Ho intervistato il fotoreporter Giorgio Bianchi. Il suo sguardo pieno di umanità ci rivela scenari che nemmeno possiamo immaginare. Il suo coraggio deve essere di esempio per tutti noi, che combattiamo per la verità e la giustizia.
Giorgio Bianchi è andato davvero in Siria e in Ucraina. Non come quei soloni bravi a pontificare, che affollano i salotti televisivi, senza avere idea di cosa parlano.
Giorgio Bianchi ha toccato con mano il dolore della guerra. La sua testimonianza profonda e umana mi ha portato a riflettere sulla nostra condizione di Occidentali.
Sappiamo davvero cosa sta accedendo nel mondo? O siamo troppo impegnati a combattere contro i mulini a vento e a credere che siano giganti terribili?
Per ogni informazione su Giorgio Bianchi vi invito a visitare il suo sito personale: https://www.giorgiobianchiphotojournalist.com/
*****
Parlaci del tuo ultimo libro “Teatri di guerra contemporanei”.
È il punto di arrivo di un percorso cominciato sette anni fa con il reportage che documentava il colpo di stato avvenuto a Kiev nel Febbraio 2014,proseguito poi con i lavori che hanno raccontato la guerra civile in Ucraina e poi culminatocon la documentazione del conflittosiriano.
La Siria l’ho seguita a partire dal Marzo 2011(quest’anno ricorrono i dieci anni di conflitto), ma ho dovuto attendere fino al 2016 prima di avere la possibilità di recarmi sul campo; ho poi proseguito nella documentazione in missioni successive, fino al 2019, anno di conclusione delle riprese di un documentario prodotto da Rai Cinema e al quale ho contribuito in qualità di aiuto-regista.
Diciamo che sono due conflitti e due situazioni che conosco abbastanza bene. Ciononostante il libro non vuole essere un racconto giornalistico dei fatti, quanto piuttosto si propone come una narrazione emozionale di ciò che ho provato in questi anni di lavoro sul campo. Il linguaggio fotografico e quello filmico ci restituiscono molto di quello che noi sperimentiamo durante il nostro lavoro, ma tutto sommato ci diconopochissimodelle emozioni che si agitano nell’autore durante il lavoro.
Il libro per me è statala possibilità di dare voce alla mia interiorità e a quello che ho provato in questi anni, raccontando le storie dei personaggi che ho scelto come tramite per descrivere questi eventi epocali.
Qual è la reale situazione in Siria. Le notizie arrivano frammentarie e lacunose. Che cosa sta realmente accadendo secondo te. L’attacco di Biden al popolo siriano era, secondo te, una provocazione rivolta alla Russia di Putin?
La“rivoluzione colorata” di Maidan, così come la “primavera araba” che si è svolta in Siria, sono eventi molto connessi. In questi giorni si parla molto di contagio e quello delle primavere arabe è stato un fenomeno che potremmo definire di natura “virale”:la rivolta cominciò nel dicembre 2010 in Tunisia,in seguito alla protesta del tunisino Mohamed Bouazizi; il suo gesto estremo innescò l’intero moto di rivolta che ben presto si tramutò nella cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini.
Per motivi analoghi, una serie di eventi con caratteristiche molto simili si propagò come una “ola” da stadio ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa: i paesi maggiormente colpiti dall’ondata di proteste furono L’Egitto, la Siria, la Libia, la Tunisia e lo Yemen
Rivoluzioni colorate e primavere arabe sono entrambi fenomeni che si basano sulle teorie espresse da Gene Sharp nel suo celebre libello “From dictatorship to democracy”. Il testo, scritto in un linguaggio così semplice da poter essere compreso anche da un bambino, è una sorta di libretto delle istruzioni su come rovesciare un governo ritenuto autoritario attraverso un’esasperante serie di rivolte pacifiche, aventi come scopo ultimo quello diprovocare una risposta dura da parte del governo bersaglio, che a sua volta legittimerebbel’uso della violenza da parte dei manifestanti (e di loro eventuali sostenitori esterni) in risposta alla presunta brutalità dei governi.
