’attivismo della BCE ha agito come freno, ma i ricordi del trauma dell’iperinflazione del XX secolo stanno svanendo, anche grazie alla stabilità dei prezzi al consumo.
Il denaro creato dalla BCE e prestato alle banche, in effetti, è semplicemente rimasto nel sistema bancario.
Le banche non stanno concedendo prestiti perché non sono in grado d’individuare progetti sufficientemente validi da poter finanziare.
I risparmiatori europei, d’altro canto, sono diffidenti nei confronti di strategie d’investimento più attive, temendo una correzione del mercato azionario o immobiliare.
Il fatto che i “tassi d’interesse” siano stati spinti in territorio negativo non ha fatto cambiar loro idea in misura significativa.
Di conseguenza, la prossima tappa potrebbe esser il cosiddetto “helicopter money”: concedere denaro ai cittadini piuttosto che alle banche.
In questo modo (almeno in teoria) il denaro creato non resterebbe inattivo nel sistema bancario, ma potrebbe essere utilizzato dai cittadini immediatamente.
In effetti, se un numero sufficiente di persone cominciasse a spendere subito quei soldi, i prezzi al consumo salirebbero, “costringendo” le persone a non ritardare gli acquisti nella speranza che il prezzo diminuisca.
Andando avanti, l’euro non gode dello status di ”valuta di riserva” a differenza del dollaro americano.
La sua credibilità come “riserva di valore” è notevolmente inferiore.
La BCE può controllare quanti euro inserire nel sistema, ma non il grado di fiducia.
Non è quindi da escludere che la BCE possa essere costretta ad aumentare i “tassi d’interesse” per arginare una “fuga di capitali”.
Nell’eurozona, un aumento dei “tassi d’interesse” non sarebbe semplicemente una questione di disagio politico ed economico.
Potrebbe minacciare la sopravvivenza stessa della moneta unica.
E ancora, i politici dell’Europa Meridionale potrebbero semplicemente rigettare “controlli”più severi”, nonostante gli omologhi settentrionali li abbiano posti come condizione per ottenere un sostegno fiscale.
Oppure, i politici del Nord Europa potrebbero non essere più in grado di persuadere i loro elettori della necessità di evitare un default sovrano a uno o più membri meridionali dell’eurozona.
In ogni caso, anche se non si potesse trovare una soluzione all’interno dell’eurozona, c’è sempre la possibilità che gli Stati Uniti salvino l’Europa.
Nei momenti peggiori della crisi dell’eurozona (2009-2010) la Federal Reserve statunitense fornì “linee swap” alle banche europee che avevano bisogno di dollari.
Gli Stati Uniti lo fanno, tipicamente, per le nazioni amiche.
Ma in quel caso c’era in gioco molto di più e così il Segretario del Tesoro di Obama, Tim Geithner, dovette recarsi a Berlino per convincere il Governo tedesco a salvare la Grecia.
A quei tempi, era nell’interesse degli Stati Uniti salvaguardare l’euro.
Ma la Washington dell’”America First” terrà ancora la borsa aperta nel caso di una “fuga di capitali” dall’eurozona?
E’ difficile dirlo, ma l’Amministrazione statunitense deve cominciare a concentrarsi sulle notizie economiche che escono dall’Europa.
Ci sarebbe, se del caso, una forte pressione sul Presidente Trump perché agisca di nuovo per “salvaguardare la stabilità finanziaria globale”.
Ma l’America dovrebbe resistere alla tentazione di sostenere una struttura troppo traballante.
La consistenza dell’economia italiana, ad esempio, è inferiore a quella precedente l’ingresso nell’eurozona, nel 1999.
Conseguenza di anni e anni d’imponenti avanzi di bilancio, il Governo italiano non ha potuto avviare una vera e propria politica di crescita economica.
I tassi d’interesse nominali possono essere bassi, ma le somme assolute lasciate dalla terribile gestione finanziaria negli anni ’80 richiedono tasse elevate — e queste non sono una ricetta per la crescita.
La spiacevole realtà è che il debito pubblico italiano sia semplicemente troppo alto per essere ridotto a una dimensione gestibile.
I politici italiani ed europei dovrebbero accettare che un parziale default sia l’unica via d’uscita.
È vero, danneggerebbe gli investitori e la BCE (detiene ca. il 20% del debito italiano).
Ma è meglio affrontare un po’ di dolore oggi piuttosto che danni ancora peggiori in futuro.
Un parziale default italiano porterebbe alla disgregazione dell’eurozona?
Forse. Ma se l’alternativa è preservare una struttura che possa essere sostenuta solo da un debito sempre maggiore … ebbene, non sarebbe la cosa peggiore.
A essere onesti, il danno di un default italiano potrebbe essere così grande da rendere illusorie le speranze per una “ristrutturazione ordinata del debito” e per un “risanamento gestito” dell’eurozona.
In tal caso, l’opzione migliore è che i Governi europei abbiano un “piano B”, da attivare nel caso di una disgregazione disordinata.
Naturalmente, c’è sempre la possibilità che una crescita economica reale possa essere sufficiente a scalare la montagna del debito italiano.
Ma sarebbe pericoloso contarci.
A questi livelli d’indebitamento, ci vorrebbero tassi di crescita davvero massicci perché il Paese possa uscire dal buco finanziario.
E’ più probabile, decisamente, che si verifichi il primo scenario: una disordinata disgregazione dell’eurozona.
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Link Originale: https://www.nationalreview.com/2020/07/will-the-pandemic-bring-down-the-eurozone/
Scelto e tradotto da Franco
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