Carissa Véliz per The Mail On Sunday
La maggior parte di noi sa che i nostri dati personali vengono raccolti, archiviati e analizzati attraverso l’uso di telefoni cellulari, computer e Internet.
Ma siamo davvero consapevoli di quanto oltre si spingano le invasioni della privacy nella nostra vita quotidiana?
Cominciamo dall’alba. Qual è la prima cosa che fate quando vi svegliate?
Probabilmente controllate il telefonino e, con questo semplice gesto, state informando una serie di ficcanaso — dal produttore del vostro smartphon agli sviluppatori di app, dal vostro gestore telefonico alle Agenzie d’Intelligence (nel caso siate già “attenzionati”) — dell’ora in cui vi svegliate e di dove e con chi avete dormito.
Lo smartwatch che indossate avrà registrato ogni vostro movimento a letto — compresa, naturalmente, la vostra attività sessuale.
Quando condividete una foto, o scrivete i vostri pensieri su Facebook, o fate una ricerca su Google … sono tutte informazioni che vengono monitorate e memorizzate.
Avete finito lo zucchero e dovete chiedere al vostro vicino se ne ha un pacchetto di scorta? Di fianco alla sua porta c’è un nuovo campanello intelligente che gli permette di rispondere anche quando non è in casa, dovesse perdersi il corriere Amazon.
Adesso, tirate a indovinare dove vanno a finire le immagini registrate con quel campanello — e per quali scopi.
Quando accendete la smart TV , questa identifica tutto ciò che guardate e poi invia i dati al produttore … e non solo a lui.
Se avete letto le “politiche sulla privacy” degli oggetti che avete acquistato, avrete notato che il televisore raccoglie e registra anche le parole che pronunciate — e si riserva il diritto di trasmetterle ad altre organizzazioni.
Agenzie d’Intelligence come l’MI5 e la CIA possono far sembrare la vostra TV come se fosse spenta mentre vi registrano. Anche Alexa e i suoi simili potrebbero essere lì a origliare.
Ora dopo ora, la sorveglianza computerizzata trasforma in dati la vostra vita quotidiana.
Nella società di oggi le auto possono registrare i luoghi che avete visitato, la velocità con cui guidate e i vostri gusti musicali — altre, invece, vi pesano attraverso i sensori presenti nel sedile.
Inoltre, ci sono e-mail che, una volta aperte, consentono di tracciare la vostra posizione geografica.
I vostri dati medici, anche quelli più intimi, possono essere ceduti dal Ministero della Sanità a organizzazioni commerciali senza il vostro consenso.
E, se avete mai fatto un test del DNA, le vostre informazioni genetiche sono nella disponibilità di chiunque sia disposto a pagare.
Viviamo in un’era di sorveglianza. Anzi, questo “è” il capitalismo della sorveglianza.
I Governi, le Agenzie d’Intelligence … mai come ora dispongono delle informazioni su tutti i propri cittadini e, questo, grazie a noi che, più o meno volontariamente, rilasciamo i nostri dati.
Come Professoressa presso l’Institute for Ethics in Artificial Intelligence dell’Università di Oxford, negli ultimi dieci anni ho studiato questo fenomeno con crescente interesse (e preoccupazione).
Ho scritto molte volte sull’importanza della privacy nell’era digitale e su ciò che le “big-tech” (quelle da cui tutto è partito) possono imparare dal mondo molto più regolamentato dell’etica medica.
Sono aziende come Facebook e Google che, più delle altre, hanno contribuito a costruire la “data economy”. E, durante i lockdown da Coronavirus, la cosa è diventata ancor più evidente.
Abbiamo utilizzato i social network per restare in contatto con amici e familiari, piattaforme come Zoom per lavorare e Google Classroom per le attività scolastiche.
Lo scorso anno ci ha dimostrato quanto sia ormai impossibile farne a meno.
Collettivamente e separatamente, queste piattaforme ci osservano. Sanno che sto scrivendo queste parole. E, se state leggendo questo articolo su uno schermo, sanno che lo state facendo.
Certo, la cosa suona sinistra e il mio potrebbe sembrare mero complottismo. Se però pensate che non sia così, continuate a leggere.
Facebook, da solo, ha violato il nostro diritto alla privacy così tante volte che un resoconto completo meriterebbe almeno un libro.
In effetti, già nel 2010 Mark Zuckerberg suggeriva che la privacy non era più “una norma sociale”, perché superata dalla nostra “evoluzione” — ovvero dalla quantità d’informazioni che condividiamo liberamente on-line.
È nel suo interesse — e di tutte le altre big-tech — credere che sia così.
Tutto ciò che fate, mentre siete su Facebook, viene tracciato … dai movimenti del mouse a quello che scrivete e che poi, magari, decidete di eliminare.
A prima vista può sembrare un social network, ma il suo vero business è il “commercio di influenze” attraverso i dati personali.
