Redazione di Storia Segreta
Tanto tuonò che piovve. Finalmente il Governo Draghi è una realtà, al di là delle formalità di rito.
Ma chi è Mario Draghi e quali sono le sue idee?
Alla prima domanda è facile rispondere.
È nato a Roma nel 1947 (ha quindi 74 anni), ha frequentato il liceo dai Gesuiti, si è laureato in Economia alla Sapienza nel 1970 con relatore Federico Caffè.
Ha conseguito il dottorato al MTI di Boston con il Premio Nobel Franco Modigliani ed è tornato in Italia come Professore di Economia e Politica Monetaria, dal 1975 al 1991, in varie Università.
Dal 1984 al 1990 è stato Direttore Esecutivo della Banca Mondiale, dal 1991 al 2001 Direttore Generale del Ministero del Tesoro, dal 2002 al 2005 Management Committee Worldwide della Goldman Sachs.
Dal 2005 al 2011 Governatore della Banca d’Italia. Dal 2011 al 2019 Presidente della Banca Centrale Europea.
Più di così è umanamente impossibile [https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Draghi].
È cattolico, molto british, formale e corretto, con un sorriso tra l’ironico e il timido.
Inoltre, è figlio d’arte. Suo padre lavorava in Banca d’Italia e Romano Prodi ebbe modo di dire: «È nato come Banchiere Centrale».
Sapere quali siano le sue idee è invece cosa assai più ardua.
Le posizioni di Draghi su molti temi fondamentali sembrano molto cambiate nel corso del tempo.
Una delle sue frasi preferite, attribuita a Keynes, è: «Se le cose cambiano, io cambio idea. Lei cosa fa, signore?»
Nella sua Tesi di Laurea, con relatore Federico Caffè (un famoso economista keynesiano), sosteneva che una “moneta unica europea sarebbe stata una vera iattura”, viste le diversità delle economie dei vari stati.
Era il 1970 ma, certo, fu un bizzarro esordio per quello che sarebbe diventato il ‘Salvatore dell’Euro’.
Già dai primi anni ‘80 la sua posizione mutò.
Da keynesiano puro divenne più incline ad accettare le idee liberiste, allora sempre più in voga.
Il suo maestro, Federico Caffè, si sentì tradito ma, purtroppo, scomparve nel 1987 senza dare più traccia di sé e nessuno ne seppe più nulla.
Privato dell’amicizia del grande economista keynesiano, Draghi divenne sempre più sensibile alle idee neo-liberiste, tanto che sarà l’indiscusso protagonista della “stagione delle privatizzazioni italiane” e della nostra adesione ai Trattati di Maastricht.
Per chi non sia addentro alle segrete cose dell’economia, essere keynesiano significa, mi si permetta l’estrema approssimazione, che le priorità sono il lavoro e il popolo mentre deficit pubblico e inflazione sono cose secondarie.
Per cui la ricetta politica dei keynesiani è: “fate deficit se serve”.
I neo liberisti sostengono invece il contrario … che gli stati non devono emettere moneta, devono comportarsi come un buon padre di famiglia, risparmiando e lasciando i mercati a sé stessi.
Il controllo dell’inflazione è la priorità assoluta e, quindi, “austerità a prescindere”.
La carriera di Draghi ai massimi livelli cominciò realmente nel 1991, come Direttore Generale del Tesoro, nominato da Andreotti.
Visse gli anni critici di Mani Pulite, il crollo della Prima Repubblica stretta in un assalto giudiziario e mediatico.
In quei giorni, “Là dove si puote ciò che si vuole”, si era deciso che il glorioso dopoguerra italiano era finito.
Il Muro di Berlino era caduto e adesso si giocava con un mazzo di carte diverso.
Fu così che il nostro Draghi si ritrovò il 2 giugno 1992 ospite sullo yacht della Regina d’Inghilterra in una ristretta compagnia, dove si decise il più gigantesco piano di privatizzazioni mai effettuato nel mondo occidentale, al fine di entrare nella moneta europea e di limitare fortemente la sovranità dello Stato italiano.
