Redazione: Un’ottima analisi di Giacomo Laconi che c’introduce con chiarezza e lucidità al percorso dell’Islam Politico. Magari solo un po’ aulica.
Se è pur vero che l’Islam Politico, in fase iniziale, abbraccia la Democrazia, è altrettanto vero che dopo aver preso il potere mostra il suo vero volto.
Quale Democrazia se gli oppositori e i giornalisti vengono messi in galera?
Quale Democrazia se non si fanno i conti con il proprio passato (genocidio armeno) e si mostrano segni di crescente aggressività, anche a livello d’immigrazione?
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Giacomo Laconi per Sponda Sud
Con il termine Islam politico si definisce un insieme di ideologie che intendono applicare i principi dell’Islam alla sfera politica e sociale.
Alla base di questa concezione politica dell’Islam vi è l’idea che esso non contenga solo precetti religiosi, ma anche delle disposizioni sociali e politiche che sono ritenute perfettamente in grado di organizzare ogni aspetto dei moderni Stati musulmani.
È importante sottolineare come l’Islam politico sia un fenomeno eterogeneo, composto da una galassia di organizzazioni e movimenti molto diversi tra loro.
Ognuno di questi è il prodotto della compenetrazione tra precetti religiosi e cultura locale che genera una specifica manifestazione politica dell’Islam.
Alla diversità tipica dell’Islam, la cui interpretazione cambia nel tempo e nello spazio, si aggiunge il fatto che ogni sua declinazione politica si sviluppa in un determinato contesto socio-culturale che ne informa la narrativa e l’attività [1].
Per questo motivo non si può considerare l’Islam politico come un fenomeno monolitico, ma piuttosto come un insieme di differenti ideologie accumunate da alcuni aspetti chiave.
Tra questi vi è sicuramente la già citata volontà di organizzare la società e la politica sulla base dei principi islamici.
Inoltre, le varie organizzazioni afferenti all’Islam politico mostrano una condivisa mitizzazione del passato che le porta a idealizzare la purezza del primo Islam, considerato come un modello ideale al quale aspirare.
Da questo concetto deriva un altro elemento comune, ossia l’obiettivo di purificare la società araba e musulmana dalle impurità della storia e dalle contaminazioni importate dall’esterno, entrambe considerate motivo del declino delle società musulmane.
È proprio dalla percezione che i valori, i principi e la gloria dell’Islam siano in declino che il fenomeno dell’Islam politico si sviluppa nel corso del Novecento.
Questa fase di decadimento è senza dubbio simboleggiata dalla crisi dell’Impero Ottomano, che a partire dal XVIII secolo viene progressivamente indebolito da sconfitte e perdite territoriali che porteranno, infine, alla sua caduta nel 1922.
È il preludio alla fine del Califfato, che verrà abolito da Mustafa Kemal nel 1924 segnando un momento traumatico per l’intera comunità islamica (umma).
Questa fase di declino viene ulteriormente acutizzata dalla crescente ingerenza delle potenze europee.
Nel primo Novecento queste ultime consolidano i propri domini mediorientali, inondando l’intera regione con nuove dottrine politiche ed economiche di matrice occidentale.
I modelli europei saranno adottati da molti dei leader arabi al momento della costruzione dei rispettivi Stati nazione.
Ciò avviene non solo per costrizione esterna, ma anche perché parte delle élites arabe erano convinte che l’arretratezza dei loro Paesi fosse dovuta alle strutture sociali, economiche e politiche preesistenti.
Tuttavia, i modelli di sviluppo e le istituzioni occidentali condussero a risultati politici ed economici penosi, mentre a livello sociale si fece largo la paura di perdere la propria tradizione e cultura.
Questo timore era particolarmente vivido nell’ortodossia islamica, secondo la quale la “modernità” occidentale avrebbe allontanato la comunità musulmana dalla pratica dell’Islam, snaturandola e portandola quindi alla sua rovina.
Nel momento in cui le dottrine secolari si rivelano fallaci e i leader degli Stati arabi postcoloniali iniziano a perdere consenso, si sviluppano dei movimenti che denunciano le ideologie occidentali e propongono dei modelli alternativi basati sui principi islamici.
