Redazione MD: c’è chi ha detto che il calcio sia lo specchio della nostra società e quindi, se tutto è guidato da logiche di mercato, perché stupirsi se anche il calcio le riproduce?
Perché stupirsi se i “top club” legati a “fondi speculativi” di varia estrazione tendono a fagocitare le realtà di medie e piccole dimensioni, legate soprattutto al territorio?
Palesemente, anche nel calcio è in atto una sorta di “lotta di classe” dall’alto verso il basso.
Diritti TV e sponsorizzazioni milionarie hanno acuito le disuguaglianze e hanno reso il pallone, in buona sostanza, “meno rotondo”.
In questo gigantesco business la dimensione umana, la sana competizione sportiva, la genuina passione dei tifosi sono diventati elementi accessori, di mero contorno.
Il calcio a stadi vuoti cui ci siamo abituati durante la pandemia ne è la conferma.
Rarissimi, forse vietati, i “miracoli sportivi”: niente più Leicester di Ranieri, niente più Cagliari di Riva o Verona di Bagnoli.
La forbice delle disuguaglianze si amplia? Bene, invece di lavorare in senso perequativo, il calcio le ha trasformate in una sorta di “diritto”, di “privilegio di casta”.
In questo senso, la recente proposta di una Super-League calcistica non rappresenta che la testa d’ariete di un neoliberismo sempre più selvaggio, contraddistinto da delocalizzazione, finanziarizzazione e oligopolizzazione.
Superlega abortita anche perché, forse, una già esiste: la Premier League d’Inghilterra.
L’articolo che presentiamo cade a fagiolo. I risultati delle partite di calcio sono dimostrabilmente e penosamente sempre più prevedibili. Ovunque, almeno in Europa.
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Taha Yasseri per The Conversation
Una volta, il leggendario portiere tedesco Manuel Neuer ebbe a dire: “Si può pianificare tutto quello che si vuole, ma ciò che accade su un campo di calcio non può essere previsto”.
Questo sentimento spiega molto bene perché il calcio sia lo sport più popolare del mondo. Tutto può accadere sul campo e, più sorprendente è il risultato di una partita, più memorabile questa sarà.
Ma il nostro nuovo studio suggerisce che i risultati delle “partite di calcio” stanno diventando sempre più prevedibili.
Abbiamo sviluppato un modello informatico per prevedere i risultati sulla base dei dati di quasi 88.000 partite giocate in 26 anni (1993-2019), in 11 importanti campionati europei.
Il nostro modello ha cercato di prevedere se la squadra che gioca in casa (o in trasferta) avrebbe vinto, sulla base delle sue prestazioni in un certo numero di partite precedenti.
Il nostro modello, inoltre, è più semplice di quelli, all’avanguardia, utilizzati oggi dalle “società di scommesse”.
Richiede pochissimi dati ed è facile da sintonizzare e istruire — il che offre il vantaggio di poter andare indietro, diciamo, di 20 o più anni.
I dati disponibili nelle partite giocate 20 anni fa non sarebbero, in effetti, sufficientemente dettagliati per alimentare i modelli più sofisticati.
Il nostro, quindi, nella sua semplicità è meno accurato dei modelli predittivi più complessi. Ma, anche così, ha previsto correttamente i risultati per circa il 75% delle volte.
Un divario crescente
Abbiamo scoperto che è diventato progressivamente sempre più facile prevedere i risultati delle “partite di calcio”.
Nel 1933, ad esempio, il nostro modello poteva prevedere correttamente il vincitore di una partita della Bundesliga (campionato tedesco) nel 60% delle partite. Ma, nel 2019, la sua performance è stata dell’80%.
Questo dato non è dovuto al fatto che ora abbiamo più dati su cui basare le nostre previsioni, perché abbiamo sempre istruito il nostro modello con la stessa quantità di dati.
Scoprire che i risultati del calcio sono diventati più prevedibili ci ha inizialmente sorpreso.
Pensavamo che più soldi e puntate più alte avrebbero reso il gioco più competitivo e, quindi, ci saremmo aspettati più emozioni e meno prevedibilità con il passare degli anni.
