Lettera di don Antonio Villa a Luigi Amicone di Tempi
Carissimo Luigi, tempo fa devo aver detto che gli amici cattolici e i lottatori per la difesa della “libertà di educazione” mancano di concretezza, dal momento che si battono senza esito contro un bersaglio irraggiungibile.
Forse è più giusto dire che stanno inseguendo un sogno.
Ma un cristiano sa che la concretezza della vita non consiste nell’interpretare i sogni, ma nel seguire i “segni del tempo”.
E quindi veniamo al sodo.
Nella pandemia si è sfasciata la scuola (era inevitabile perché la pandemia ha colto di sorpresa i governanti, li ha mandati in confusione ed, essendo la scuola il punto più delicato, è stata la prima realtà a soffrire).
Era un “segno del tempo” facile da cogliere perché il cristiano da sempre, direi per natura, sa bene come si fa la scuola e avrebbe potuto almeno suggerire una decisione straordinaria: un anno di sperimentazione dell’autonomia!
Fosse stata anche solo una provocazione avrebbe riacceso una grande questione, avviandola su binari corretti.
Sarebbe bastato, semplicemente e finalmente, dare dimostrazione di fiducia alle singole realtà scolastiche rendendole libere e responsabili nella gestione della attività per la durata imprevedibile della pandemia.
Non sarebbe stato un pilatesco “arrangiatevi”, anzi!
Sarebbe stato il primo passo in applicazione della legge 10/3/2000 numero 62, dopo vent’anni di oblio vergognoso, ponendo come unica condizione una puntuale relazione sui metodi usati, le criticità affrontate e le soluzioni adottate.
Si sarebbe raccolta una mole di dati nati dall’esperienza e quindi veramente utili a rinnovare la normativa.
I politici mi diranno che sono io a sognare, purtroppo. Nel senso che non cambierà nulla e temo che abbiano ragione!
Voglio però ricordare a coloro che si sono impegnati a dedicare energie al bene del popolo, non ad occupare scranni in Parlamento, che la Costituzione non è un totem intoccabile, ma una guida da seguire con saggezza d’interpretazione.
Facciamo una prova: leggiamo i commi 1 e 6 dell’articolo 33.
Uno: «L’arte e la scienza sono libere e libero è l’insegnamento”.
Sei: “Le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi».
È forse un’interpretazione faziosa, e quindi indebita, dire che sono due monumenti alla libertà e fondamenti per l’autonomia in campo scolastico?
È una forzatura pensare all’università come alla fucina e alla sorgente di libere professionalità?
Se la risposta è “no”, allora io dico: “L’università rilasci lauree abilitanti all’esercizio della professione e, qualora si tratti di laureati-insegnanti (essendo una professione essenziale alla vita dello Stato come la medicina, la difesa e la politica), in qualunque scuola si trovino assunti, siano considerati funzionari dello Stato e da esso stipendiati”.
L’autonomia, se vuole essere espressione vera di libertà e di responsabilità, deve arrivare fino a questi punti.
La libertà è garantita dalla Costituzione e la responsabilità diventa interesse degli stessi insegnati, perché sanno di operare al cospetto della società che è giudice severo del loro operato.
Le scuole che nascono come aggregazione di liberi professionisti attorno a un responsabile che li coopta, rilasciano attestati di frequenza con la descrizione della capacità raggiunta.
Il grado di scuola superiore che accoglie gli alunni la valuterà e predisporrà i programmi per l’eventuale recupero e, alla fine, sarà la società e il mondo del lavoro a decretare il successo e il fallimento.
E, se ci sarà fallimento, avremo a che fare con una categoria di povertà non del tutto nuova. Certo, è un ulteriore problema … ma è un altro discorso.
don Antonio Villa
Conclusione di Luigi Amicone
Riassumendo per sommi capi e molto all’ingrosso rispetto alla giungla di scartoffie e nomenclature che si sono accumulate nell’Unione Sovietica dell’Istruzione Pubblica italiana, l’istanza di cambiamento del nostro amico don Villa ci sembra che indichi una riforma della scuola in sole tre mosse.
Mossa 1:
Covid e relativo “piano vaccinazioni”, ma soprattutto la condizione caotica in cui versa la scuola (condizione per molti versi ineliminabile visto il contesto pandemico in cui ci troviamo), offrono l’opportunità di sperimentare una fase (un anno? un biennio?) di concreta autonomia scolastica: autonomia intesa non come “ognuno si arrangi”, ma come responsabilità di ciascuna realtà educativa (insegnanti, studenti, genitori) nell’amministrarsi con le risorse, il supporto e, se del caso, l’ispezione dell’amministrazione statale.
Mossa 2:
Nel giro di un anno o due, essendo ancora in corso l’esperimento di autonomia da cui verranno ulteriori indicazioni, esperienze ed eventuali cautele da osservare, il Parlamento preparerà una riforma dello stato giuridico degli insegnanti.
Tale nuovo profilo giuridico non potrà più prescindere dallo spirito e dai dettami della Costituzione che, all’articolo 33, prescrive la libertà d’insegnamento e il diritto all’autonomia culturale.
Non diversamente dall’epoca fascista, l’insegnante continua anche oggi a essere un mero impiegato dello Stato. Come non lo è più nemmeno l’impiegato delle Poste.
Allo stesso tempo, autonomia e parità scolastica acquisite come legge dello Stato (n. 62 del 10.3. 2000) e fondamento del sistema dell’istruzione pubblica, rimangono nei fatti lettera morta.
Dunque, durante l’anno di sperimentazione dell’autonomia, il Parlamento approverà una legge che definirà l’insegnante come “libero professionista” e riconoscerà il principio dell’autonomia come concreto “fare sovrano” della scuola stessa.
Nella sostanza, dati i criteri normativi e formativi che dovranno valere a livello nazionale e comunitario, tutte le scuole italiane, statali o non statali, saranno abilitate a pianificare liberamente e autonomamente il proprio lavoro educativo.
Così come l’ingaggio del personale docente e non docente sarà deciso in piena autonomia dalle scuole stesse, che costruiranno il proprio organico attingendo alle liste di concorso nazionali, comunitarie, con chiamate dirette e in qualunque altra forma rispettosa della libera professione.
Mossa 3:
Contestualmente all’approvazione della legge sul nuovo stato giuridico di “libera professione docente”, il Parlamento approverà l’abolizione del “valore legale del titolo di studio”, contrastando in maniera definitiva sia il malcostume dei titoli di studio acquistati o frutto di corruttela, sia i cosiddetti “diplomifici”.
Saranno l’effettiva preparazione e merito di ciascuno, l’effettivo “saper fare” e “saper svolgere” determinate funzioni di una certa professione — non il “pezzo di carta” — a valere nei concorsi pubblici, così come nel libero mercato.
*****
Link Originale: https://www.tempi.it/una-riforma-della-scuola-in-tre-mosse/
Scelto e pubblicato da Franco