Vi voglio presentare un giovane filosofo italiano: Emanuele Franz.
Autore di numerosi saggi, ci ha presentato la sua ultima opera “Io nego. Pensieri di un filosofo davanti al Covid.” Per maggiori informazioni su Emanuele Franz e sulle sue opere vi invito a visitare il sito: www.audaxeditrice.com
L’intervista che mi ha concesso è una boccata d’aria fresca in un mondo viziato da una visione meccanicistica aprioristica della storia.
Emanuele Franz auspica che la vita stessa ritroverà il suo corso. In noi è racchiusa una sapienzialità cosmica, che come un eremo di bellezza interiore soggiace in un deserto di paura e di vergogna.
La storia, inoltre, percorre vie sotterranee che non possiamo né vedere, né prevedere. Non dobbiamo, quindi, disperare.
Le parole stesse del filosofo aprono uno squarcio nel velo di Maya che ci vuole tutti prigionieri: “E quindi anche l’uscita da questa grande crisi di “emergenza sanitaria” avverrà attraverso l’inatteso e soprattutto credo che non avverrà dai virologi, ma magari da un senso dell’umanità che non riuscirà mai a essere sradicato nonostante questo totalitarismo.”
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Chi è e che cosa fa. Si presenti al nostro pubblico.
Mi occupo di saggistica, filosofia, storia delle religioni, editoria e attività come organizzare convegni, conferenze e attività culturali nazionali e internazionali. Mi occupo di pubblicazioni spesso e volentieri controcorrente.
Una fra le principali pubblicazioni che hanno fatto discutere è “L’Inganno della libertà”, che ha avuto la prefazione del filosofo russo Alexander Dugin, la postfazione del compianto Giulietto Chiesa e anche un commento di Noam Chomsky, dove criticavo il modello di società consumistica occidentale.
Sulla scia di questa mia visione del mondo, di questo mio approccio, di questa mia sensibilità, ovvero di criticare quello che di superfluo, di inessenziale, di inautentico si nasconde nell’uomo e nella società di oggi, basata più che altro a una rincorsa a una vetrina, a un’apparenza ho scritto un diario della quarantena, un diario della pandemia.
Io nel 2020 stavo occupandomi di due grandi lavori: una storia della sottomissione e della mistica che si intitola “Storia della sottomissione dai miti indiani a Leopold Von Sacher-Masoch” e un altro trattato sul concetto di generazione nella teologia che si intitola “La generazione inversa. Ovvero come il Figlio genera il Padre.”
Ormai è chiaro che questa “pandemia” sia un inganno. Perché se non lo fosse, non avrebbero bisogno di convincere le persone che c’è una pandemia. Ci sarebbe e basta. Come mai un’influenza ha messo in ginocchio un’intera civiltà?
Mentre scrivevo questi lavori avveniva tutto il fenomeno delle restrizioni, delle norme anti-Covid e fu inevitabile per me interrogarmi su quanto di in autentico e anche di subumano si nasconde nelle normative atte a gestire una così chiamata “pandemia”.
Le pandemie così come le epidemie, così come in generale le malattie sono sempre esistite nella storia. Non è che di punto in bianco, oggi col 2020 l’uomo muore, l’uomo è malato.
L’uomo è sempre stato malato. L’uomo soffre da quando c’è la condizione umana. Come diceva giustamente Socrate, il male è l’ignoranza del Bene, di conseguenza l’uomo soffre per ignoranza, perché non conosce il Bene.
In realtà questa posizione è anche una posizione espressa dal buddismo come noto: l’attaccamento produce sofferenza e dolore. L’attaccamento è la radice stessa della paura.
Ora questo fenomeno “emergenziale” è l’acme, l’apoteosi della paura di perdere qualche cosa: la vita, gli affetti, il lavoro, una propria rappresentazione di se stessi nella società, nel mondo delle relazioni. La paura di perdere tutto questo portata all’acme ha generato l’odio reciproco.
Ma il mondo orientale insegna che le cose comunque si dissolvono nel mondo, perché l’Universo è un atto in divenire.
La sofferenza nasce sempre quando pensiamo che la rappresentazione di noi stessi debba essere imperitura, mentre si è perso forse il senso del trascendentale.
Cos’è il senso del trascendentale? È proprio appoggiarsi a ciò che mai tramonta. Lo avrebbe detto anche Platone nel Timeo: “τὸ ὂν ἀεὶ, γένεσιν δὲ οὐκ ἔχον”, ovvero ciò che è sempre senza avere generazione.
Ecco forse le persone hanno perso questa sensazione interna di appoggiarsi a ciò che non tramonta e si attaccano invece a tutto ciò che è destinato a disgregarsi e come dicevo questo genera paura, attaccamento, e anche violenza reciproca.
Quindi il male è sempre esistito, soltanto che nel passato, nei secoli precedenti il mondo religioso, il mondo sacerdotale sia a Oriente che a Occidente affrontava la problematica con un’altra prospettiva. Senza dubbio non quella di oggi, perché oggi vediamo il papato che invita a vaccinarsi, vediamo il sacerdote con l’amuchina, con le mascherine, il Dalai Lama che compie un gesto mediatico eclatante di vaccinarsi davanti alle telecamere, lui che dovrebbe essere la rappresentazione stessa della Buddità in terra, l’interprete, il continuatore della Prajnaparamita sutra e in genere del canone buddista che insegna, questa tradizione, che il nemico principale è la paura e l’attaccamento.
Quindi è incredibile come il mondo religioso oggi, anche la Chiesa Ortodossa, abbiamo visto l’arcivescovo Bartolomeo con le mascherine, vaccinarsi. Insomma il mondo religioso pare all’unisono, è diventato speculare a quello della virologia, mentre nel passato abbiamo un Clemente VI, Papa Leone, Santa Teresa d’Avila, Santa Teresa di Lisieux, che hanno vissuto come noto la malattia, il disagio, ma per loro, per i mistici tutto ciò era un progetto.