Guardare i dati più da vicino ci aiuta a capire perché non è stato così.
Quando abbiamo esaminato le squadre di una stessa Lega, in una data stagione, abbiamo osservato che, negli anni più recenti, i punti sono stati distribuiti tra le squadre molto meno uniformemente che in passato.
Abbiamo quantificato questa disparità calcolando il “coefficiente di Gini” (tradizionalmente usato in economia per misurare la disuguaglianza nella ricchezza e nel reddito) dei punti distribuiti fra le varie squadre alla fine di ogni stagione.
Questo ci ha permesso di misurare il divario di punti fra le squadre più forti e quelle più deboli.
Abbiamo osservato che negli ultimi 26 anni il divario è aumentato: il “coefficiente di Gini”, nelle grandi Leghe, è aumentato di ca. il 70%. Da 0,12 a 0,20.
Essenzialmente, questo significa che le squadre più forti hanno avuto più successo, mentre quelle più deboli ne hanno avuto meno.
Questo fa eco alla nozione che “i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”.
Questo divario crescente potrebbe essere il risultato di un ciclo in cui le squadre più forti finiscono per fare più soldi, il che le rende ancora più potenti nel mercato dei giocatori … e quindi ancora più forti.
C’è un’altra tendenza osservabile nei nostri risultati. Ci ha aiutato a capire perché le partite di calcio sono diventate più prevedibili.
Come gli appassionati di calcio sapranno, molte delle partite più emozionanti si svolgono quando una squadra forte gioca in trasferta sul campo di una squadra più debole con quest’ultima che, contando sul sostegno spesso epico dei suoi tifosi, finisce per vincere.
Abbiamo calcolato il “vantaggio del fattore campo” come rapporto fra i punti mediamente raccolti dalle squadre di casa rispetto a quelli raccolti mediamente dalle squadre in trasferta.
Premesso che ogni squadra gioca con un’altra due volte nel corso di una stagione (una volta in casa e una volta in trasferta), questa simmetria ci permette di misurare l’effetto puro del vantaggio di giocare in casa.
Nei primi anni ’90, abbiamo osservato un vantaggio iniziale del 30%. Significa che una squadra che giocava in casa aveva, mediamente, il 30% di probabilità in più di vincere (65% la vittoria, 35% la sconfitta) rispetto a una squadra che giocava in trasferta.
Nelle stagioni più recenti, il vantaggio di giocare in casa si è gradualmente ridotto a solo il 15%. In altre parole, negli ultimi due decenni e mezzo questo dato si è dimezzato.
Quindi, c’è sempre meno possibilità, per le squadre più deboli, di poter beneficiare dal giocare in casa. Sembra, in generale, che le squadre più forti vinceranno comunque, non importa dove giocano.
Questo potrebbe essere dovuto, almeno in parte, al fatto che i viaggi (per recarsi nei campi di calcio altrui) e gli allenamenti sono migliorati significativamente negli ultimi anni, minimizzando le sfide logistiche del giocare in trasferta e rendendo più facile l’adattamento dei giocatori.
In ogni caso, questo fatto sembrerebbe essere un’ulteriore prova della crescente forza dei “top club”.
Quindi, cosa si può fare?
Nel nostro studio abbiamo posto alcune limitazioni.
Abbiamo esaminato solo gli 11 maggiori campionati europei maschili e la nostra analisi non è andata più indietro del 1993.
Inoltre, per ragioni tecniche, non abbiamo incluso i pareggi. Se ve lo state chiedendo, anche il numero dei pareggi è diminuito — il che conferma le nostre osservazioni.
Tuttavia, i risultati del nostro lavoro sono robusti, in particolare per i campionati più grandi come quelli di Inghilterra, Spagna e Germania.
I nostri risultati evidenziano la necessità di una regolamentazione più forte sui redditi dei club, sulle spese e sugli stipendi dei calciatori compresa, forse, l’introduzione di “tetti” più efficaci.
Altrimenti, il successo di questo sport potrebbe diventare la ragione stessa del suo declino. Un gioco facile da prevedere non è un gioco che, necessariamente, continuerà a portare le folle negli stadi.
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Scelto e tradotto da Franco