Pat Buchanan
Nel 2016, quando si seppe che la Russia poteva essere coinvolta nella violazione delle e-mail di John Podesta e del DNC (e che poteva passare la patata bollente a WikiLeaks aiutando così il candidato Donald Trump), ci fu un moto di sdegno nell’establishment americano.
Se i Servizi Segreti russi avessero mai osato rubare quelle email — o se un contadino di San Pietroburgo travestito da troll avesse twittato messaggi per fomentare l’odio tra i ranghi della nostra politica (anche questo fu detto) — sarebbe stato senza alcun dubbio un attacco alla Democrazia Americana e al suo rito più sacro: le elezioni, con le quali scegliamo i nostri leader.
Qualcuno lo definì un “atto di guerra”. Altri lo paragonarono a Pearl Harbour.
Quasi tutti concordarono nel dichiarare intollerabile che ci fossero state delle interferenze nella Politica interna degli Stati Uniti.
Venne immediatamente chiesta vendetta e invocata giustizia.
Ma, a questo punto, è legittimo chiedersi: “Quanto siamo puri e irreprensibili, noi Americani, quando c’immischiamo negli affari delle altre nazioni”?
Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti rovesciarono regolarmente tutti i Regimi che ritenevano pericolosi per la nostra causa — ad esempio l’Iran nel 1953, il Guatemala nel 1954, il Congo negli anni Sessanta …
Dopo la Guerra Fredda, gli Stati Uniti furono tra i maggiori promotori delle “Rivoluzioni Colorate” che sovvertirono i regimi di Ucraina e Georgia.
Secondo Victoria Nuland, Dipartimento di Stato, a Kiev ci vollero 5 miliardi di dollari per deporre un Regime democraticamente eletto, favorevole alla Russia, per rimpiazzarlo con uno favorevole agli Stati Uniti.
Fu questo l’evento scatenante che provocò l’annessione russa della Crimea, per assicurarsi la base navale di Sebastopoli sul Mar Nero.
Considerate, ora, l’inesistente reazione della Capitale russa all’arresto e all’incarcerazione del dissidente Alexej Navalny, avvenuti dopo il suo ritorno dalla Germania — dove era finito in ospedale per un presunto avvelenamento, presumibilmente causato dai Servizi di Sicurezza di Putin.
In un editoriale intitolato “Nient’altro che un avvelenatore,” il Washington Post tuonò:
“I governi occidentali dovrebbero fare tutto quello che è in loro potere per sostenere questa sfida senza precedenti al crescente autoritarismo di Putin, che ha dedicato tutto sé stesso a sfruttare le debolezze del sistema democratico.
Ora è tempo di ricambiare il favore. Gli Stati Uniti e le nazioni della NATO dovrebbero schierarsi apertamente con i manifestanti russi che vogliono deporre Putin e il governo internazionalmente riconosciuto della Russia”.
E allora, come avrebbero reagito, gli Americani, se Putin avesse pubblicamente supportato il movimento “Stop the Steal”, quello che invase il Campidoglio per protestare contro i risultati delle elezioni del 3 novembre?
Nonostante gli americani siano divisi sui temi riguardanti problematiche razziali, sociali e morali, gli interventisti Liberal si ostinano a parlare dei nostri “valori universali”, che rappresenterebbero la meta a cui tutte le nazioni dovrebbero aspirare.
Tra questi “valori universali”, ovviamente, ci sono quelli della Democrazia degli Stati Uniti.
Questo è il modo con il quale giudichiamo le altre nazioni. Chi non si conforma a questo standard, diventa oggetto d’interferenze interne.
La nostra ideologia imperialista è più unica che rara.
Chi ci ha dato il diritto d’intervenire nelle questioni interne delle altre nazioni, anche se non ci minacciano e non hanno alcuna intenzione d’attaccarci?
Ogni volta che siamo intervenuti militarmente nei Paesi “non conformi”, abbiamo ottenuto dei risultati davvero pessimi.
Visto che i regimi in Libia, Siria e Yemen non si accordavano con le nostre idee politiche, dovevamo necessariamente usare l’esercito per cambiarli!
Risultato? Milioni di arabi morti, feriti ed esiliati in tutto il Medio Oriente.Un disastro storico.
Quando ci furono le Primavere Arabe, le abbiamo prontamente sfruttate. La rivoluzione democratica era lì!
E che cosa accadde alla più grande nazione araba che resisteva, l’Egitto?
Il Presidente Hosni Mubarak, da 30 anni nostro alleato, venne rimosso.
Al suo posto subentrarono i Fratelli Musulmani, che vennero sostituti un anno dopo da un nuovo Generale, Abdel Fattah el-Sissi, ancor più spietato di Mubarak.
Questa settimana, i Generali del Myanmar hanno deposto i vertici civili del Paese assumendone i pieni poteri.
Il Presidente Joe Biden ha reagito come il “cane di Pavlov”, definendolo “un diretto assalto alla transazione democratica del Paese”.
“In una democrazia” — ha detto Biden — “l’uso della forza non dovrebbe mai prevalere sulla volontà del popolo, per annullare il risultato di una giusta elezione”.
Derek Mitchell del “National Democratic Institute”, società sussidiaria del “National Endowment for Democracy”, ha spiegato che:
“La democrazia è una delle colonne portanti della Politica Estera dell’Amministrazione Biden, che è consapevole di quanto sia serio questo problema. La questione è cosa fare”.
In realtà, la vera domanda è questa: “Perché le vicende interne del Myanmar, una Paese a 10.000 miglia dagli Stati Uniti, dovrebbero interessare l’America?”
L’autoproclamata superiorità dell’America che, dopo la Guerra Fredda, si erse a giudice morale della “Democrazia nel mondo”, muovendosi contro coloro che non riteneva sufficientemente democratici, sta giungendo alla fine.
E, se non abbandoniamo quest’ideologia imperialista, specialmente nei luoghi dove la Russia e la Cina hanno forti interessi, questa fine potrebbe arrivare anche molto presto, all’improvviso.
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Link Originale: https://buchanan.org/blog/ideological-imperialism-is-leading-to-a-bad-end-142780
Scelto e tradotto da l’Alessandrino
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