La nota frase usata come slogan a inizio pandemia “Andrà tutto Bene” è stata decontestualizzata, volgarizzata forse dai testi della mistica Giuliana di Norwich, una Santa eccezionale che ha affrontato la malattia, dicendo che noi non siamo un cumulo di nervi, un cumulo di ossa buttati alla rinfusa, ma un progetto e che soltanto superando l’attaccamento e la paura, ovvero affidandoci a quel τὸ ὂν ἀεὶ, γένεσιν δὲ οὐκ ἔχονdi [ciò che sempre è, senza avere generazione] cui parlava Platone, ovvero ciò che non tramonta è possibile il superamento della transitorietà.
A me sembra evidente quindi che non è tanto la pandemia, quanto una società che è arrivata al tracollo, una civiltà che non è neanche degna di questo nome, perché quando si sopprimono gli abbracci, la stretta di mano, il culto dei morti, si chiudono le chiese, allora si sopprime l’intera civiltà perché l’attentato è quello ai fondamenti stessi del nostro essere civile.
In un’intervista ha detto che il corpo sociale espellerà questa grande impostura così come il corpo di un organismo vivente elimina i rifiuti. Come avverrà, secondo lei, questa espulsione? Inoltre secondo lei quanto è importante la costruzione di un contenitore ideologico in grado di contrastare questo sistema che sembra aver preso possesso non solo delle istituzioni e dei centri di potere, ma anche delle menti e ora addirittura dei corpi?
Io ho scritto un’opera che si intitola “La storia come organismo vivente” in cui parlo appunto della visione metaforica in cui le epoche storiche sono degli organi viventi: quindi se il sistema nervoso potrebbe essere rappresentato dal mondo greco, quello della circolazione del sangue dall’Impero Romano e così via, io vedo in quest’epoca un apparato digerente che spezza, massacra, disossa, scarnifica.
Però appunto secondo me vi sarà l’espulsione di uno scarto.
È un po’ anche il motto alchimistico “solve et coagula” adesso siamo alla fase del “solve”, cioè la fase dello sciogliere, del distruggere. Vi sarà a mio dire, perché la mia è una visione ottimistica, un superamento, una sintesi.
Come avverrà questo scarto? Per me non con un sistema ideologico a salvarci. Sarà la riscoperta di una frazione di umanità disperata, povera che però saprà distinguere il Bene dal male per la sua essenzialità.
Vorrei citare una frase di Pier Paolo Pasolini che era alla disperata ricerca di questa umanità sperduta quando diceva che soltanto due generi di persone sono autentiche il miserabile e l’uomo straordinario, perché solo questi due solcano, superano la convenzione.
Quindi io non vedo in un apparato ideologico culturale, anzi diffido e critico nel libro “Io nego” una certa autodichiarata controcultura di essere faziosa, di fare il gioco del sistema, di essere un po’ contraria a certi dettagli, ai se e ai ma, ma sulle grosse questioni essere finanche d’accordo col sistema stesso di cui appunto questa controcultura si propone di criticare, ma in fondo usa il suo stesso linguaggio.
Per me salvezza c’è, ma non è nella cultura. È nella sapienzialità del corpo stesso in quanto opificio, in quanto tempio, la riscoperta dell’essenzialità, dell’innocenza, della spontaneità.
Quindi in questo senso io vedo più che una rinascita, un germogliare noi stessi, che sarà possibile una volta che lo scarto sarà avvenuto.
La storia ha conosciuto tempi addirittura più bui, società anche più repressive di questa, ma la salvezza è sempre arrivata da un punto insospettato: dai sogni, dalle convinzioni, da qualche uomo singolo senza mezzi che ha superato la disperazione.
Guardiamo un Gandhi da solo possedeva solo un paio di sandali, una tonaca e un paio di occhiali è riuscito a liberare l’India dalla più grande potenza militare del mondo.
Quindi la storia ha sorprese e ha dei colpi di scena e soprattutto queste giravolte avvengono, come dice Euripide che parlava del fatto che gli dei trovano la loro strada nell’inatteso.
E quindi anche l’uscita da questa grande crisi di “emergenza sanitaria” avverrà attraverso l’inatteso e soprattutto credo che non avverrà dai virologi, ma magari da un senso dell’umanità che non riuscirà mai a essere sradicato nonostante questo totalitarismo.
Ci parli del suo ultimo libro “Io nego. Pensieri di un filosofo davanti al Covid.”
Si diceva che il male è l’ignoranza del Bene. Ma che cos’è il Bene? È la domanda delle domande. È la domanda che si pone l’uomo da quando c’è l’uomo.
Io cerco di rispondere nel libro “Io nego. Pensieri di un filosofo davanti al Covid” Per me il Bene è la sintesi verso un’unità superiore.
La vita stessa è un assembramento: miliardi di cellule nel nostro corpo coese, gli organi l’un con l’altro si danno questa sintesi.
Non sono a se stessi. Un polmone che pretendesse di liberarsi, di affrancarsi dall’altro suo polmone speculare o dai reni o dal fegato porterebbe la morte dell’organismo.
Quindi la normativa atta a gestire questa emergenza sanitaria è una normativa propensa a dividere, a separare. Ma la separazione è morte. Disassembrare.
Anche i sistemi ecologici sono tutti un volgere a un’unità superiore.
Quindi per me non è tanto quello che riguarda questa pandemia, ma questa pandemia secondo me è l’epilogo di una civiltà al collasso. Come si suol dire il famoso tramonto della civiltà di cui parlava Oswald Spengler.
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l’Alessandrino
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