Apparentemente, tutto è come a Saigon ’75. Le televisioni trasmettono le immagini apocalittiche dell’aeroporto di Kabul, pieno di persone spaventate che cercano di fuggire dal Paese.
Si aggiungono, stavolta, le immagini di ragazzi che precipitano nel vuoto, staccandosi dai carrelli degli aerei cui si erano aggrappati.
E poi, i soliti Funzionari americani che balbettano frasi sconclusionate, tipo: “la missione ha avuto successo”.
Quindi, è tutto chiaro: Kabul è un replay di Saigon. L’America è umiliata. I suoi nemici sono in ascesa.
Ma, in realtà, Kabul ‘21 è decisamente peggiore di Saigon ‘75.
Se la sconfitta in Vietnam fu un’umiliazione epocale per i “difensori della libertà” che combattevano contro l’“Impero del Male” — eravamo ai tempi della Guerra Fredda — quella in Afghanistan rappresenta il più significativo declino geopolitico degli Stati Uniti da quando il Paese si è proposto come potenza globale.
Kabul è caduta come un castello di carte. Enduring Freedom si è conclusa con la vittoria dei “cattivi”, sollevando dubbi non solo sulla posizione globale dell’America di Biden, ma anche sul suo stesso significato come nazione.
Gli alleati dell’esercito più tecnologicamente sofisticato del mondo sono stati cacciati da un “esercito di straccioni” che, appena è arrivato a Kabul, ha oscurato i cartelloni pubblicitari, vietato la musica pop, giustiziato i dissidenti e picchiato le donne vestite in modo inappropriato.
L’impatto del fallimento dell’Occidente sarà terribile e duraturo. Gli Stati Uniti di Biden e dei neocon hanno dimostrato al mondo intero di essere un alleato inaffidabile.
Chi mai potrà ancora allearsi con questa superpotenza amante della libertà, se abbandona gli alleati al loro destino quando il nemico bussa alla porta?
Quanta differenza con la Russia di Putin che, in Siria, si è schierata senza esitazioni a sostegno del suo alleato, costi quel che costi.
Questo disastro geopolitico rafforzerà i suoi avversari, in particolare la Cina, che sta già consolidando la sua relazione con i Talebani per affermare la sua influenza nel nuovo Afghanistan.
Anche le forze islamiste trarranno vantaggio dalla vittoria dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
Israele dev’essere incredibilmente preoccupata in questo momento, con gli estremisti islamici di nuovo in ascesa e il suo principale sostenitore che rigetta la guerra al terrorismo.
Tant’è vero che il Primo Ministro Israeliano, forse intuendo qualcosa, qualche giorno fa aveva dichiarato: “Israele continuerà a consultarsi con tutti i suoi amici ma, alla fine, saremo noi stessi i responsabili del nostro destino. Nessun altro”.
L’umiliazione afgana è un fallimento militare, ma anche politico e morale.
Joe Biden ha preso decisioni straordinariamente negative credendo che i Talebani potessero essere un attore positivo nella “comunità internazionale”.
Washington, per altro verso, sembra completamente estranea agli eventi che stanno avendo luogo in Afghanistan.
Solo quattro giorni fa, i suoi Servizi Segreti sostenevano che i Talebani avrebbero preso Kabul non prima di 90 giorni.
Ma, al di sopra di tutto questo, anche dell’incoerenza politica e militare, c’è una corrosiva dinamica culturale che potrebbe essere stata il fattore più importante nell’umiliazione afgana: il fatto che gli Stati Uniti e l’Occidente manchino delle risorse culturali necessarie per uno “scontro di civiltà”.
In Afghanistan non c’è stata solo una battaglia territoriale, ma anche uno scontro culturale fra chi ha convinzioni molto forti per le quali è disposto a morire, ed altri che non sanno più cosa rappresentano, preferendo evitare, di conseguenza, qualsiasi rischio o sacrificio.
Questo è sempre stato il problema dell’Occidente in Afghanistan: la mancanza di fede nei valori che pretendeva di consegnare a quel Paese dimenticato da Dio.
“Sostituiremo il vostro sistema islamista con una moderna società civile e democratica”, aveva promesso l’Occidente.
Ma i valori occidentali sono continuamente minati dalla discesa nel relativismo morale.
Come possono essere affermati quando l’intero sistema educativo e universitario mette in discussione la civiltà occidentale?
Come si può partecipare a uno “scontro di civiltà” se si detesta quella propria?
Chiunque pensi che i Talebani non abbiano ben compreso la natura dell’Occidente e del Governo di Kabul sta semplicemente prendendo in giro sé stesso.
I Talebani (e chi li supporta) erano consapevoli che il potente esercito americano s’era impantanato in discussioni sulla “teoria critica della razza” e sulla “White Rage”.
Avevano senz’altro visto le campagne di reclutamento dell’esercito britannico che miravano agli “snow flakes” e ai “me me millenials”, perché solo questi hanno la compassione necessaria per combattere le guerre del 21° secolo!
Sapevano che l’Occidente contemporaneo si vergogna della sua storia e dei suoi valori civili e che non ha idee su come trasformare i suoi fragili giovani in una forza combattente.
Erano consapevoli che la loro devozione di vita e di morte alla Sharia era l’opposto di tutto questo.
Sapevano che si trattava di uno scontro culturale oltre che di uno scontro militare e che loro erano di gran lunga la parte più forte.
Questa è la verità: l’America e i suoi alleati occidentali sono troppo consumati dal “wokeness” per poter perseguire una lotta morale o militare a sostegno dei loro valori.
Chi mai dimenticherà quando i marinai americani scrissero su una bomba destinata all’Afghanistan “dirottate questa, prodi” e contro di loro si scatenò l’inferno?
Mentre iTalebani combattevano fino alla morte per la loro visione teocratica, l’Occidente bisticciava sulle parole.
Ecco perché il paragone con Saigon è illegittimo.
Allora, gli Stati Uniti furono costretti alla ritirata sia da importanti e supportate forze esterne — i nord-vietnamiti, naturalmente — che da insostenibili forze interne: il movimento statunitense contro la guerra.
Gran parte della gioventù e dell’élite si era rivoltata contro.
L’umiliazione afgana, al contrario, è un prodotto esclusivo del disordine interno, dell’esaurimento della spinta propulsiva e, infine, della mancata convinzione dell’Occidente nei propri valori.
La calamità afgana getterà un’ombra sul mondo intero ancora per molto, molto tempo.
Franco
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