Con il senno del poi è stato un vero disastro per noi poveri mortali, ma all’epoca non sembrava così ovvio neppure a noi.
Per i pochi che non lo sanno ancora, su quello yacht c’era anche Beppe Grillo … così, tanto per chiarire.
Per chi volesse approfondire il pensiero del Draghi di allora, nell’Appendice è riportato il suo Discorso del Britannia.
Draghi ha il dono della sintesi, grazie a Dio.
Chi voglia rendersi conto della storia d’Italia degli ultimi trent’anni troverà i suoi discorsi, sotto riportati, davvero utili e chiarificatori.
Esemplare è anche un intervento che Draghi fece all’AREL nel 2011 in ricordo del vero inizio del collasso italiano: il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia di Andreatta e Ciampi del 1981.
Chiusa la stagione delle liberalizzazioni, Draghi si trasferì in Goldman Sachs dove rimase qualche anno prima di diventare Governatore della Banca d’Italia.
Poco tempo, ma indicativo del fatto che Draghi sia culturalmente ‘americano’ più che ‘europeo’, come viene invece erroneamente raccontato dalla stampa di regime.
Draghi, in altre parole, è espressione della finanza americana più che di quella europea.
Comunque, nel periodo da Governatore le sue posizioni ideologiche non cambiarono. Austerità e rigore.
Quando si trasferì a capo della Banca Centrale Europea esordì con una clamorosa lettera al Governo Berlusconi, in cui imponeva all’Italia una politica ‘lacrime e sangue’ pena il mancato appoggio della BCE.
La lettera era a doppia firma, Trichet, Presidente uscente e Draghi, Presidente entrante.
Berlusconi nicchiò e quini fu immediatamente defenestrato e sostituito con il più organico Mario Monti. Alla faccia della supposta ‘democrazia’.
Sembrava, quindi, che non fosse cambiato nulla: austerità, rigore, libero mercato e quant’altro.
Ma, nel suo percorso europeo, le cose andarono diversamente.
Draghi cominciò a muoversi contro le politiche di austerità neo liberiste il 26 luglio 2012 quando, in un convegno a Londra, nella Lancaster House, esternò il famoso ‘Whatever it takes’ per contrastare la speculazione sull’euro e contro l’Europa.
Cosa significa, per i non addetti ai lavori?
Significa che la Bce può stampare dal nulla euro in quantità infinita.
Se si permette alla Bce di farlo per gli speculatori è la fine, la partita per loro è perduta. La speculazione contro l’Italia e l’euro finì in men che non si dica e l’euro fu salvo.
Certo, questa logica richiamava Keynes, altro che Austerità.
Infatti, i tedeschi si adontarono non poco, sostenendo (formalmente a ragione) che una decisione così importante non era di competenza della BCE.
Ma il nostro Draghi, forte dei suoi appoggi atlantici, proseguì implacabilmente.
Il suo Quantitative Easing fu la stessa cosa che fece, all’epoca, la Fed, la Banca Centrale degli Stati Uniti.
Quando Draghi lasciò la Bce, le sue dichiarazione di stampo keynesiano diventarono addirittura clamorose.
Il suo maestro, Federico Caffè, ne sarebbe stato orgoglioso. Deficit, deficit, deficit … popolo e lavoro hanno la precedenza.
Potete leggere in Appendice un recente articolo di Draghi sul Financial Times, davvero esplosivo.
Ne riportiamo alcune frasi per la loro significatività:
“Livelli del debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie.
La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita del lavoro (!).
Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero (!!) alle società disposte a salvare posti di lavoro.
Tali società potrebbero realisticamente restare in attività solo se il debito raccolto per mantenere le persone impiegate in quel periodo fosse infine cancellato’ (!!!).
I livelli di debito pubblico saranno aumentati. Ma l’alternativa — una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale — sarebbe molto più dannosa.