Il caso ucraino e quello siriano sono due esempi da manuale di questa strategia. In Siria ad esempio c’era un governo sgraditoall’Occidente; un governo che aveva sicuramentedei limiti edelle negatività (come tutti del resto), questo non lo nega nessuno; mabisogna anche ricordare che la Siria era un Paese florido, la perla del Medio Oriente. Il Presidente Bashar al-Assad era stato premiato nel 2004 con la “Legion d’Honneur” dai francesi; nel 2010 era stato insignito da Napolitano con il “Cavalierato di Gran Croce” e il suo Paese era stato indicato dal nostro Presidente della Repubblica come un modello di apertura verso l’Occidente e un luogo di rispetto e tutela per le minoranze e tutte le diverse confessioni religiose.
Poi all’improvviso, nel 2011, subito dopo lo scoppio delle manifestazioni, è cominciata una martellante campagna di “redutio ad Hitlerum” nei confronti di Assad. Si è subito detto che aveva represso in maniera violenta le legittime rivendicazioni del popolo.
Questo punto va chiarito una volta per tutte. In Siria si è svolta una guerra per procura.
I manifestanti che scesero in piazza nel 2011 furono quasi subito infiltrati da miliziani jihadisti armati e violenti che entrarono nel Paese prevalentemente attraverso la Turchia (Così come le manifestazioni di Kiev sono state ben presto guidate dagli estremisti di Pravysektor e Svoboda).
Questi combattenti islamici trasformarono le manifestazioni di piazza in veri e propri scontri armati.
C’è una data simbolica che segna questo passaggio: è il 6 luglio 2011 ovvero il giorno in cui l’ambasciatore americano Ford si fece fotografare tra le fila dei ribelli armati di Hama.
Per anni i soldati dell’Esercito Arabo Siriano (EAS) sono stati dipinti dalla stampa mainstream come “massacratori del proprio popolo”. Ci è stato raccontato che l’esercito è stato lo strumento utilizzato dal governo per reprimere la spontanea richiesta di democrazia da parte della società civile siriana.
La realtà è che l’EAS ha fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi altro esercito occidentale se posto nelle medesime condizioni.
In Europa abbiamo assistito alla repressione brutale da parte del governo francese delle manifestazioni dei gilet gialli.
Immaginiamo che queste manifestazioni, in molti casi violente, ad un certo punto fossero state infiltrate da jihadisti armati e supportati da paesi stranieri che intendevano sovvertire le istituzioni francesi.
Supponiamo poi che queste milizie avessero iniziato a sparare sulle forze dell’ordine dando il via a scenari di guerriglia urbana in diverse città della Francia. A quel punto cosa avrebbe dovuto fare il governo francese? Ecco, la stessa domanda se la pose il governo siriano quando nel 2011, sul proprio territorio, si verificò uno scenario analogo.
Eppure dalle nostre parti nessuno ha avuto nulla da ridire. Sinceramente non riesco a capire come mai quello che non viene accettato in Occidente, dovrebbe essere legittimo nei Paesi non allineati. Ci troviamo di fronte ad una concezione neocoloniale secondo la quale se i nostri governi reprimono, lo fanno per una giusta causa, mentre se a farlo sono i “selvaggi”, l’episodio è da condannare a prescindere.
E’ un doppio standard razzista (nel nostro particolare caso anche classista) e inaccettabile.
Se nel 2015 non fossero intervenuti i russi con la loro aviazione e con le loro forze speciali sul campo, noi avremmo assistito alla fine della Siria così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Il Paese sarebbe stato trasformato, né più né meno, in una Libia mediorientale. Sarebbe stata spaccata in quattro parti: una parte alla Turchia, una parte agli Alawiti governativi, una parte all’Isis, una parte ai Curdi.
Se ciò non si è verificato e solo grazie all’intervento dei russi. Mi sembra quindi normale questo continuo accanirsi dell’amministrazione Biden nei confronti della Russia e dei Paesi non allineati; rientra nella logica di chi vede allontanarsi la marmellata di poter riformare il mondo e di assoggettarlo alle proprie regole economiche e finanziarie.
La Russia sta muovendo le sue truppe alla frontiera con l’Ucraina. E Stati Uniti e Unione Europea sono in massima allerta. Che cosa significa questa recrudescenza? Che cosa sta succedendo?
Sono molto preoccupato per quello che sta succedendo in Ucraina.
È mia ferma convinzione che non si tratti più di stabilirese ci sarà una guerra o meno, ma solo di capire quando scoppierà. Sarà una guerra convenzionale, combattuta sul campo. Sarà una guerra sanguinosa che cambierà definitivamente gli assetti geopolitici e diplomatici tra l’Oriente e l’Occidente.
