Redazione: detto fuori dai denti, in questo mondo tutti spiano tutti, a prescindere dal campo di appartenenza. Non ci sono “santi” da una parte e “diavoli” dall’altra.
Sforzandoci come (quasi) sempre di offrire ai nostri lettori entrambe le facce della medaglia, perché possano farsi un’idea compiuta di quello che succede nel mondo, stavolta presentiamo la situazione dal punto di vista dei russi. Che non ci vanno tanto per il sottile.
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Redazione di Oriental Review
Per lungo tempo, i media occidentali hanno riempito le cronache dei quotidiani e dei telegiornali parlando delle continue interferenze russe, a cui politici ed esperti facevano eco.
Buona parte della popolazione è ora fermamente convinta che gli “hacker e i troll russi” siano la più grande minaccia per la società occidentale e che stiano costantemente cercando di minare “le fondamenta della democrazia”.
Per fortuna, i “buoni” (gli Stati Uniti e la NATO) — che lavorano incessantemente per i “popoli occidentali”, ben lieti di “spremerli” per il loro guadagno — riescono sempre a bloccare gli attacchi dei russi “brutti & cattivi”.
Come mai i media, i politici e gli esperti parlano apertamente della creazione di “unità di comando informatiche”, di “programmi di scambio d’informazioni e di sorveglianza speciale tra agenzie d’intelligence”, dello “sviluppo di potenti armi informatiche” in Europa e in America, ma il nemico da abbattere è sempre e comunque la Russia?
Perché le cosiddette “Big Tech” — società esclusivamente americane di IT (Google, Facebook, Twitter, Amazon, Apple, ecc.), che hanno praticamente creato un monopolio con i loro servizi e i loro social media — possono utilizzare dati personali e strategie di targetizzazione per fini commerciali e politici, anche usando la censura e la repressione, ma le accuse d’interferenza vengono rivolte solo alla Russia?
Diamo un’occhiata più da vicino a come stanno le cose.
Non c’è dubbio che siamo davanti a una guerra che si combatte su uno spazio digitale.
Infatti, un’informazione potrebbe contraddirne un’altra, a seconda degli interessi rappresentati.
Quindi, dovremmo giudicare quello che succede basandoci esclusivamente sui fatti e non sulle interpretazioni.
Ma quali sono i fatti?
Tutte le accuse di attacchi informatici che pendono sulla Russia, generalmente, si riducono ad affermazioni senza fondamento, cui seguono interminabili discussioni.
Ci sono decine d’inchieste tese a smascherare gli intenti di questi presunti “cattivi” ma, stranamente, i loro obiettivi non vengono quasi mai menzionati — e quel poco che viene detto è estremamente vago.
Non si trovano mai evidenze tangibili.
Gli organi ufficiali americani e i loro alleati giustificano questa mancanza di prove dicendo che si tratta d’informazioni “altamente confidenziali” e che stanno proteggendo le fonti da cui le loro “agenzie d’intelligence” traggono informazioni.
È chiaro a tutti che le attività di queste Agenzie siano top secret.
Tuttavia, il problema non è la loro segretezza o quella delle loro fonti, quanto che le reali motivazioni poste dietro a questi presunti attacchi cibernetici (e ai danni che possono causare) vengono nascoste al pubblico.
Di conseguenza, c’è una proliferazione di storie strampalate che farebbero invidia a un film di fantascienza di Hollywood.
A rendere la trama più convincente è l’influenza che questi “registi” esercitano sul pubblico e che viene utilizzata per indurlo a credere a un coinvolgimento russo.
Infatti, ci sono riferimenti al Presidente russo (che si presume abbia dato l’ordine di portare uno di questi attacchi), ci sono descrizioni dettagliate sulle attività di copertura compiute dagli Agenti russi e infine ci sono dei post in cirillico su tutti i social i cui autori non possono che essere russi.
È chiaro che la forma sia più importante dei contenuti.
Di volta in volta, questi elementi vengono rimescolati con l’aiuto di politici, esperti e media che buttano benzina sul fuoco, in modo tale che lo spettatore poco informato cominci a credere a tutte queste storie e che non abbia bisogno di fare ulteriori ricerche.
D’altronde, se tutti dicono la stessa cosa, è possibile che stiano tutti mentendo?
Da notare il fatto che tutti questi “esperti, media e politici” si citino vicendevolmente e questo fatto sfugge all’occhio dello spettatore medio.
L’esperienza insegna che una volta che queste “storie distorte” vengono rilasciate, acquistano vita propria. Anche se smentite, continuano a proliferare e a diffondersi sulla rete.
Il fallimento delle indagini del Procuratore Speciale, Robert Mueller, relative alle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016, non è riuscito a cambiare la narrativa dell’attacco informatico russo.
Ma perché l’idea che la Russia sia il “nemico da combattere”, in una guerra informatica, viene condivisa e urlata ai quattro venti dall’establishment?