Di fronte a circostanze impreviste un cambiamento di mentalità è necessario, in questa crisi, come lo sarebbe in tempo di guerra”.
Ultimamente, quindi, sembrerebbe che Draghi sia diventato un keynesiano puro, favorevole a espandere il deficit dello stato per salvare lavoro e occupazione.
Potrebbe anche sorgere il dubbio che Draghi sia un uomo per tutte le stagioni, pronto a cambiare idea a seconda delle circostanze.
Ma in realtà le cose non stanno proprio così.
Crediamo infatti che si tratti di una strategia molto sottile e coerente, facente sempre capo, naturalmente, alla finanza internazionale, di cui Draghi è indubbiamente espressione.
Tale strategia si può sintetizzare in una frase di Naom Chomsky in ‘La fabbrica del consenso’: Problema — Reazione — Soluzione
Significa che, per riuscire a raggiungere un obiettivo, magari a molti poco gradito, prima bisogna creare un problema (grosso), aspettare la reazione e, solo dopo, offrire una soluzione, che sembrerà a tutti inevitabile.
Per capire il significato di quanto detto bisogna fare un passo indietro.
Nel maggio 2017 Macron, fino a poco tempo prima un semplice impiegato dei Rothschild, fu eletto Presidente della Francia.
Era la prima volta che la finanza globalista si esponeva così tanto perché, per più di tre secoli, aveva preferito governare per interposta persona (qualcuno pensa che governasse da molto più tempo di tre secoli, come sostiene Paolo Rumor nel suo libro, ‘L’altra Europa’).
La cosa sembrò bizzarra ma nessuno se ne preoccupò più di tanto anche se, da lì a poco, cominciarono i rumors sul destino di Draghi: prima Presidente del Consiglio italiano e poi Presidente della nostra Repubblica.
A quel punto non poteva più essere un caso. Un uomo dei Rothschild a Parigi, un uomo della Goldman Sachs a Roma.
Ma che stava succedendo? E soprattutto, perché?
Non tutti sapevano, all’epoca, che il successore di Draghi alla Bce, Christine Lagarde, sarebbe stata anche lei francese.
Inoltre, nessuno poteva ancora sapere che sarebbe arrivata la pandemia del Covid-19, che ha permesso di sloggiare Trump dalla Casa Bianca e di sostituirlo con un uomo di paglia della grande finanza (qui sì, secondo tradizione).
A quel punto le cose cominciarono a chiarirsi: i padroni del mondo non si accontentavano più di un controllo indiretto sugli Stati, ma avevano bisogno di un controllo diretto.
Certo, mancavano ancora la Gran Bretagna (inopinatamente uscita dall’UE) e, soprattutto, una riottosa Germania (si voterà a settembre e vedremo cosa succederà).
Defenestrato Trump, è immediatamente partito, in Russia, il tentativo di organizzare una Rivoluzione Colorata contro Putin.
Riesca o meno, la Russia avrà di che preoccuparsi nei prossimi mesi e sarà fuori dai giochi in merito a eventuali nuovi equilibri occidentali.
Il cambio della politica secolare adottata dalle nostre élite doveva avere una motivazione molto forte per arrivare fino a questo punto.
Una guerra? Il Grande Reset? Un’altra pandemia più devastante del Covid?
Non pretendiamo di conoscere la risposta ma solo di offrire una plausibile ipotesi di lavoro, peraltro assai nota: la piena realizzazione del’ormai secolare Piano Kalergi (per chi voglia saperne di più si veda Matteo Simonetti, Il piano Kalergi oppure R.C. Kalergi, PanEuropa).
Ovvero, la costruzione di un’Europa molto più forte di quello che è ora, con una sua imposizione fiscale autonoma, un suo Ministero del Tesoro, una vera Banca Centrale (prestatrice di ultima istanza) e, dulcis in fundo, un suo esercito.
È il momento giusto.