La Russia è preoccupata perché dal lato ucraino stanno affluendo uomini e mezzi provenienti dall’estero. Quindi non soltanto ucraini, ma anche di Paesi stranieri aderenti alla NATO. Abbiamo navi da guerra statunitensi che stanno cercando di entrare nel Mar Nero; abbiamo una sorta di dichiarazione di guerra di Zelens’kyj, il Presidente ucraino, che ha scritto che ormai non si tratta più di “aggressione russa” nei confronti dell’Ucraina, ma di vera e propria “guerra” tra la Russia e l’Ucraina. Zelens’kyj ha inoltre ottenuto l’appoggio incondizionato di Stoltenberg, il Segretario Generale della NATO e di Biden.
La guerra è imminente. E’ vero che la Russia sta muovendo truppe al confine con l’Ucraina, ma a differenza di quello che stanno facendo i Paesi della NATO, le sta dislocando sul proprio territorio e in risposta alle provocazioni provenienti da occidente.
Sta inoltre subendo in questigiorni le manovre della DefenderEurope 2021: in parole povere, al di là di quello che recitano gli opuscoli propagandistici, in un momento di tensione come questo, ci sono uomini e mezzi statunitensi che si muovono lungo isuoi confini.
La facciata è quella di un’esercitazione, ma in un clima del genere nessuna persona di buonsenso potrebbe escludere che questi potrebbero essere i prodromi di un conflitto su larga scala;sicuramente non lo pensano i Russi e gli statunitensi al loro posto farebbero lo stesso.
Il mio compito non dovrebbe essere quello di fare l’avvocato d’ufficio della Russia, ma ritengo che sia molto pericoloso per l’Europa considerare queste vicende in maniera unilaterale e semplicistica; quello che si sta facendo da tempo è cercare di ridurre situazioni estremamente complesse in una sorta di libretto illustrato per bambini, in cui c’è un cattivo cattivissimo e un buono buonissimo che starebbe cercando in tutti i modi di salvare il mondo dall’uomo nero, in questo caso un Putin, che a detta dei media e dei politici occidentali sarebbe un “assassino”, un “autocrate” e chi più ne ha più ne metta.
Questa impostazione va grandemente rivista, perché non corrisponde assolutamente alla verità, è una costruzione o come si dice oggi uno storytelling, volto a giustificare l’ennesimo tentativo di espansione imperialista ad Est.
Ieri [12 Aprile ndr] c’è stato un servizio di Report che ha mostrato quello che modestamente avevo già sottolineato a Febbraio, essendomi recato in Russia in quel periodo per lavoro, ovvero che lì la vita è da tempo ritornata a scorrere in maniera pressoché normale. Facebook mi ha bloccato per una settimana per aver pubblicato la foto di un ristorante e aver detto che in Russia la pandemia sembrava non esserci più.
Poi sono stato attaccato dal blog amatoriale (a quanto pare molto seguito) Butac che ha detto in buona sostanza che era giusto che Facebook mi avesse bloccato perché avevo fatto disinformazione.
Oggi anche Report ci informa che la vita in Russia scorre più o meno come nel 2019(questa cosa l’aveva detta anche l’Ansa verso Febbraio).
Di fronte a queste evidenze ci sarebbe molto da dire su chi oggi siano i dittatorie chi i democratici.
In un’intervista hai detto di aver vissuto in un villaggio, Spartak, dove le persone vivono in condizioni che tu hai definito “un inverno post atomico”. Hai anche detto che “la normalità si è andata rompere” in questo villaggio, mostrando l’esempio della squadra locale che non può più giocare nella sua città ad esempio. Lancio una provocazione: vedi delle similitudini tra quello che è successo a Spartak e quello che sta succedendo nella UE del coronavirus?
Purtroppo no. La mia risposta è volutamente provocatoria, ma mi spiego subito. Magari ci fosse stata in Europa una risposta di resistenza come quella data dagli abitanti di Donetsk e di Spartak(che è un piccolo villaggio alle porte di Donetsk).
Quando mi recai a Donetsk nel 2015 trovai una città semideserta bombardata in continuazione dagli ucraini. La periferia adiacente all’aeroporto era completamente distrutta, i terminal ridotti in macerie fumanti.
Di due milioni di abitanti ne erano rimasti sessantamila.
