Ryan Matters per Off Guardian
Quando il famoso teorico dei quanti, David Bohm, lesse “La Prima e l’Ultima Libertà” di Jiddu Krishnamurti fu colpito dalla sua intuizione e dalla sua conoscenza del fenomeno dell’osservatore e dell’osservato.
Nonostante non avesse una formazione di livello universitario — e tanto meno un’educazione formale nelle scienze — Krishnamurti aveva dimostrato, attraverso i suoi scritti filosofici, una profonda comprensione di vari concetti legati alla meccanica quantistica.
Krishnamurti — scrittore, filosofo e oratore indiano — fu accolto, in giovane età, dalla “Theosophical Society” e preparato per diventarne il nuovo Maestro.
Annie Besant e Charles Leadbeater, leader della Società Teosofica dell’epoca, coltivarono Krishnamurti nella sede di Madras.
Insieme ad alcuni adepti selezionati lo educarono, lo guidarono attraverso insegnamenti mistici e, in generale, lo ‘prepararono’ a diventare il veicolo di ‘Lord Maitreya‘, un essere spirituale altamente evoluto impegnato ad aiutare l’evoluzione dell’umanità.
Tuttavia, quando arrivò il momento di ‘svelare’ Krishnamurti come Gran Maestro e leader dell’umanità, egli ruppe tutti i legami con i teosofi denunciando le credenze organizzate, la nozione stessa di guru e l’intero rapporto maestro-seguace, dedicandosi invece alla ricerca della libertà sia per se stesso che per l’umanità in generale.
Quando David Bohm lesse “La Prima e Ultima Libertà”, gli insegnamenti di Krishnamurti si erano già sviluppati oltre la Teosofia.
Bohm riconobbe che le intuizioni di Krishnamurti si riflettevano nel suo lavoro sulla “Teoria dei Quanti” e sentì l’urgenza d’incontrarlo il prima possibile.
L’incontro faccia a faccia ebbe luogo a Londra, dove s’impegnarono in una ricca conversazione.
Bohm così descrisse il suo primo incontro con Krishnamurti:
Fui colpito dalla sua grande facilità di comunicazione, resa possibile dall'intensa energia con cui ascoltava e dalla libertà da riserve e barriere autoprotettive con cui rispondeva a ciò che avevo da dire.
Bohm lo descrisse come un “incontro di menti”, non diverso da quelli che intratteneva con altri scienziati.
In effetti, paragonò Krishnamurti ad Albert Einstein, affermando che i due “mostravano la stessa intensità e assenza di barriere”.
Bohm e Krishnamurti s’incontravano ogni volta che erano a Londra e sondavano profondamente la natura del tempo, dello spazio e della mente.
I due si scontravano inevitabilmente sul concetto di “coscienza”, argomento in cui brillavano le intuizioni di Krishnamurti.
Bohm “sentiva” che i più potenti insegnamenti di Krishnamurti riguardavano il “disordine generale” e la “confusione” che pervade la “coscienza” dell’umanità … perché non ne offriva solo una spiegazione, ma anche una soluzione.
Krishnamurti sosteneva che tutto questo disordine — la causa principale del dolore e della miseria che impediscono agli esseri umani di amarsi — aveva le sue radici nel fatto che ignoriamo la natura generale dei nostri “processi di pensiero”.
In altre parole, Krishnamurti notò che siamo generalmente consapevoli del contenuto dei nostri pensieri, ma irrimediabilmente ignoranti sulla loro origine e sul loro processo.
Quest’ignoranza causa disordine nella “coscienza” dell’uomo e si esprime esteriormente con il disordine che vediamo nella stessa società — guerra, dolore, violenza, segregazione, ecc.
Perché?
La risposta si trova, forse, nell’area di competenza di Bohm — la fisica quantistica.
Il “principio d’indeterminazione” di Heisenberg ci spiega che, di un oggetto, non è possibile misurare accuratamente sia la “posizione” che la “quantità di moto” e che, quindi, la nostra realtà — apparentemente “solida” — si dimostra non-determinabile [1].
E, come dimostrano gli esperimenti del Dr. William Tiller, un osservatore cosciente può “piegare la realtà alla sua volontà” semplicemente focalizzandosi sull’obbiettivo. L’effetto può essere quantificato e persino amplificato se tenuto da più persone nello stesso tempo.