È fuori discussione il fatto che gli Stati Uniti siano uno dei leader mondiali nella produzione di “tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e che negli ultimi anni abbiano sviluppato e usato queste tecnologie per scopi bellici, militarizzando la rete.
Nel 2010, gli Stati Uniti svilupparono e usarono il virus “Stuxnet” contro l’Iran.
L’attacco fu una specie di “Hiroshima digitale”, una “doccia fredda” per l’intera comunità globale anche perché l’attacco avrebbe potuto avere conseguenze irreparabili non solo per l’Iran, ma addirittura per l’intera regione.
In più, gli Stati Uniti furono il primo Paese nella storia a usare armi informatiche contro uno “stato sovrano”.
L’anno prima, nel 2009, il Pentagono creò un “Cyber Command”, che combina azioni di difesa e di attacco sulla base delle informazioni che riceve la principale “agenzia d’intelligence” del Paese – la “National Security Agency” (NSA).
Nell’agosto del 2017, per ordine del Presidente, il “Cyber Command” diventò un organo indipendente e fu potenziato diventando un “unified command”.
In più, quell’unità fu posta allo stesso livello degli altri nove Comandi.
Al “Cyber Command” furono fornite 130 unità e più di 6.000 impiegati, fra i quali operatori informatici capaci di prendere parte a interventi difensivi e offensivi.
Il capo dell’NSA e del “Cyber Command”, il Generale Paul Nakasone, è convinto che Washington debba avere un approccio informatico più aggressivo nei confronti dei suoi nemici.
Per questo, nel marzo del 2018, il Cyber Command sviluppò una tabella di marcia chiamata “Achieve and Mantain Cyberspace Superiority”.
Secondo questa strategia, i militari americani devono condurre incursioni quotidiane sulle reti straniere, pronti a disattivare i server sospetti prima che questi provino a lanciare dei programmi malaware.
Come riportato dal “New York Times”, tuttavia, alcuni Ufficiali americani sono preoccupati perché le azioni indirizzate verso network stranieri potrebbero condurre a ritorsioni contro banche americane, mercati finanziari e reti di comunicazioni.
Gli autori di queste strategie informatiche non escludono che possano esserci degli incidenti diplomatici, anche perché “Cyber Command” ritiene che i nemici principali degli Stati Uniti non siano i terroristi, i criminali e gli attivisti, ma nazioni quali la Cina, la Russia, l’Iran ecc.
Come si può notare, gli Stati Uniti stanno sviluppando tecnologie per condurre attacchi digitali.
Si sono spinti così avanti da condurre attacchi informatici preventivi che hanno come obiettivo le reti d’informazioni di nazioni sovrane.
In aggiunta a queste strutture informatiche, gli Stati Uniti stanno portando avanti un’attività di spionaggio globale fin dal 1947, come parte del programma di sorveglianza elettronica Echelon.
Le moderne “tecnologie dell’informazione e della comunicazione” hanno permesso a Washington di rafforzare in modo significativo le abilità della sua Intelligence.
Evidenza straordinaria di questo miglioramento è il programma PRISM (Program for Robotics, Intelligent Sensing, and Mechatronics) del 2007, che portò a un’enorme raccolta di dati senza che vi fossero sanzioni penali.
Prove documentate furono fornite dall’ex Agente della CIA e dell’NSA, Edward Snowden, nel 2013.
Mostrarono che le “agenzie d’intelligence” americane usavano il programma PRISM per ottenere l’accesso ai “server centrali” di nove delle più importanti società-Internet — Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, Paltalk, YouTube, AOL, Skype e Apple.
Le “agenzie d’intelligence”, in effetti, stanno compilando un database globale contenente i dati personali degli utenti dei social media, dei loro file video e audio, delle loro fotografie, e-mail e documenti elettronici.
Snowden rivelò che l’NSA usava il programma PRISM per ascoltare le conversazioni telefoniche di 35 Capi di Stato e di altri Diplomatici stranieri.
Gli esperti dichiararono che le Agenzie americane, in collaborazione con il “British Government Communications Headquarters” (GCHQ), decifravano illegalmente tutti gli standard crittografici di Internet, usando dei super-computer e servendosi di hacker dalle eccezionali qualità.
In più, lo sviluppo delle armi informatiche e delle attività di spionaggio digitale minacciano la sicurezza del mondo e tutte le chiacchiere messe in giro sulle “interferenze russe” e sugli “hacker russi” sono solo una copertura per distrarre l’attenzione internazionale.
Ma, forse, abbiamo posto la domanda iniziale in modo non corretto.
L’Occidente non sta spingendo l’idea che la Russia sia “un” nemico digitale, bensì “il” nemico digitale numero uno.
Perché lo fa? Per distrarci da ciò che sta realmente accadendo.
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Link: https://orientalreview.org/2021/02/22/how-russia-is-being-made-out-to-be-a-cyber-aggressor/
Scelto e tradotto da l’Alessandrino
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