A Spartak che contava cinquemila abitanti ne erano rimasti poche decine, tra cui anche dei minori; sembrava di essere piombati in un inverno post-atomico, si sentiva solo lo sbattere delle lamiere mosse dal vento e il rumore degli spari in lontananza.
In questa situazione di devastazione, con i negozi serrati, i generi di prima necessità carenti, i supermercati vuoti, il rimbombo continuo degli spari e delle esplosioni, la gente terrorizzata che si aggirava per le strade come fantasmi, il Teatro dell’Opera e del Balletto di Donetsk ha continuato a mettere in scena i suoi spettacoli.
Le maestranze e gli artisti in parte erano fuggiti all’estero, ma in molti avevano scelto di restare e di tenere in vita il Teatro.
Ma l’aspetto che mi lasciò maggiormente incredulo fu il fatto che gli spettatori continuarono a seguire gli spettacoli. Quello che da noi è visto come un inutile orpello, uno stipendificio, un costo per la società e che in tempo di pandemia è stato immediatamente negato, ovverol’utilizzo dell’arte come balsamo per alleviare le sofferenze dell’animo, lì in periodo di guerra, era visto come una necessità fondamentale che andava preservata con ogni mezzo.
Anche le scuole sono sempre rimaste aperte.
Nel 2017 ho visitato una scuola per l’infanzia nella quale i lettini erano stati accatastati contro il muro, lontano dalle finestre, perché pochi giorni prima era scoppiato un colpo di mortaio e i vetri rotti avevano rischiato di ferire dei bambini. Gli insegnanti hanno continuato a svolgere la loro missione, perché quella dell’insegnante non è un lavoro, è una missione.
Da noi invece è franato tutto in un attimo, e per che cosa? Sinceramente non lo so.
Questo ha mostrato una differenza enorme di cultura e di scorza tra la gente di quei posti e i nostri concittadini. Noi purtroppo non ci rendiamo conto.
Solo vivendo per un certo periodo di tempo in quei posti si capisce cosa sia la normalità e quanto sia rimpianta da chi se l’è vista strappare via con la forza.
Perché l’Ucraina non ci dobbiamo mai dimenticare che è un Paese nel quale si viveva normalmente; era un Paese povero, ma il livello di vita era decente e gli standard erano più o meno paragonabili a quelli cosiddetti occidentali.
All’improvviso si sono ritrovati nel bel mezzo di una guerra civile, con il caos e le città devastate e loro si che hanno la vera consapevolezza di cosa significhi perdere la normalità. Tutte le persone alle quali io ho rivolto delle interviste, mi hanno detto che avrebbero pagato qualsiasi cosa pur di tornare indietro a quel fatidico 2014.
Mi ricordo le case devastate, sventrate dai bombardamenti, con tutti i calendari rimasti inchiodati all’anno 2014. Noi invece abbiamo deciso di gettare alle ortiche la nostra normalità, per una malattia che non si discosta poi di molto da una normale influenza stagionale.
I morti ci sono stati per carità, nessuno lo nega, ma dobbiamo renderci conto che se continuiamo di questo passo la nostra normalità non tornerà mai più.
Il costo umano delle norme anti-contagio tra non molto sarà di gran lunga più pesante di quello determinato dal virus. Siamo entrati ormai in un altro mondo, in un’altra era, senza combattere, senza lottare, senza interrogarci, ma soprattutto senza avere un dibattito sereno tra cittadini. E questo secondo me è resta l’aspetto più imperdonabile.
Ho letto la lettera aperta che hai scritto in difesa di Assange. Qual è la situazione in cui si trova il fondatore di Wikileaks?
Questa è un’altra di quelle situazioni assurde nelle quali ci troviamo. All’epoca avevo attaccato pesantemente Amnesty International perché dopo la visita di Nils Melzer, il delegato ONU contro la tortura che aveva constatato tracce evidenti di violenza psicologica nei confronti del detenuto Assange, ritenevo che l’ONG non stesse facendo nulla per tutelarne i diritti inviolabili.
In pratica ho innescato una mail bombing contro di loro, affinché prendessero immediati provvedimenti e mandassero un loro inviato a valutare lo stato di salute del prigioniero. Non ci dobbiamo dimenticare che uno degli statuti fondanti di Amnesty International è poprio quello di combattere la tortura in ogni sua forma.
