Affrontiamo brevissimamente due temi. La desacralizzazione del Natale che, al di là del fatto religioso, è una festa di popolo, e la solitudine dell’uomo privato della sua socialità — e quindi anche del Natale.
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Via la mangiatoia — Il Presepe del Vaticano è una delusione totale
R. Emmett Tyrrell per The American Spectator
È Natale. I cittadini escono dalle Chiese e, se sono fortunati, da alcuni luoghi pubblici ispirati al Presepe.
Ho passato il sabato nelle campagne del nord della Virginia e ne ho visti non solo davanti a Chiese e luoghi pubblici, ma anche davanti alle case — molte, molte case private.
C’erano altrettanti Presepi anche davanti alle case di Strasburg e Winchester, visibili assieme alle insegne, alle bandiere e alle testimonianze di Trump.
Queste famiglie del nord della Virginia hanno non solo un forte spirito natalizio, ma anche un forte spirito civico che va a valanga in direzione di Donald Trump.
I Presepi che ho visto questo fine settimana sono stati creati per ispirare la gente in un anno che in sé non è stato molto stimolante.
Molte statue sono state abbattute e le rivolte hanno reso pericolose le nostre città, con i titoli dei giornali che parlano di crimini orribili.
A San Francisco hanno ribattezzato finanche gli edifici pubblici e le scuole.
Una di queste prendeva il nome da Abraham Lincoln, il Presidente che ha liberato gli schiavi e ha combattuto una guerra sanguinosa per preservare l’Unione.
Sì, proprio quell’Abraham Lincoln!
Che cos’ha San Francisco contro l’Unione e contro la liberazione delle persone che vivevano in schiavitù?
Ma torniamo al Presepe, che è famoso in tutto il mondo. Quello visto in Vaticano, però, è preoccupante.
In quelli della Virginia settentrionale non c’è niente che possa stupire.
Ma, se è questo l’effetto che state cercando, allora dovreste andare in Vaticano, la casa di Papa Francesco.
Noi americani portiamo i nostri figli a vedere le rappresentazioni di Gesù Bambino adagiato in un fienile, mentre dorme in una mangiatoia perché sua madre Maria e suo padre Giuseppe avevano scoperto che non c’era posto per loro nella locanda del paese.
I pastori vengono nel fienile per vedere il bambino. Tre saggi seguono una stella per portargli dei doni.
Il Presepe è famoso in tutto il mondo, ma quello rappresentato in Vaticano è preoccupante.
Papa Francesco è un Papa moderno, forse il primo e, si spera, anche l’ultimo.
Sembra assecondare la convinzione estetica moderna che la rappresentazione artistica delle cose debba “far pensare”.
E il modo migliore per far pensare le persone è dar loro un pugno in pancia, scuoterle fino al cuore e far loro sanguinare il naso.
Il Presepe del Papa, collocato in piazza San Pietro, dovrebbe essere proprio questo, una specie di pugno nello stomaco.
In realtà, si tratta solo di una collezione incoerente di cianfrusaglie: un tizio vestito da astronauta, 52 pezzi di ceramica sparsi in giro e, come dice il New York Times:
“Due figure enigmatiche e totemiche stanno in piedi al centro della piattaforma. Una di queste regge uno scudo e una lancia decorativa e ha sulla testa quello che sembra un calderone rovesciato, scolpito come uno Jack-O-Lantern di Halloween”.
Come ho detto, una collezione incoerente di cianfrusaglie che non mi ha fatto per niente pensare.
La collezione di cianfrusaglie del Papa è in effetti molto controversa.
Duncan Stroik, Professore della Scuola di Architettura dell’Università di Notre Dame, ha detto: “Un ritratto scioccante … Non particolarmente evocativo dell’Incarnazione che gran parte del mondo celebra questo mese”.
Ma c’è stata anche la valutazione del Diacono Keith Fournier della Diocesi di Richmond, in Virginia, che ha detto: “È veramente brutto. Che tristezza. La Chiesa cattolica ha un’arte così bella. Questo nostro mondo sempre più brutto è affamato di bellezza. Perché è stata fatta questa scelta?”.
