Anche se l’ora è buia, negli ultimi mesi qualcosa di eccezionale sta avvenendo in Italia. Sono infatti nate molte iniziative, che vogliono confederare quei cittadini che non sono d’accordo con le politiche governative e che prospettano alternative alla visione del mondo che ci viene imposta a megafoni spiegati.
In questo la mia regione, l’Emilia Romagna, mostra una forte volontà di comunità che esula il partitismo. I cittadini (chiamo così coloro che non si piegano ai diktat governativi, al contrario dei sudditi, i piegati) si riuniscono perché lo vogliono fare, perché provano piacere a farlo.
Retaggio della storia e della tradizione, l’operosità e la capacità organizzativa delle persone che hanno reso quest’area una delle più ricche non solo d’Europa, ma del mondo.
C’è stato un incontro molto importante qualche giorno fa, in una città della Romagna, che aveva l’intento di far conoscere le varie realtà locali che sono presenti in Emilia Romagna e di permettere loro di dialogare e di capire come agire in sincronia.
Tutta la regione era coinvolta: da Rimini a Parma, passando per Forlì e Faenza, toccando Bologna, Imola e Modena. Si definiscono “Connettori”, “traduttori” di pensieri molto diversi. Tante storie, tanti volti, tante persone. In un mondo distanziato e terrorizzato, una stretta di mano è un gesto rivoluzionario. E in quell’incontro di mani se ne sono strette.
Questi gruppi sono composti da persone comuni, che offrono le loro competenze per rispondere a quelle esigenze umane che questa società finto democratica non vuole più riconoscerci.
Queste persone non vogliono più chiedere la libertà, non vogliono un lasciapassare per poter vivere. Queste persone stanno costruendo la loro libertà, stanno proponendo e attuando un cambiamento sociale enorme.
La loro visione non allineata al potere vigente (che a stento sopporta se stesso) è il germoglio di un nuovo mondo. La loro resistenza è la volontà di vivere di questo nuovo mondo.
Ogni gruppo ha competenze differenti. C’è chi organizza le piazze, chi coltiva la terra, chi gestisce la comunicazione e organizza convegni, chi vuole radunare i medici che ancora sono fedeli al giuramento di Ippocrate, chi si occupa di tecnologia.
Una cosa balza all’occhio: un filo d’oro lega questi gruppi composti da individui che non si sono mai visti, ma che agiscono all’unisono come se appartenessero a un unico organismo.
Un grande stupore, una meraviglia infantile serpeggiava tra i partecipanti quando si scopriva che un gruppo aveva pensato lo stesso di un altro a chilometri di distanza, senza conoscersi. Infatti progetti molto simili nascono da una città all’altra senza che i gruppi si conoscano. La stessa esigenza, lo stesso desiderio di libertà anima questi gruppi. La stessa consapevolezza anima queste persone.
Quello che è nato da una necessità, ora diventa un modo non solo per difendersi da un nemico comune, ma anche un momento per ripensare orizzontalmente la società, per riflettere sulle dinamiche che la animano e per concepire un modo per rifondarne le strutture.
Una nuova vitalità corre come corrente elettrica di cittadino in cittadino, di persona in persona, si esprime nel Paese, in contesti un tempo così dormienti nei quali non si poteva nemmeno immaginare che si scatenasse una vitalità che credevamo morta e sepolta e invece stava soltanto riposando.
Un seme che doveva morire per generare il germoglio. Questo ha dovuto fare la società civile. E’ dovuta morire per rinascere. Il cadavere sociale si trascina per le strade delle nostre città, mascherato e igienizzato, mentre un piccolo germoglio spunta da un terreno apparentemente infecondo e mostra un ardore e una voglia di vivere incredibile.
Non dirò dove è stato fatto l’incontro. Non era un incontro teso a unire acriticamente le diverse volontà in una voce sola. Non era teso a omologare la protesta e la conseguente proposta. No. Era un incontro volto a mettere in contatto diverse realtà, a farle dialogare, a farle cooperare.
Una delle parole che più è stata pronunciata è la parola identità. Quasi un monito, una rivendicazione, una riscossa. L’identità di ognuno deve essere rispettata e valutata parimente alle altre. Ci si vuole allontanare dal gioco perverso della prevaricazione che ha portato la nostra società a quella morte di cui abbiamo parlato poc’anzi.
Questa è vera politica. La politica che parte dalle istanze del popolo, dove i diversi membri del popolo, che rappresentano le diverse anime di quella che viene spesso archiviata con termini impropri, hanno portato sul tavolo della discussione veri problemi, cose tangibili e concrete.
La politica è questa. La politica è innanzitutto ascolto. La politica è dialogo. La politica è territorio. La politica è cercare di aiutare tuo fratello e tua sorella che sono in difficoltà senza voler niente in cambio, se non il loro bene.
Una parte sempre più consistente della società si organizza, una parte di quel popolo tanto disprezzato trova la sua nuova identità nel dialogo. Ecco la vita. Non la si può fermare. Non puoi fermare il corso di un fiume. Non puoi deviarne il letto troppo a lungo. Ecco ora quel fiume da troppo tempo deviato ha deciso di tornare al suo letto originario e nessuno potrà mai fermarlo.
La voce di un popolo affranto e tradito, ma desideroso di conoscersi nuovamente e di vivere in una nuova armonia canta nel silenzio assordante di una pantomima tanto cieca quanto fuorviante.
La voce di un popolo nuovo, che non cede ai ricatti e che non ha più paura, che vede nel prossimo un fratello o una sorella con cui condividere un cammino, piuttosto che un untore irresponsabile, canta una nuova melodia. Questo popolo che danza per le strade di un mondo in fiamme con la consapevolezza e la gioia di un’integrità unica, cuori liberi e ribelli, miracolo e rinascita di una civiltà avvelenata in ogni sua fibra.
Ora i talenti e le eccellenze di una territorialità da troppo tempo disprezzata e ignorata si risvegliano e con la forza di una madre che vede il figlio in pericolo trovano un’energia formidabile per risollevare le sorti di una destino che sembrava ineluttabile.
Attenzione: l’Italia s’è desta. L’Umanità s’è desta.
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l’Alessandrino e Franco Tessitore