Vuole sapere chi siamo, cosa pensiamo, dove siamo vulnerabili. Vuole prevedere e influenzare il nostro comportamento.
Armata di tutto questo, potrà vendere ai pubblicitari l’accesso alla vostra attenzione.
Inoltre, non è possibile star lontano da quel mostro affamato di dati.
Facebook mantiene “profili ombra” persino su persone che l’account nemmeno ce l’hanno. Lo fa attraverso i pulsanti “mi piace” che, su Internet, sono dappertutto.
Cliccare “mi piace” significa che i vostri amici di Facebook vedranno le vostre attività — Facebook stessa ne trae una panoramica sui vostri interessi … ma questo ormai lo sapete.
E allora? Si potrebbe dire che queste cose, in fin dei conti, non è che facciano tutto questo gran danno.
Ma lo sapete che Facebook potrebbe connettervi anche con persone che state effettivamente cercando di evitare?
Nella sezione “persone che potresti conoscere”, in effetti, raccomanda quelle con cui dovreste connettervi.
Questa funzione ha contribuito all’espansione del social network, che è passato dai 100 milioni di membri di quando è stato introdotto, nel 2008, a più di due miliardi nel 2018.
Ad esempio, può collegare le identità reali delle operatrici (operatori) del sesso ai loro clienti.
O mandare all’aria la riservatezza medica collegando fra loro i pazienti di uno psichiatra attraverso la rubrica del telefono — tanto basta agli algoritmi di Facebook per creare il collegamento.
E’ anche capitato che abbia suggerito a uno stalker il collegamento con la sua vittima … e a un marito quello con l’amante di sua moglie … e a una vittima quello con chi ha scassinato la sua macchina.
Per anni Facebook ha concesso al motore di ricerca Bing di Microsoft di vedere i contatti dei suoi utenti senza il loro consenso — e ha anche dato a Netflix e Spotify la possibilità di leggere e persino eliminare i “messaggi privati” degli utenti di Facebook.
Inoltre, ha probabilmente utilizzato il riconoscimento facciale sulle vostre foto (senza consenso) per sviluppare nuove e redditizie tecnologie e ha certamente depositato dei brevetti per riconoscere i volti degli acquirenti nei negozi, e abbinarli ai loro profili di social networking.
E ancora, nel 2019 centinaia di milioni di numeri di telefono di utenti Facebook sono stati esposti online su un database aperto, perché il server su cui si trovavano non era protetto da password.
Questi sono solo alcuni degli ultimi disastri e tutto lascia capire che le violazioni del nostro diritto alla privacy da parte di Facebook non si fermeranno.
Un resoconto presentato al Parlamento Britannico ha suggerito che Facebook, negli ultimi anni, si sia comportata come un “gangster digitale”. E non è la sola.
Google, in effetti, è l’altro grande protagonista di questa storia.
Nel 1996 i fondatori Larry Page e Sergey Brin svilupparono il cuore di Google, un algoritmo che conta il numero dei collegamenti a una pagina Web per valutarne l’autorevolezza, sulla cui base viene poi posizionata nei risultati di ricerca.
Fu un’idea geniale. Ma, poi, Page e Brin trasformarono Google da strumento straordinario a macchina da soldi.
Come fecero? Utilizzando i dati personali dei loro utenti per vendere annunci: ovvero link sponsorizzati dentro e attorno alle loro classifiche di ricerca.
Quando gli utenti cercano sul motore ciò che desiderano, temono o semplicemente li incuriosisce, Google raccoglie montagne di dati su di loro.
Da allora, Google ha creato sempre più prodotti per raccogliere sempre più dati da sempre più fonti: come ad esempio Chrome, Maps, Pixel, Nest e altri ancora.
Perché un’azienda dovrebbe offrire un servizio extra come Maps, che è costoso da creare e mantenere, senza avere nulla in cambio? Google, in realtà, voleva raccogliere i dati sulla vostra posizione.
Molte altre organizzazioni si prendono la libertà di usare i nostri dati. Ad esempio, se andate dal medico, sappiate che i vostri dati sono spesso in vendita.
Ci sono dei data-broker — commercianti d’informazioni personali — che possono acquisire i dati medici, teoricamente anonimi, da farmacie, ospedali, studi medici, app sanitarie e ricerche su Internet.
I vostri dati potrebbero finire nelle mani di ricercatori, Compagnie di Assicurazione o potenziali datori di lavoro.
L’ultima controversa raccolta-dati è pianificata per la fine di quest’anno, quando le informazioni tratte dagli archivi dei medici di base verranno centralizzate su un database del Ministero della Sanità inglese.
Quelli dei pazienti ospedalieri, invece, sono già conservati a livello centrale.
Se da un lato questo è estremamente utile se fatto a scopo di ricerca, dall’altro ci sono preoccupazioni che il Ministero possa rilasciare i vostri file senza consenso a società come ad esempio DeepMind, facente parte della casa-madre di Google (Alphabet), che si occupa d’Intelligenza Artificiale.