Fuori la Gran Bretagna, la principale opposizione all’Europa, intesa come Stato Federale, viene dalla Germania.
Ma adesso, con Macron, Draghi e Lagarde, la Germania è in minoranza.
La fine della carriera politica della Merkel richiede la nomina di un successore che, non dubitiamo, sarà favorevole al Piano o, comunque, ‘non contrario’.
Se il popolo tedesco dovesse votare male si possono sempre usare la Macchine della Dominion per contare i voti, com’è stato fatto in Francia e negli Stati Uniti.
Esattamente un anno fa pubblicammo su questo blog un articolo (2020: sarà l’anno del Grande Giubileo?) che prevedeva una crisi economica drammatica, innescata dal crollo di Wall Street, che avrebbe comportato un Grande Giubileo, ovvero una generale remissione dei debiti.
L’inaudita crisi economica è, nella logica di Chomsky, il ‘Problema’.
La ‘Reazione’ a tale enorme ‘Problema’ non può che essere un aumento colossale del debito pubblico, se non vogliamo la guerra civile per le strade.
Ma anche l’accettazione, da parte della gente, di qualsiasi proposta che possa far uscire dall’emergenza (prima del Covid, non sarebbe stata scontata).
A questo punto, dobbiamo solo fornire una ‘Soluzione’ che, stante l’enorme e irredimibile debito statale, non potrà che essere un ‘Giubileo’, ovvero il condono dei debiti.
Tanto, sarebbe stato comunque inevitabile, prima o poi.
Quando abbiamo sentito Draghi esprimersi esattamente in questi termini (vedi articolo del Financial Times in Appendice), abbiamo cominciato a sospettare che le apparenti contraddizioni del suo pensiero, in realtà, non lo fossero affatto.
Se il Governo Draghi si muovesse nella direzione illustrata nell’articolo, otterrebbe l’appoggio entusiasta di tutta la popolazione italiana che, poi, sarà disposta ad accettare ogni ulteriore riduzione di sovranità che le venga proposta.
Un debito del 200% del PIL in tutti gli stati europei non è sostenibile con le attuali regole europee, ma neppure con nessun approccio basato sull’”Austerità”.
Ma la ‘Soluzione’ è sotto mano: un’ulteriore cessione di sovranità da parte degli Stati.
Un Ministero del Tesoro a Bruxelles, un’Europa Fiscale che si faccia carico, tramite una BCE ’draghiana’, della remissione dei debiti e che diventi, finalmente, un vero Stato Federale.
Teoricamente ci sarebbe anche un’altra soluzione, il ritorno agli Stati Nazionali sovrani.
Ma, con Macron in Francia e Draghi in Italia, questa soluzione non è ovviamente percorribile.
Ecco perché Draghi è il Presidente del Consiglio italiano. Ecco perché Macron è Presidente della Francia. Ecco perché la Germania dovrà farsene una ragione.
Altro che fine dell’Europa e dell’euro.
Per risolvere la crisi, la soluzione è ‘Più Europa’, per citare il profetico nome del Partito della Bonino.
Se la nostra tesi fosse vera, il pensiero di Draghi diventerebbe perfettamente coerente, in tutte le circonvoluzioni delle sue apparenti contraddizioni
Ma a noi poveri mortali, cosa succederà?
Il Piano Kalergi non prevede che la nuova Europa abbia una struttura democratica. Al massimo si potrà eleggere un parlamentino privo di ogni potere sostanziale, tanto per mantenere una facciata pseudo democratica.
Ma, tanto, la democrazia non esiste neppure oggi.
Se il popolo sbaglia a votare arriva, come minimo, un’opportuna comunicazione giudiziaria al Presidente del Consiglio o al Ministro degli Interni e le cose vanno a posto.
Per non parlare degli anni lontani in cui, se il popolo sbagliava a votare, i Presidenti venivano rapiti e uccisi dalle Brigate Rosse.
