Una volta si diceva che la Fiat fosse lo specchio dell’Italia.
Poi venne una data storica : 25/11/1988.
Ricordiamoci questa data a distanza di 32 anni esatti.
In Italia, 32 anni fa, il neoliberismo e la finanza prendevano definitivamente il sopravvento sulla economia reale e moriva l’industria italiana.
L’Avvocato Agnelli dimostrò il suo odio per il suo paese e lasciò andare via dalla Fiat il personaggio che l’aveva resa il primo costruttore europeo di auto.
Quell’uomo era l’Ing. Vittorio Ghidella che se ne andò per dissapori con Cesare Romiti.
Contemporaneamente nel mondo finiva definitivamente il periodo keynesiano che lasciava posto alle teorie criminali di Milton Friedman.
Questa è la storia di un’Italia che arrivò con la sua liretta ad essere la quarta potenza industriale del mondo.
Partiamo da una breve descrizione dei principi di economia Keynesiana e vediamo come è cambiato il mondo quando Milton Friedman e la sua teoria criminale si sono impadronite del mondo e soprattutto delle menti delle persone.
Il termine criminale non è eccessivo, ma è la pura verità.
Ci dovrebbe essere una Nuova Norimberga per tutti quelli che, consapevolmente, hanno portato avanti i principi di questa teoria economica che dovrebbe essere derubricata al rango di truffa ai danni dell’umanità.
Cosa c’entra la Fiat con questo ? C’entra moltissimo e in questo articolo vorremmo fare vedere come è evoluta la Fiat e di conseguenza la nazione Italia nello stesso modo.
Il tasso di disoccupazione pre-covid in Italia era intorno al 10% e quindi tra i valori più elevati all’interno dell’Unione Europea.
Non ci sono stime che rilevino il vero tasso di disoccupazione reale perché, se nella settimana di rilevazione una persona ha lavorato 1 ora, è considerato occupato.
Causa questo, l’elevato tasso di disoccupazione si accompagna a salari bassi e stagnanti e a grande disuguaglianza economica e sociale.
Questo è il miracolo della truffa neoliberista :
disoccupazione, bassi salari, e disuguaglianza sono diventati la regola per i paesi più avanzati al mondo.
Nell’ultimo capitolo della sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Keynes identificava la disoccupazione e la disuguaglianza come i mali principali del capitalismo, insieme alla deflazione e ai conflitti economici a livello internazionale.
Con l’avvento del neoliberismo, dopo più di 80 anni, questi problemi sono ancora qui.
Keynes, dall’alto della sua genialità, rifletteva sui problemi economici del suo tempo e cercava di risolverli in maniera pragmatica e innovativa.
Se leggiamo la Teoria Generale di Keynes capiamo che con tale testo intendeva mettere una nuova saggezza al servizio di una nuova epoca; una nuova saggezza capace di spiegare, diversamente dalla teoria dominante, i problemi del momento e di indicare soluzioni nuove capaci di risolverli.
Che cosa aveva Keynes in più rispetto ai suoi predecessori ?
Innanzitutto, l’idea dell’economia come “scienza morale”, una tecnica di pensiero che si applica a una realtà complessa e mutevole in cui gli uomini e le donne sono individui pensanti che agiscono sulla base di aspettative.
In secondo luogo, l’idea che una classe dirigente, per fare il bene del paese deve sapere di politica, storia e filosofia e non solo di economia, matematica e statistica.
Nulla contro la matematica e la statistica che sono utilissime come strumento di verifica e fonte di dati e proiezioni.
Ma solo questa conoscenza d’insieme permette di riconoscere ciò che è già successo e di comprendere la complessità dei nessi tra economia, politica e società.
Solo questa conoscenza permette di costruire modelli di politica economica e di gestione della società e delle sue complessità.
In terzo luogo, l’idea che il complesso macroeconomico è diverso dalla somma delle parti (la microeconomia).
Ciò che è razionale sul piano individuale non sempre lo è sul piano aggregato.
Senza queste conoscenze, un politico non potrà mai avere una visione della nazione e della società che la compone.
Se un politico non ha queste conoscenze non può pianificare e gestire il futuro di una nazione.
Le persone e non i mercati devono essere al centro del pensiero economico e politico.
La politica economica keynesiana è discrezionalità e coraggio d’intervenire per correggere gli errori dei mercati, senza cadere nell’idea opposta che vede lo Stato come la soluzione di ogni problema.
Keynes in poche parole aveva trovato “la giusta via di mezzo”.
Ma la cosa principale che era alla base della teoria del grande economista era una sola :
la “competenza” di chi gestiva le cose.
Ai tempi, Keynes viveva in UK che aveva sovranità monetaria, posizione finanziaria sull’estero solida, e una classe dirigente di prim’ordine.
Purtroppo, esse mancano nel nostro paese dove abbiamo una classe politica incompetente e con queste persone, il ricorso agli investimenti pubblici come scintilla per far ripartire l’economia e migliorare la qualità della vita dei cittadini italiani è una specie di miraggio. Ne parlano da 30 anni senza mai fare nulla.
Manca la preparazione e la visione della società.
