Ho accennato qualche giorno fa al “nuovo Quad”, una struttura politica fra Stati Uniti, Cina, Russia, India e Pakistan che il sempre informato Andrew Korybko dava quasi per fatta solo 15 giorni prima della presa di Kabul.
Restava solo da convincere l’India ma, evidentemente, è successo qualcosa che anche Korybko ignorava.
Questa nuova struttura si proponeva di gestire l’Asia Centrale e Meridionale, unificate dalla nuova ferrovia/oleodotto fra Pakistan, Afghanistan e Uzbekistan (il cosiddetto PAKAFUZ).
Conseguenza del naufragio, se per i Paesi Occidentali è ipotizzabile il rilancio del “vecchio Quad” (Stati Uniti, Australia, India e Giappone), per gli altri non è ancora chiarissimo cosa succederà.
Per Cina, Russia e Pakistan un Afghanistan gestito dai Talebani è sia un’opportunità che una minaccia. Non è casuale che abbiano tenuto aperte le loro Ambasciate.
Dopotutto nessuno di loro apprezzava, eufemisticamente, la presenza dell’America nel loro comune cortile di casa.
Sono quindi a dir poco felici che gli Stati Uniti e la Nato se ne stiano andando, convinti sia del declino di un Ordine Globale dominato dagli Stati Uniti, che dell’emersione di uno nuovo Ordine guidato dal dinamismo economico della Cina.
Senza dubbio, con il nuovo regime i tre Paesi sperano di sviluppare i loro interessi politici, militari ed economici che, però, non sono fra loro sovrapponibili.
Il Primo Ministro pakistano, Imran Khan, è stato il più entusiasta della restaurazione talebana.
Ha sostenuto che “… in Afghanistan sono state rotte le catene della schiavitù” e che “il Paese è stato liberato dalle superpotenze”.
Del resto, come la pensasse (non so, visto il curriculum, se per convinzione od opportunismo politico) lo aveva fatto capire attribuendo ai vestiti scollacciati delle donne (in Pakistan!) la responsabilità degli stupri.
Cina e Russia, invece, sono stati più misurati nelle loro risposte.
L’agenzia di stampa cinese Xinhua ha definito la vittoria dei Talebani un “punto di svolta nel declino dell’egemonia americana”, aggiungendo che la Cina avrebbe impedito che l’Afghanistan diventasse il retroterra per “atti dannosi contro la Cina”.
Zamir Kabulov, l’inviato russo in Afghanistan, ha sostenuto a sua volta che “… i Talebani sono molto più capaci di stringere accordi rispetto al governo-fantoccio di Kabul”.
Comprensibile la loro circospezione. Il nuovo regime offre senz’altro delle opportunità, ma si tratta ancora di un movimento fondamentalista, votato all’introduzione della Sharia.
Nella misura in cui sostengono e ispirano gli altri islamisti, i Talebani rappresentano ancora una significativa minaccia alla sicurezza delle potenze della regione.
Sono una minaccia anche per il Pakistan, nonostante le strettissime relazioni, consentite anche dalla permeabilità del confine.
Il sostegno non ufficiale ai Talebani, mediato dai Servizi di Sicurezza, era motivato in particolare dall’opposizione ai governi filo-occidentali di Kabul, ritenuti troppo vicini al principale avversario del Pakistan, l’India.
I Talebani, in effetti, sono sempre stati uno strumento nelle mani dell’esercito pakistano, che lo ha usato nel conflitto con l’India, specialmente nel Kashmir.
Ma il risveglio dei Talebani potrebbe potenzialmente destabilizzare anche il Pakistan: nei prossimi giorni il confine fra i due Paesi sarà attraversato da imponenti flussi migratori, che creeranno situazioni molto difficili da gestire.
Difficili, ma non quanto la preesistente minaccia dei Talebani pakistani (TTP), affiliati a quelli afgani.
Fra il 2007 e il 2014 il TTP diede vita in Pakistan a una campagna del terrore, che costò la vita a migliaia d’innocenti.
L’estremismo islamico ha già diviso la società pakistana lungo profonde linee settarie e, di conseguenza, l’ascesa dei fondamentalisti afgani non potrà che approfondirle, incoraggiando l’estremismo locale.
In effetti, negli ultimi tempi il TTP ha intensificato la sua campagna del terrore prendendo di mira le Forze di Sicurezza, gli oppositori politici e, sempre di più, gli interessi cinesi in Pakistan.
Il che ci porta direttamente in Cina.
Il vecchio Celeste Impero vuole instaurare rapporti proficui con i Talebani e a tal fine, mediaticamente, basti pensare alle foto del Ministro degli Esteri Wang Yi che stringe la mano ad Abdul Ghani Baradar.
Tuttavia, da decenni la Cina accusa i Talebani di dare rifugio ai ribelli Uiguri del Movimento Islamico del Turkestan — che il PCC incolpa dei disordini nella tormentata regione dello Xinjiang.
I recenti attacchi del TTP ai cittadini cinesi che lavorano in Pakistan non faranno che rafforzare queste ansie.
Anche la Russia è preoccupata per la minaccia islamista rappresentata dai Talebani.
In effetti, lo considera ancora un gruppo terroristico ed è particolarmente ansiosa per gli stati-cuscinetto ex sovietici dell’Asia Centrale, che confinano tutti con l’Afghanistan.
Non c’è da stupirsi, quindi, delle manovre militari congiunte, volte “a dimostrare la determinazione e la capacità della Russia e della Cina di combattere il terrorismo”.
All’indomani della sconfitta americana, ciò che unisce Cina, Russia e Pakistan è l’interesse condiviso di garantire la reciproca sicurezza, gestendo al contempo l’enorme flusso migratorio e il dilagante traffico di droga (glisso su quest’ultimo aspetto, perché merita un articolo a parte).
Ma, al di là di queste seppur fondamentali questioni, gli interessi dei tre Paesi in questo nuovo Afghanistan divergono.
Per il Pakistan è utile avere come vicino un baluardo religioso da usare contro l’India.
Per la Cina, forse il Paese che più ne beneficerà, l’Afghanistan è un’opportunità sia per le sue materie prime che per la Belt and Road Initiative.
Per la Russia, buoni rapporti con i Talebani sono utili per proteggere i Paesi ex sovietici dell’Asia Centrale e garantire loro un corridoio verso l’Oceano Indiano (riprendendo il discorso del PAKAFUZ).
L’Afghanistan non sarà più occupato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, ma a breve potrebbe cominciare una battaglia internazionale ancor più feroce di quella appena finita.
Franco
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