Oggi, Trump è stato sfrattato con delle elezioni tal punto farsesche che, davvero, sarebbe meglio abolirle … se non altro per salvaguardare il comune senso del pudore.
Non prendiamoci in giro, la democrazia non esisteva neanche in passato e a comandare, oggi e domani, saranno sempre gli stessi di ieri.
Se fosse rimasta qualche nostalgia per un passato che non è mai esistito, la figura fatta dai 5 Stelle, con il loro ‘Uno vale Uno’, ha già convinto l’intero paese che per guidare un aeroplano ci vuole Uno che ne sia capace.
Perché, se quell’Uno non è capace, quell’Uno non vale Zero, ma Meno Infinito.
L’aver votato i 5 Stelle è stata la dimostrazione che ‘gli eccessi di democrazia’ siano estremamente pericolosi per tutti e che, se il popolo sbagliasse a votare, è meglio che non voti affatto.
Il governicchio di Conte, che passerà alla storia come il ‘governo dei banchi a rotelle’, rischia di essere l’ultimo.
La prossima volta ci sarà solo il governatorato di una colonia. Inutile nasconderci che ce la siamo voluta.
Questo Grande Reset avrà indubbi vantaggi estetici.
Pensate alla bellezza di non vedere più un qualsiasi Procuratore della Repubblica mandare un avviso di garanzia a un Presidente del Consiglio o a un Ministro degli Interni che gli è antipatico, tra gli applausi di politici e giornalisti nullapensanti.
La magistratura dei Palamara, dei Woodcock e compagnia bella è finita.
Che si provino oggi a inviare un avviso di garanzia a Draghi. Sarebbe proprio divertente vedere ‘come va a finire’.
Pensate alla bellezza di non vedere più giornalisti d‘accatto, magari pagati pure dal servizio pubblico, leggere ignobili veline contro un Governo eletto dal popolo, ma minato nelle sue funzioni dal complesso mediatico-giudiziario.
Pensate alla bellezza di non vedere più un partitino all’1% fare il bello e il cattivo tempo senza che nessuno sia in grado di contrastarlo.
Oggi, in Italia, al governo c’è il ‘Potere’, quello vero, quello con la P maiuscola.
Provate a mettervi contro e vedrete cosa vi succederà.
La ricreazione è finita.
Ma, tolti questi deliziosi vantaggi estetici, quale sarà il nostro destino di poveri mortali?
Se l’ipotesi su delineata fosse vera (cioè se l’obiettivo della crisi sia la creazione di vero Stato d’Europa), il nostro futuro potrebbe anche non essere terribile.
Dipende molto dagli equilibri all’interno dell’elite al potere.
Esistono al suo interno due fazioni, una “cattiva” (per la quale la razza umana attuale è solo una palla al piede e va drasticamente ridotta numericamente) e una “buona” (che preferisce lasciarci al nostro destino senza infierire).
[Per saperne di più: Gioele Magaldi, La scoperta delle Ur-lodge. Magaldi ha sostenuto anche di recente che Draghi si è ‘convertito’ ed è passato tra le file della Massoneria Progressista]
Draghi dovrebbe far parte della fazione più ‘buona’, o almeno così si dice.
Nel caso prevalesse questa fazione, varato il progetto europeo come ‘Soluzione’ al ‘Problema’, il virus magicamente scomparirà, i nostri debiti ci saranno rimessi come noi li rimettiamo ai nostri debitori e tutti saremo più felici.
Certo, senza ostinatamente pretendere una ‘democrazia’ che non solo non è mai esistita ma che, se mai lo fosse stata, ci avrebbe portato a ‘cento all’ora’ verso il precipizio.
Nota MD: L’articolo presenta alcune Appendici molto interessanti . Chi volesse leggerle, le trova sul testo originale.
*****
Link Originale: https://storiasegreta.com/2021/02/06/lenigma-draghi/
Scelto e pubblicato da Franco
*****
Le immagini, i tweet e i filmati pubblicati nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio e quindi immediatamente utilizzabili. In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.