Perché siamo gestiti da degli incompetenti ? Perché il disegno neoliberista voleva esattamente questo :
una classe politica incompetente che nomina dirigenti e funzionari incompetenti.
Questa è la forza del neoliberismo : gli incompetenti che li stanno a guardare i loro “padroni” mentre devastano il paese, la sua Costituzione, i diritti e la libertà delle persone.
Per fare carriera, nel nostro paese, è importante non la tua competenza ma sono importanti le tue conoscenze e la tua inclinazione a fare parte del sistema.
Se fai parte del sistema hai speranze, se non ne fai parte sei tagliato fuori.
Sono più di 30 anni che i veramente competenti sono tagliati fuori.
L’autorevolezza di Keynes ha portato gli Stati ad applicare la sua teoria economica nella quale l’Italia (e la Fiat come azienda privata più importante) si è inserita benissimo creando benessere per la popolazione fino agli anni 90 quando tutto è stato interrotto dall’avvento definitivo della teoria (o truffa?) neoliberista.
Negli anni 80 la Fiat Auto era guidata da un Ingegnere che si chiamava Vittorio Ghidella. Quest’uomo era un brillante Ingegnere con idee innovative paragonabili (come innovazione) a quelle di Keynes. Era entrato in Fiat nel periodo nero della casa Automobilistica negli anni 70 e l’ha portata a essere negli anni 80 la fabbrica di automobili più importante d’Europa.
Sotto la sua direzione sono nati modelli che hanno fatto la storia come le Fiat Uno (Auto dell’Anno 1984), Tipo (Auto dell’Anno 1989) e Croma, le Lancia Delta (10 Mondiali Rally e premiata come Auto dell’Anno nel 1980) e Thema, l’Alfa Romeo 164 e l’Autobianchi Y10.
Un uomo che ha sempre privilegiato il prodotto alla finanza: un ingegnere amante delle auto e che le collaudava personalmente. Sotto la sua guida la Fiat è diventata la prima Casa automobilistica in Europa e la quinta nel mondo e la Lancia ha ottenuto le vittorie sportive più belle nei rally e nelle gare endurance.
Vittorio Ghidella decide di investire nella riorganizzazione degli stabilimenti ed è il primo a credere nell’automazione e nel concetto di piattaforma e componenti comuni che sono ora usate da tutti i costruttori mondiali.
In Fiat già negli anni 80 venivano costruiti diversi modelli con molte componenti in comune. Il massimo esempio resta il progetto Tipo 4 del 1984, che vede quattro auto (Fiat Croma, Lancia Thema, Alfa Romeo 164 e Saab 9000) con pianale e tantissime componenti in comune.
È stata creata la serie di motori Fire con catena di montaggio completamente robotizzata. Veniva costruito nello stabilimento di Termoli che era un faro tecnologico.
I robot erano costruiti dalla Comau (sempre gruppo Fiat) che era all’avanguardia nel mondo nell’automazione industriale.
Alla fine del 1987 iniziano i contrasti con l’allora AD Cesare Romiti. Uno dei punti di maggiore scontro riguarda il futuro dell’azienda: Ghidella (essendo il più importante costruttore d’Europa) vuole investire sull’auto per espandersi ulteriormente mentre Romiti vuole diversificare il core business puntando sulla finanza.
Romiti la spunta su Vittorio Ghidella, che il 25 novembre 1988 (32 anni fa) lascia la Fiat.
Quel giorno è morta l’industria italiana e sono morte definitivamente le teorie economiche di Keynes che ci avevano portato ad essere la quarta potenza industriale al mondo.
Lungo gli anni ‘90 FIAT perde infatti posizioni sia sul mercato domestico che su quello europeo.
Non è sorprendente una volta che si considera che dal 1988 al 1993 la FIAT non aveva prodotto alcun nuovo modello.
Dopo il licenziamento di Ghidella, la FIAT, dalla fine degli anni 80 al 1993, ha destinato agli investimenti in ricerca 4 miliardi di dollari. Nello stesso periodo la Volkswagen (che all’epoca aveva le stesse dimensioni di FIAT) ne ha spesi 20, BMW (all’epoca più piccola di FIAT) 8.
Romiti guiderà la FIAT fino al 1998, al compimento di 75 anni, ricevendo una buonuscita di 105 miliardi delle vecchie lire inaugurando la tendenza neoliberista di premiare adeguatamente chi compie disastri.
Ma il più grande danno fatto da Romiti è stato la demolizione del processo meritocratico che ha portato alla situazione attuale con la Fiat che è un marchio morto come la nostra nazione.
La situazione che si era creata in Fiat viene descritta molto bene dal mitico Ing. Nicola Materazzi, padre di tutte le più belle Ferrari della storia, dalla Testarossa, alla GTO , alla F40.
Qui avete il link a una sua bellissima intervista.
Vi consiglio di guardarla tutta e porre massima attenzione dal minuto 16 in avanti dove Ing. Materazzi fa un quadro perfetto di quello che è diventata la Fiat e di conseguenza la nazione Italia.
Un’azienda e una nazione basate su nepotismo, clientela e incompetenza.
Un’azienda e una nazione morte che si possono risollevare solo con un intervento dall’esterno.
OS
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