William A. Tiller, un fisico dell’Università di Stanford, ha dedicato più di quattro decenni della sua vita a studiare gli effetti dell’intenzione umana sulle proprietà dei materiali e su quella che chiamiamo “realtà fisica”.
La sua ricerca ha scoperto che è possibile apportare un cambiamento significativo alle proprietà dei materiali fisici disponendo semplicemente della chiara intenzione a farlo.
Tiller e i suoi colleghi hanno anche scoperto che è possibile “imprimere o immagazzinare” un’intenzione all’interno di un dispositivo elettronico — che, a sua volta, ha lo stesso effetto su un altro oggetto, analogamente a una “coscienza umana” dotata della stessa intenzione.
I risultati di Tiller sono stati costantemente riprodotti in tutto il mondo.
Bohm stesso ha proposto un modello olografico dell’universo basato su “stati d’essere” emanati da una fonte comune, al di là del regno del manifesto e dell’immanifesto.
La sua intuizione scientifica fa eco alla visione della realtà sperimentata dai saggi illuminati nel corso dei secoli.
Nel Vedanta, il mondo manifesto è chiamato “Maya”, che significa “realtà illusoria” emanata da “Brahman”, il mare onnipresente di un potenziale infinito [2].
È quindi facile capire perché Bohm era così preso dagli insegnamenti di Krishnamurti.
L’antica dottrina del “come è sopra, così è sotto”, ovvero dell’uomo come microcosmo, s’incarna nel curioso “effetto osservatore” quantistico che lega la “coscienza” al “mondo esterno” e al tessuto stesso dello spazio-tempo [3].
Una volta che questo fenomeno viene compreso come reale, non è difficile vedere come e perché il disordine interno possa creare il disordine esterno.
La risposta ai problemi dell’uomo, quindi, sta nell’essere consapevoli del processo del pensiero e questo, secondo Krishnamurti, richiede meditazione.
Anche se, per meditazione, Krishnamurti non intende che dobbiamo sederci su una roccia nella posizione del loto. No, l’idea di meditazione che egli ha insegnato è incentrata sul significato radicale della parola stessa.
La parola inglese “meditazione” è basata sulla radice latina “med”, che significa misurare. La parola sanscrita per ‘meditazione’, “dhyana”, è legata a “dhyati”, che significa riflettere.
Mettendo insieme queste parole ci avviciniamo alla definizione di meditazione offerta da Krishnamurti: ponderare e riflettere concentrando l’attenzione su ciò che sta realmente accadendo.
Krishnamurti sosteneva che l’atto stesso della meditazione era sufficiente a mettere ordine nell’attività del pensiero — perché “nel vedere c’è il fare”.
In questo stato la mente diventa tranquilla, l’energia aumenta e qualcosa di nuovo e creativo comincia a dispiegarsi. Secondo Krishnamurti, questo è straordinariamente significativo per tutti gli aspetti della vita.
Ancora una volta, possiamo trovare un parallelo fisico per descrivere ciò che Krishnamurti ci ha detto.
Una mente disordinata, piena di pensieri arbitrari — di desideri, paure e ansie — è simile a un sistema ad alta entropia, che è una misura della casualità o del disordine all’interno di un sistema chiuso e riduce l’energia disponibile per fare lavoro.
Il “lavoro”, in questo caso, si riferisce alla capacità di effettuare un cambiamento del mezzo fisico attraverso la focalizzazione del proprio intento, come mostrato dalla ricerca di Tiller.
Nel suo tomo, davvero illuminante, il fisico Tom Campbell si dilunga molto su questo concetto spiegando che, all’interno di un “sistema di coscienza”, l’“alta entropia” corrisponde alla paura mentre, la “bassa entropia”, corrisponde all’amore.
La meditazione, quindi (per come è stata definita da Krishnamurti), diventa uno strumento per mettere ordine nell’attività del pensiero — ovvero, per “ridurre l’entropia del sistema”.
Questo si traduce, naturalmente, in una maggiore energia per fare lavoro (ovvero, in un intento più focalizzato e quindi con una maggiore capacità di effettuare cambiamenti “là fuori”).
Il culmine di questo processo è un aumento del “potere”.
La fonte di questo “potere” deriva dal fatto che tutti gli uomini e tutte le donne sono creati uguali.
E’ questa la profonda verità dietro l’affermazione di Krishnamurti che “non c’è nessuna autorità, nessun insegnante, nessun maestro e nessun salvatore”.