E questo è molto preoccupante. DeepMind potrebbe collegare i vostri dati al vostro account Google, con tanti saluti alla vostra privacy.
Arriviamo poi all’informazione più intima, quella che riguarda i vostri dati genetici — l’architettura di quello che siete.
Immaginate per un attimo che un amico vi regali un kit domestico per analisi del DNA.
Questi kit — che possono rivelare informazioni sulla vostra discendenza genetica, o aiutarvi a trovare parenti lontani e persino a rilevare se avete un potenziale rischio di malattia — vengono venduti per circa 100 Sterline.
Inviando campioni di saliva consentite ad aziende come Ancestry di analizzare, vendere e comunicare le vostre informazioni genetiche.
E che dire delle vostre famiglie? Chi può sapere come saranno, fra trent’anni, le Leggi … o che tipo d’informazione si potrà estrarre, a quell’epoca, dai dati genetici?
Su questa base ai vostri nipoti potranno essere negate, in futuro, delle opportunità … perché i dati potrebbero indicare, ad esempio, una predisposizioni a malattie, invalidità o inabilità — o un qualunque non gradito tratto caratteriale.
Il vostro diritto a protestare, inoltre, potrebbe essere messo a rischio da nuove tecniche che violano ulteriormente la privacy.
Si pensa che la Polizia stia già usando la tecnologia “stingray”: false torri di telefonia mobile che recuperano la vostra posizione e intercettano conversazioni telefoniche, messaggi e traffico web.
Non stupitevi se, nel Regno Unito, ci sia segretezza sul loro utilizzo. Un Tribunale, lo scorso anno, ha addirittura permesso alle Forze di Polizia di “non confermare né negare” il fatto che siano in uso.
Alcune persone sostengono che invadere la nostra privacy potrebbe essere necessario per tutelare la nostra sicurezza — ovvero, per combattere il terrorismo o nel caso di una pandemia.
Tuttavia, contrariamente a quanto le Autorità vorrebbero farvi credere, è molto più frequente il caso in cui le invasioni della privacy possano peggiorare le condizioni di vita.
Con questo in mente, considerate attentamente ciò che condividete online, in particolare se riguarda i vostri figli.
Assicuratevi che le vostre impostazioni sulla privacy, nei social media, siano le più alte possibile.
Non cliccate mai sul pulsante “accetta cookie”. Se è possibile, scegliete i dispositivi che non si connettono a Internet e utilizzate password complesse.
A chi dubita che la privacy online sia davvero importante, chiederei di rivelarmi la password del loro account di posta elettronica.
O, meglio ancora, nel caso li trovassi in un bagno pubblico, di poterli salutare scavalcando il divisorio del gabinetto a fianco.
Ma c’è anche una domanda sul tipo di società in cui vorremmo vivere. Abbiamo due possibilità:
1 — la prima è una versione estrema della società di sorveglianza in cui oggi viviamo, dove ogni passo, parola e acquisto viene monitorato dalle Autorità.
Droni e satelliti ci guardano dall’alto e la tecnologia del riconoscimento facciale c’identifica ovunque andiamo.
La Polizia, le Autorità Sanitarie, le Agenzie d’Intelligence e le Società di Sorveglianza ricevono tutte queste informazioni.
Certo, assicurano che “i vostri dati saranno utilizzati principalmente per sedare pandemie e prevenire attacchi terroristici”. Ma sappiamo che con quei dati si può fare molto di più.
Questo è un mondo dove sono le macchine a gestirvi. Ordinano cibo quando il frigorifero sta per esaurirsi, cronometrano la vostra efficienza sul lavoro e così via.
Oppure vi dicono di meditare quando i livelli dello stress aumentano.
Vi chiedete se il futuro dei vostri figli possa essere compromesso quando giocano online, perché sapete che i loro punteggi sono venduti a broker di dati che ne calcolano le capacità cognitive.
Vi preoccupate di quanto debbano essere obbedienti per avere una possibilità in questo nuovo mondo.
Questa è una società preparata a una svolta autoritaria.
2 — Ma c’è una seconda opzione decisamente migliore: un mondo in cui i vostri dati sono solo vostri e non per un chicchessia che li condivide o li vende.
Ci servono solo le regole giuste.
Perché, in fin dei conti, stiamo solo assistendo a un processo evolutivo del tutto simile a quelli che finora hanno migliorato le nostre vite prima di internet.
Nello stesso modo in cui la regolamentazione ha permesso che il cibo venduto fosse commestibile — e che le automobili avessero le cinture di sicurezza — così la regolamentazione deve domare il Far West digitale.
Le regole di base che imposteremo ora determineranno il panorama della privacy dei prossimi decenni.
È fondamentale che le cose vadano bene. Lo dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli.
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Link: https://www.dailymail.co.uk/news/article-9728455/Read-wont-click-agree-again.html
Scelto e tradotto da Bart
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