Gianandrea Gaiani per La Nuova BQ (sintesi)
Armenia e Azerbaigian, nei colloqui di Mosca, hanno accettato di avviare “trattative sostanziali” per arrivare “quanto prima” a una risoluzione pacifica del conflitto in Nagorno-Karabakh.
Lo ha riferito il Ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, che ha guidato le trattative per il cessate il fuoco dopo due settimane di intensi scontri.
Lavrov ha accolto a Mosca i suoi omologhi azero e armeno, Jeihun Bayramov e Zohrab Mnatsakanian, convocati da Vladimir Putin nel tentativo di porre fine al conflitto scoppiato il 27 settembre.
Lavrov, dopo dieci ore di colloquio, ha annunciato l’entrata in vigore di un cessate il fuoco per “ragioni umanitarie”, che consentirà lo scambio dei prigionieri e dei corpi dei caduti sotto la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Due gli aspetti più rilevanti:
— il primo è che la tregua apre la strada a negoziati di pace per risolvere la contesa sul Nagorno Karabakh,
— il secondo vede armeni e azeri accettare che la mediazione sia super-visionata dal Gruppo di Minsk, la struttura creata nel 1992 dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per prevenire il riaccendersi delle ostilità nel Nagorno-Karabakh.
Il Gruppo è formato da Stati Uniti, Russia e Francia e, nel 1994, riuscì a far cessare (non a risolvere) il conflitto che aveva provocato 30 mila morti.
All’inizio delle ostilità, il 27 settembre, il governo turco aveva giustificato l’attacco azero (con il consistente appoggio di Ankara) proprio per l’incapacità della “troika” dell’OSCE di risolvere la diatriba.
Per questo la riconferma del Gruppo di Minsk, nella gestione dei colloqui di pace, significa che non sarà possibile per altri Paesi subentrare nella gestione dei negoziati, tagliando fuori la Turchia.
Questo fatto permette d’ipotizzare una convergenza tra Mosca, Parigi e Washington, determinate a non lasciare ulteriori margini di manovra all’espansionismo turco.
Del resto, se i russi svolgono da tempo un ruolo di contenimento della Turchia, la Francia resta (insieme ad Atene) il più fiero e determinato avversario europeo di Ankara.
Gli Stati Uniti, a loro volta, hanno rinnovato per un altro anno le sanzioni al governo turco (incluse quelle militari) per l’invasione della regione curda siriana.
Il cessate il fuoco in Nagorno Karabakh rappresenta, quindi, un successo russo che però fa comodo a molti.
Mosca vede premiato il suo atteggiamento quasi neutrale nel conflitto (gli aiuti militari russi all’Armenia hanno avuto poca visibilità), funzionale a mantenere la forte influenza russa sul regime azero ed evitando di gettarlo tra le braccia della Turchia.
Non a caso il ministero degli Esteri turco ha emesso un comunicato in cui definisce il cessate il fuoco entrato in vigore oggi in Nagorno Karabakh “l’ultima chance per l’Armenia per ritirarsi da un’area che non le appartiene”.
Nel comunicato si ribadisce il sostegno incondizionato della Turchia “a tutte le decisioni che prenderà il governo dell’Azerbaigian”, con Ankara che sosterrà Baku “sia politicamente che sul campo”.
Il successo diplomatico di Mosca nasce dalla valutazione militare che l’offensiva azera non sarebbe riuscita a conquistare in pochi giorni la regione contesa.
La tenace resistenza armena ha limitato i successi conseguiti dagli azeri, portando a una situazione di stallo in cui entrambi i contendenti rischiano di esaurire le risorse militari e finanziarie necessarie ad alimentare un conflitto convenzionale a media-alta intensità.
Alla vigilia della tregua armeni e azeri si sono accusati reciprocamente di continuare gli attacchi.
Ma si tratta, a quanto pare, delle consuete dichiarazioni che accompagnano da sempre ogni cessate il fuoco in cui i contendenti devono dimostrare alla propria opinione pubblica i vantaggi e i successi che giustificano i sacrifici determinati dal conflitto.
Sul campo, gli azeri hanno conseguito un limitato successo territoriale, ma hanno probabilmente dissanguato le risorse logistiche necessarie ad alimentare l’offensiva.
Gli armeni hanno perso terreno, mezzi e truppe, ma resistono su posizioni difensive favorite dalla geografia della regione.
In termini tattici l’Azerbaigian è in vantaggio, ma in termini strategici sono gli armeni a segnare un buon punto avendo rallentato e arrestato la pesante offensiva nemica.
Baku, infatti, prevedeva che le ostilità cessassero solo con la liberazione dell’intero Nagorno Karabakh. Il fallimento nel conseguire quest’obiettivo determina la sua sconfitta.
La tregua serve quindi a entrambi i contendenti per riprendere fiato e rafforzare i propri dispositivi militari.
Sul piano politico il vincitore è Vladimir Putin, che s’impone sulle pretese di Recep Tayyip Erdogan.
Mosca si conferma nuovamente arbitro delle crisi alle porte di casa.
Da tempo, in effetti, c’è chi cercava di ridurne l’influenza, dall’Ucraina alla Georgia, dal Caucaso all’Asia Centrale.
Ankara vede invece frustrato il tentativo di conseguire un vistoso successo militare in Nagorno Karabakh, dove ha schierato al fianco degli azeri droni, aerei, consiglieri militari e qualche migliaio di mercenari jihadisti siriani, già impiegati dai turchi come carne da cannone in Libia.
Erdogan, alle prese con una profonda crisi economica e finanziaria, aveva bisogno di un successo eclatante che confermasse il valore della costosa e dispersiva politica “imperialistica” neo-ottomana che, in un anno, ha visto i turchi scendere in armi su sei diversi fronti.
Al di là dei risultati ottenuti, sei fronti sono forse un po’ troppi per le risorse di Ankara.
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Link Originale: https://www.lanuovabq.it/it/tregua-nel-caucaso-una-vittoria-politica-russa
Scelto e pubblicato da Franco
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