Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
Angela Merkel è responsabile della Brexit più di qualsiasi altra figura politica europea, su entrambi i lati della Manica.
Ha la responsabilità più grande per la “giapponesizzazione” e il “pregiudizio di austerità” dell’Unione Monetaria.
Ha esaltato le eccedenze commerciali dei tedeschi ma, al contempo, ha reso inattuabile l’intero progetto dell’euro.
Siamo tutti affezionati a Mutti nel momento in cui conclude un regno lungo 16 anni e nomina il suo successore: Armin Laschet, il “candidato della continuità” che ha conquistato a stento la leadership dei Cristiano Democratici.
La Cancelliera è immensamente popolare. Il sobrio stile della “figlia del vicario” ha incontrato l’umore dei tedeschi.
È una dei pochi leader europei ad aver conservato la fiducia della gente per la gestione della pandemia.
È difficile pensare a un’altra figura politica che sia in grado di mascherare l’egemonia tedesca sull’Europa sotto una coperta così rassicurante.
Ma, vista la bufera di superlativi degli ultimi giorni, al limite dell’agiografia, è doveroso esprimere un forte dissenso.
La sua personalità, ovviamente, dev’essere separata dalla sua attività politica.
Alle Elezioni del 2017, ad esempio, l’alleanza CDU-CSU subì la più grande sconfitta dalla 2a Guerra Mondiale. Il panorama politico tedesco da allora si è spezzettato: i voti sono andati in tutte le direzioni.
L’estrema destra di “Alternative fur Deutschland” è diventata l’“opposizione ufficiale” al Bundestag.
La Merkel ha tenuto il potere perché i due grandi Volksparteien — Democratici Cristiani e Socialdemocratici — si sono aggrappati l’uno all’altro su una zattera sempre più piccola.
Ma la sua personalità non può essere trasferita al signor Laschet, il “figlio del minatore”, che vive ancora nell’“era del carbone”.
L’anno scorso ha aperto una nuova “centrale a carbone” (Datteln-4) affermando, con la faccia seria e una certa dose di surrealismo, che sarebbe stata una cosa positiva per il cambiamento climatico!
Ecco dove sta andando il progetto “emissioni zero netto” dell’Europa!
Nonostante la Merkel abbia presieduto un periodo di sovra-performance economica in Europa, non si è trattato comunque di un “miracolo economico” per gli standard globali.
Nell’ultimo quarto di secolo, la Germania ha avuto una delle economie a crescita più lenta fra i Paesi dell’OCSE. Più lenta persino di quella del Giappone [https://www.telegraph.co.uk/business/2020/01/15/german-economy-suffers-worst-year-since-2013/].
Dal 1995, la crescita della produttività è stata in media dell’1,2% l’anno, rispetto all’1,7% degli Stati Uniti o al 3,9% della Corea (dati OCSE).
La Germania di Angelina è l’eco dell’“era Breznev”.
L’immobilismo è davvero notevole, come sottolineato da Marcel Fratzscher in “Die Deutschland Illusion” e da Olaf Gersemann nel suo “The Germany Bubble: the Last Hurray of a Great Economic Nation”.
Il Paese è stato in grado di cavalcare per un po’ l’“onda cinese” come fornitore di beni essenziali per l’Asia.
Ma, da allora, la rincorsa della Cina si è trasformata nella sostituzione delle importazioni in patria e nella conquista delle tecnologie-intermedie all’estero — che hanno distrutto, ad esempio, l’industria tedesca del solare.
La Germania non ha compiuto il passaggio al digitale — a differenza della Corea — e questo sta diventando un fatto esistenziale perché le automobili si stanno trasformando in “computer su ruote”.
La Tesla vale tre volte VW, Daimler e BMW messe insieme. Apple supera da sola l’intera capitalizzazione di mercato dell’indice DAX.
La Deutschland Inc. non vale più molto, un destino che condivide con la UK Ltd.
La Merkel ha presieduto questo decadimento strutturale. Non è colpa sua, d’accordo, ma non ha fatto nulla al riguardo.
L’economia tedesca sembra bella solo all’interno del “concorso di bellezza regionale” dell’Europa.
Altri Paesi europei, in effetti, sono in condizioni peggiori.
La struttura deformata dell’Unione Monetaria le ha consentito di far leva su una supremazia relativa.
La Germania ha guadagnato competitività nell’eurozona nei primi anni 2000 attraverso una “svalutazione interna”, comprimendo i salari reali attraverso le “riforme Hartz IV”.
Quando l’Europa Meridionale scivolò indietro nella struttura chiusa dell’euro, l’unico modo che aveva per recuperare terreno era di spingere sulle svalutazioni interne — un compito quasi impossibile contro l’àncora tedesca.
L’effetto di questo cilicio, usato contemporaneamente in così tanti paesi, fu quello di far cadere l’intero sistema in un vortice di recessione.
Non è stata la Merkel a creare questa struttura, ma non l’ha mai messa in dubbio né ha spiegato al popolo tedesco perché si doveva cambiare.
Il suo governo ha imposto il rigore dell’austerità al Club Med attraverso il controllo sugli organi-chiave dell’apparato UE.
L’onere dell’adeguamento ricadeva sugli Stati debitori, non sui creditori … e questo non può funzionare.
Ha lasciato che la crisi del debito dell’eurozona (in realtà una crisi dei flussi di capitale) peggiorasse per ben tre anni prima che il contagio dei “mercati del debito” italiano e spagnolo le forzasse la mano nel giugno 2012.
Solo allora accettò che la BCE assumesse il ruolo di “prestatore di ultima istanza”.