Essendo un’organizzazione molto importante e soprattutto radicata in Inghilterra, avrebbe potuto fare pressione e attività di advocacy sul governo inglese per far sì che venisse allentato il regime carcerario nei confronti di Assange e fare in modo che fosse trattato in modo adeguato al suo precario stato di salute.
Nonostante tutto ciò Amnesty ha continuato a limitarsi ai comunicati di facciata e alle petizioni online e questo dovrebbe dirla lunga sul ruolo che hanno queste organizzazioni. Personalmente le chiamo O(N)G perché secondo me sono vere e proprie organizzazioni governative, uno dei tanti bracci armati dell’imperialismo attuale.
La loro ipocrisia e la loro malafede di fondo la si vede proprio in queste circostanze.
Oggi Navalny viene dipinto come un martire (ricordo sommessamente che in passato ha partecipato a manifestazioni organizzate da gruppi estremistici e xenofobi in Russia) semplicemente perché fa comodo all’Occidente. Addirittura Assange, il più delle volte, viene definito un hacker, neanche un giornalista.
Questo secondo me è un altro aspetto interessante, ovvero la concezione che si ha in Occidente del blogger. Fin quando è schierato al fianco dell’imperialismocontro i non allineati all’Occidente, è una sorta di eroe, è depositario della Verità, è un combattente per la libertà, va sostenuto con ogni mezzo e viene glorificato su tutti i media indistintamente e senza eccezioni.
Viceversa se il blogger, o più in generale l’attivista, mette in dubbio l’operato dei governi occidentali, viene immediatamente demonizzato, viene trattato come un cialtrone e gli vengono preclusi tutti i canali mainstream.
Lo vediamo soprattutto oggi in tempi di pandemia: chiunque muova delle critiche nei confronti delle grottesche misure anti-contagio, o provia stigmatizzare la deriva autoritaria dei governi europei, viene immediatamente emarginato quando non addirittura linciato pubblicamente su media e social.
Viene subito bollato con i termini di “negazionista”, “no-mask”, “no-vax” indipendentemente da quali siano le sue posizioni e le evidenze che è in grado di mostrare per corroborare le sue posizioni.
Ricordiamoci che in Svezia nessuno porta le ridicole mascherineall’aria aperta, ma nessuno si sognerebbe di dare dei “no-mask” agli svedesi, che fino all’altro ieri erano visti come un faro di democrazia e di civiltà. Insomma i blogger sono dei farabutti e dei ciarlatani, ma se sono funzionali all’imperialismo occidentale diventano degli eroi.
Non dico che nella cosiddetta controinformazione non ci siano molti problemi, ci sono e sono anche macroscopici.
Chi offre uno spazio e consente a qualcuno di rivolgersi ad un pubblico, vista l’aura di autorevolezza che gli sta conferendo, dovrebbe quantomeno essere attrezzato per contraddirlo o comunque deve mettersi nella condizione che ci sia qualcuno in grado di farlo.
Quando faccio delle interviste o quando parlo in pubblico cerco sempre di capire in anticipo quale sia il livello del mio uditorio per limitare quella che è la mia posizione di vantaggio in quel momento;altrimenti mi trasformo automaticamente in propagandista. Ciononostante quando ci si trova di fronte a una tale disparità di mezzi e ad un avversario che opera impunemente e in completa malafede, si rende necessario anche da parte nostra alzare la voce e forzare la mano, perché altrimenti il nostro punto di vista rischia di finire sommerso nel mare della propaganda di regime.
Quanto è grande la mistificazione dei media mainstream su tematiche di geopolitica, quali la guerra in Siria o la guerra in Ucraina o le rivolte a Hong Kong? E perché avviene questo continuo e affannoso tentativo di confondere le carte? Qual è la posta in gioco per le élite che controllano il Nordamerica e il blocco UE? Come possiamo superare questo sistema e riprenderci la libertà?
Quello che si è visto in questi giorni, l’ho definito una sorta di “anschluss” da parte delle potenze marittime nei confronti dell’Europa Occidentale. Per competere al livello della Cina, l’Impero non poteva più permettersi la democrazia e per questo motivo la democrazie borghesi sono state definitivamente archiviate.
Non avendo mezzi sufficienti per “democratizzare” la Cina (troppo protetta e consapevole degli stratagemmi atlantici), hanno trovato più comodo “cinesizzare” il cosiddetto Occidente allargato, più vulnerabile alla propaganda (la combinazione di media mainstream e social come abbiamo visto è devastante) e in profonda crisi valoriale.