A me, francamente, è piaciuta l’osservazione del New York Post: “Se fosse stata una commedia di Broadway, probabilmente avrebbe chiuso la sera stessa dell’apertura”.
Il nostro primo Papa moderno è venuto in soccorso: “L’Albero di Natale e il Presepe sono segni di speranza, soprattutto in questo momento difficile. Cerchiamo di non fermarci al segno, ma di arrivare al significato”.
E questo è appunto il problema, Santo Padre. Non c’è alcun significato in quelle cianfrusaglie.
Gran parte del mondo trova un senso nel bambino adagiato in una mangiatoia, che poi è cresciuto per diffondere il suo messaggio e per dare la sua vita all’umanità.
Il primo Papa moderno, in ogni suo pubblico discorso, assume sempre più l’aria di un politico liberal.
Non è certo il Papa del popolo, come gli piace pensare. È il Papa della moda.
Ed è solo una questione di tempo prima che anche lui passi di moda e, dopo, preghiamo perché arrivi un vero Papa.
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La fine dei riti, la fine dell’uomo
Riccardo Paccosi per Arianna Editrice
Il mondo “sostenibile” che si sta materializzando sotto i nostri occhi reca in sé la fine delle danze, la fine dei canti corali, la fine delle sale cinematografiche, la fine dei teatri, la fine dei concerti rock.
Ma anche la fine delle feste religiose, la fine delle sagre di paese, la fine del turismo di massa, la fine delle ritualità sportive.
E così, anch’esso reca in sé l’interdizione dei funerali in determinati luoghi e periodi, il crollo quantitativo dei battesimi, il calo esponenziale dei matrimoni, il diradarsi dei raduni famigliari nelle festività.
Qualunque elemento rituale, ludico o artistico-culturale che possa svolgere funzione di collegamento tra il singolo e la collettività, cessa di esistere.
Le arti abdicano dal loro ruolo di celebrazione collettiva della pólis per adeguarsi, senza porre resistenza alcuna, a un destino di fruizione esclusivamente individuale e domestica.
Menzionando il rapporto fra arti e pólis, si ricorda come la nascita delle prime discenda da quella culminazione della sfera collettiva che sono i riti.
Sacrificale, stagionale, propiziatoria o apotropaica che sia, la dimensione rituale rappresenta da sempre — come argomentato da Durkheim, da Malinowski, da Frazer e da insomma ampia parte dell’antropologia — il principio originario e fondativo della comunità e del contratto sociale.
Ma non soltanto il rito realizza il riconoscersi di ogni singolo uomo nel rapporto con la propria collettività: esso realizza, altresì e specularmente, il riconoscersi della specie umana nel rapporto con l’universo.
L’esistenza finita e mortale dell’uomo, infatti, al cospetto della sostanza infinita della natura e del cosmo circostanti, si ritrova in quella che Ernesto De Martino definisce crisi di presenza.
I riti rispondono dunque a tale crisi e la trasmutano in consapevolezza della relazione, generando così senso e sentimento di legame fra specie umana e cosmo.
Questa coscienza di un universo esteriore a sé, e la celebrazione rituale e collettiva di tale consapevolezza, caratterizzano la specie umana da molto prima della scoperta della ruota.
Da questo punto di vista, allora, possiamo affermare che la società del distanziamento permanente, annichilendo ogni forma rituale collettiva, stia alienando l’uomo dal senso e dal sentimento del proprio legame con gli altri uomini nonché del proprio legame con la natura e il cosmo circostanti.
In conseguenza di ciò, possiamo concludere che la società del distanziamento stia altresì alienando l’uomo da ciò che lo definisce come specie nonché da tutto ciò che sia inscrivibile entro la categoria di umanità.
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Link 1° articolo: https://spectator.org/nativity-scene-pope-francis-vatican/
Link 2° articolo: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-fine-dei-riti-la-fine-dell-uomo
Scelti e pubblicati da Franco
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