Questi gruppi considerano l’Islam come una cultura totalizzante che incorpora precetti religiosi e aspetti sociali, politici ed economici, perfettamente in grado, quindi, di fornire tutte le risposte alle necessità delle società arabe e dei nuovi Stati-nazione mediorientali [2].
È in questo contesto che nasce il primo movimento islamista, la Fratellanza Musulmana.
Fondata in Egitto nel 1928 da Ḥasan al-Bannāʾ, la Fratellanza introduce all’interno dell’Islam una nuova forma di organizzazione che mira a re-islamizzare la società agendo principalmente sul piano politico e sociale, e non più solo su quello religioso come le istituzioni islamiche tradizionali.
La Fratellanza nasceva dal sentimento di oppressione provato dalla società civile egiziana a causa del diffondersi dei valori e delle pratiche europee.
Per al-Bannāʾ e i suoi seguaci la cultura egiziana doveva essere difesa attraverso una riproposizione dell’Islam originario, considerato in grado di gestire tutti gli aspetti della vita individuale e associata.
Secondo al-Bannāʾ, questo compito necessitava di un’azione organizzata e capillare capace di raggiungere i diversi strati della società.
Solo in questo modo si sarebbe potuto instaurare un ordine sociale e politico basato sui precetti islamici.
Nei decenni successivi, anche per effetto della repressione operata da Nasser (1954-1970), la Fratellanza Musulmana si è diffusa nei vicini Paesi arabi come Siria, Giordania, Tunisia e nei territori palestinesi.
Essa è diventata, insieme alle idee dell’egiziano Sayyid Qutb e del pakistano Abul-Ala Mawdudi, un modello di riferimento per i successivi movimenti islamisti degli anni Sessanta e Settanta.
Nella seconda metà del Novecento il fenomeno ha conosciuto anche una deriva armata e violenta.
La comparsa di organizzazioni jihadiste ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, ma la sua importanza nell’Islam politico è stata sovrastimata per effetto dei suoi brutali ed eclatanti attacchi terroristici.
In realtà, la stragrande maggioranza dei movimenti islamisti ha scelto di praticare l’Islam politico all’interno delle istituzioni dei propri Paesi senza ricorrere alla violenza e partecipando al gioco elettorale nel tentativo di raggiungere le posizioni di potere.
Questo è il caso dell’AKP in Turchia o del Jamaat-i-Islami e del Jamiat Ulema-i-Islam in Pakistan. In Egitto e nel Maghreb la Fratellanza Musulmana e le sue propaggini regionali hanno avuto un certo successo dopo le rivolte arabe del 2011.
Se si esclude l’Egitto, in cui la Fratellanza è stata rapidamente rimossa dal potere con un colpo di stato militare, in Tunisia con Ennahda e in Marocco con il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, i movimenti islamisti sono entrati all’interno dei sistemi di potere.
Ciò nonostante, gli islamismi non sembrano aver ottenuto grandi risultati. Se si esclude la Repubblica Islamica dell’Iran, l’Islam politico non è riuscito a modificare in maniera significativa i sistemi di potere mediorientali [3].
I casi della Tunisia e del Marocco mostrano infatti come i movimenti islamisti abbiano dovuto smussare parte delle loro posizioni ideologiche, finendo per essere cooptati e rivelandosi incapaci di creare un modello sociale e politico alternativo a quello neo-liberale occidentale.
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[1] Ayoob, Mohammed, Political Islam: Image and Reality, Duhram, Duke University Press, 2004
[2] Fondazione Giovanni Agnelli, I Fratelli musulmani e il dibattito sull’islam politico, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1996. http://www.byterfly.eu/islandora/object/librib:95682#page/10/mode/1up.
[3] Roy, Oliver, The failure of political Islam, Cambridge, Harvard university press, 1994.
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Link Originale: https://spondasud.it/genesi-e-sviluppo-dellislam-politico/
Scelto e pubblicato da Franco
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