Quello che noi abbiamo vissuto negli ultimi settant’anni in Europa Occidentale quindi, non era la norma, non era una conquista, ma andrebbe letto come un’eccezione storica, una concessione fatta a popoli sconfitti, per alimentare la propaganda verso i Paesiappartenenti al blocco del Patto di Varsavia. In questi anni l’Occidente ha voluto mostrare ai Paesi sotto l’egida dell’Imperialismo Sovietico che da noi vigeva la libertà, l’uguaglianza, i diritti, la ricchezza, il benessere con il solo scopo di farli schiattare di invidia e minare alla base il consenso nei confronti del socialismo reale.
Caduto il Muro, liquidata l’URSS, quel benessere e quelle libertà sono divenute un costo inutile, pertanto sono stateprontamente tagliate dalla nota spese e i soldi spesi richiesti indietro con gli interessi.
Come ci ripetono in continuazione ? Avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità.
Oggi con la caduta di quel sistema, il nemico da abbattere è la Cina e per combattere contro la Cina ad armi pari, la democrazia è un lusso che l’Occidente non si può più permettere.
Quindi, quello stiamo esperimentando in questi giorni, è sostanzialmente il ritorno prepotente del padrone nei suoi possedimenti per “riprendersi indietro” quello che aveva concesso per motivi che non avevano nulla a che vedere con i diritti, l’uguaglianza e gli ideali di democrazia. Ci aveva prestato uno stile di vita, basato sul debito, per motivi suoi utilitaristici e ora è venuto a riprenderselo. Tutto qui.
Nel mondo che verrà domani non ci si potrà più permettere la pluralità di pensiero. Il pensiero dovrà essere unico. I governi occidentali avendo fatto per decenni colpi di stato, avendo organizzato rivoluzioni colorate, avendo usato i media come strumento per scardinare gli assetti socioeconomici degli altri Paesi, sanno perfettamente cosa bisogna fare nei loro territori per poter garantire la stabilità in caso di imposizione di un regime autoritario.
Bisogna limitare la libertà di espressione e impedire il più possibile che le persone si riuniscano e si scambino opinioni. Quello che stiamo vedendo è proprio questo. Noi non possiamo più pensare di vivere come vivevamo, la libertà di pensiero e di espressione sarà sempre più contratta.
Le analisi pericolose per il Sistema vengono derubricate al rango di “complotti”; quelle che vengono marchiate come fake news e quindi censurate, a volte non sono neanche notizie, ma sono espressioni del pensiero e del punto di vista di chi le riporta. Ciononostante vengono assimilate in maniera del tutto arbitraria e distorta alle notizie e in quanto tali archiviate come fake news.
Quello che sto dicendo in questo momento non è una notizia, è la mia opinione;si potrà essere d’accordo o meno, però non la si può bollare come una fake news, perché non sto dando una notizia, ma sto semplicemente esprimendo un punto di vista.
Quello che stanno cercando di far passare è che ci siano delle idee indegne anche solo di essere state pensate. Si sta cercando di bollare preventivamente qualsiasi forma di opposizione all’autoritarismo che verrà.
Non mi stupirei se a breve i cosiddetti negazionisti fossero visti come una sorta di “terroristi sanitari”. Mentre i terroristi mettevano a rischio la sicurezza delle nostre comunità, i terroristi sanitari mettono a rischio la salute collettiva e per questo devono essere emarginati, contenuti, linciati pubblicamente e possibilmente emarginati.
L’unico modo per uscire da questa situazione è quello di fondare un gruppo editoriale indipendente, con fondi tali da poter operare per almeno cinque anni, che torni a fare giornalismo di inchiesta e reportage sul campo, anziché limitarsi a rimasticare quotidianamente le notizie che circolano sulla rete. Bisogna agire in maniera speculare al nemico, ovvero produrre le notizie e poi diffonderle sui social come fanno loro, affidandole a “influencer”superdiffusori e comunque ai lettori, che a loro volta le condivideranno con i loro contatti.
Dal mio punto di vista questa è l’unica via di uscita: occorre rompere il monopolio dell’informazione, perché questo è un regime che si basa sul consensogenerato dalla guerra psicologica e dalla manipolazione a mezzo stampa diffusa capillarmente per mezzo dei social.
*****
l’Alessandrino