Fu necessario l’intervento diretto di Barack Obama per ottenere questa concessione.
La Merkel ha poi rinnegato l’accordo per una piena Unione Bancaria e così la spirale catastrofica è rimasta in vigore — e oggi è ancora più grande.
Ha sempre resistito ai passaggi necessari per arrivare a un’Unione Fiscale.
Quando la pandemia ha colpito, ha accettato il “Recovery Fund” a livello “una tantum”, per tornare nel tempo allo “status quo ante”, escludendo la permanente mutualizzazione del debito.
In breve, ha trascorso 16 anni rifiutandosi di ricostruire l’euro su basi praticabili.
La sua idea di Unione Fiscale è la “sorveglianza fiscale”: il Patto di Stabilità, il Two Pack, il Six Pack e il Fiscal Compact.
Al suo successore lascia in eredità un sistema frantumato.
La cattiva gestione dell’Unione Monetaria aveva alterato la percezione britannica dell’UE prima ancora del referendum sulla Brexit.
Aveva anche portato alla migrazione nel Regno Unito di centinaia di migliaia di rifugiati economici dall’Europa Meridionale e Orientale.
Nel 2015, questo fatto si combinò con la decisione della Merkel di “aprire le cateratte” del Medio Oriente (ignorando il consiglio di David Cameron, secondo cui la crisi dei rifugiati siriani si doveva gestire in Oriente), diventando una “tempesta perfetta”.
A quel punto, la Cancelliera aveva già gettato i semi dell’esasperazione britannica.
Tutto ebbe inizio quando resuscitò la “Costituzione Europea” — ribattezzata “Trattato di Lisbona” dopo che era stata respinta dai francesi e dagli olandesi nei referendum.
Il suo movente era ovvio: aumentare il peso del voto tedesco nelle Istituzioni dell’UE.
Questo era un passo legittimo per riflettere l’aumento della popolazione della Germania dopo la riunificazione est-ovest.
Ma servì anche a cambiare il carattere dell’UE. La Germania non era più “primus inter pares”, era diventata “primus sine pares” in una proto-federazione.
La Francia, stranamente, permise la perdita della sacrosanta parità.
Nicholas Sarkozy fu imbrogliato con qualche chincaglieria, Tony Blair fece finta che fosse solo un esercizio di pulizia e così Il Trattato fu approvato dal Consiglio dell’UE in via esecutiva.
Nessuno voleva affrontare di nuovo gli elettori.
Solo gli irlandesi fecero un referendum. Quando votarono “no”, misero i loro piedi sulla brace e furono costretti a votare di nuovo.
Il “Trattato di Lisbona” della Merkel fu il momento della svolta.
Una cosa è portare avanti il progetto con il furtivo “metodo Monnet”, un’altra è doverlo fare una volta che le principali proposte erano state esplicitamente respinte dagli elettori.
Questo fatto minò ulteriormente la legittimità dell’UE tra i politici, i commentatori e i finanzieri britannici — e queste persone avrebbero avuto, in seguito, una notevole importanza.
Per la prima volta, il Trattato conferiva alla “Corte di Giustizia Europea” la giurisdizione su tutti i settori del “Diritto” dell’UE, trasformandola da “Tribunale Economico” in “Corte Suprema”.
La “Carta dei Diritti Fondamentali” diventò giuridicamente vincolante.
La “Corte di Giustizia”, improvvisamente, acquisì i mezzi per pronunciarsi su qualsiasi cosa.
Da allora, ha usato quel potere in modo estensivo visto che la “Corte Costituzionale tedesca”, ironicamente, protesta nei suoi riguardi.
Il protocollo relativo alla “Common Law”, che era presente nel Trattato, esentava i “Tribunali Britannici” da tale invasione, ma fu ignorato prima ancora che l’inchiostro si fosse asciugato.
La Corte Europea cominciò a cancellare le Leggi Britanniche sulla “procedura penale” o sulla “condivisione dei dati” con le “Agenzie d’Intelligence” statunitensi.
A quel punto, un’altra fetta importante dell’opinione pubblica britannica si staccò.
Ma la Cancelliera Merkel insisteva nel suo progetto.
Aggirò il veto britannico al Fiscal Compact, ad esempio, spingendo il Trattato con altri mezzi e isolando visibilmente il Primo Ministro britannico.
Ma tutto quello che la Gran Bretagna aveva chiesto era una clausola di salvaguardia per la City.
Dopodiché, schierò l’ultra-integrazionista Jean-Claude Juncker (capo della Commissione Europea) contro le obiezioni britanniche, violando la Convenzione di Bruxelles secondo cui nessuno Stato deve predominare sugli altri.
Rifiutò il compromesso nonostante David Cameron l’avesse avvertita che un assaggio di Junckerismo avrebbe ulteriormente eroso il consenso britannico per l’UE.
Se è nell’interesse nazionale della Germania mantenere il Regno Unito profondamente legato al “sistema europeo” (e pochi tedeschi, per la verità, lo contestano), difficilmente si può sostenere che abbia fatto un buon uso del suo potere.
Si è intromessa attraverso la “macchina costituzionale” dell’Europa fino al punto d’irritare gli inglesi, ma senza risolvere i problemi reali dell’UE o rendere funzionale l’Unione Monetaria.
“Mutti” è una persona ammirevole e una politica astuta, ma lascia in eredità una serie di equilibri instabili — che è un modo educato per dire una “scia di macerie”.
Se Laschet è il candidato della continuità, l’Europa ha davvero bisogno di aiuto.
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Link originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2021/01/19/angela-merkels-disastrous-legacy-brexit-broken-eu/
Scelto e tradotto da Franco
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