Ognuno di noi è tutte queste cose e, allo stesso tempo, nessuna di esse. Tutti siamo capaci e abbiamo diritto alla realizzazione della Verità o di Dio — in qualsiasi modo lo si voglia chiamare.
Intraprendere il cammino è una scelta di libero arbitrio.
E’ questo “potere” a sostenere la vita … la innalza, la sostiene e le dà dignità. È intero e completo, non richiede nulla dall’esterno.
E’ associato alla compassione, all’amore e all’unità. Promuove la creatività, la guarigione e i sentimenti positivi. Ci permette di esprimere con pienezza la nostra divinità collettiva.
In assenza del “potere”, il cambiamento dev’essere effettuato con la “forza”.
Il “potere” sta in piedi da solo mentre, la “forza”, deve sempre muoversi contro qualcosa.
La “forza” è frammentata e quindi dev’essere costantemente alimentata. La “forza” consuma mentre, la “potenza”, crea. La “forza” ha bisogno di un input continuo, la “potenza”, invece, agisce senza sforzo.
La “terza legge di Newton” c’insegna che la “forza” crea sempre una “controforza” e, quindi, è limitata per definizione.
La “forza” deve sempre lottare contro un’opposizione mentre, la “potenza”, no. Resta ferma.
Il “potere”, in effetti, produce il cambiamento attraverso il proprio “campo d’influenza”, senza bisogno di spendere energia.
La “forza” è associata all’attrito e al conflitto. Ma, questo punto, è forse meglio spiegato da David Hawkins:
La forza crea sempre una contro-forza. Il suo effetto è quello di polarizzare piuttosto che di unificare. La polarizzazione implica sempre un conflitto e il suo costo, quindi, è sempre alto. Poiché la forza incita alla polarizzazione, produce inevitabilmente la dicotomia vittoria/sconfitta e, siccome qualcuno perde sempre, si creano nemici. Costantemente, di fronte ai nemici, la forza richiede una difesa costante e, difendersi, è molto costoso … nel mercato, nella politica e negli affari internazionali. Hawkins, R, D., 1995. Potere contro Forza. Hay House, Inc. ristampa 2012.
Pensare al concetto di “potere e forza” nel contesto dell’attuale crisi globale ci porta verso alcune profonde conclusioni.
Per prima cosa, le agende che si concentrano sulla disuguaglianza, sul controllo e sul guadagno materiale sono sempre guidate dalla “forza”.
La “forza” è uno strumento usato da chi non ha “potere”.
Quando le vostre motivazioni vanno contro il bene dell’umanità, quando le vostre intenzioni non riescono a sostenere la vita stessa … la vostra unica opzione è usare la “forza”.
La “forza” comprende ogni tipo di paura, manipolazione, coercizione e violenza.
Può funzionare fino a un certo punto ma, come abbiamo scoperto, ha bisogno di un input costante di energia e, quindi, i risultati si ottengono solo sostenendo un costo.
La propaganda richiede grandi quantità di denaro, di coordinamento e di censura. I “mandati per i vaccini” richiedono tangenti, minacce e l’insabbiamento degli eventi avversi.
Questo input energetico è immenso e, soprattutto, insostenibile.
Poiché la “forza” crea attrito, dev’essere costantemente alimentata con sempre più energia. Ma, man mano che la “forza” diventa più forte, aumenta di pari passo anche l’attrito.
La “forza”, a causa della sua natura polarizzante, aumenta l’entropia. Man mano che questa aumenta, diminuisce l’energia disponibile finché, alla fine, la quantità di moto cessa e tutto si blocca.
Se la “fonte del potere” è evidente, indistruttibile e indiscutibile, la “forza”, al contrario, è soggetta a “prove” continue e richiede una costante giustificazione.
Se il “vero potere” emana dalla “coscienza”, la “forza” è guidata dall’”ego”.
Chi usa la “forza” per imporre la sua volontà finisce sempre con il soccombere al “potere”.
La storia ci ha dimostrato che tutti i regimi totalitari, alla fine, crollano. Non per qualche intervento divino, ma perché ognuno di noi è nato con diritti inalienabili che sono intrinseci alla creazione umana.
Pertanto, è solo una questione di tempo prima che le “forze transumaniste” implodano.
Tuttavia, il tempo necessario perché ciò accada dipende dalla nostra capacità di ridurre il disordine e aumentare il “potere”.
Una “coscienza” a più bassa entropia significa più energia disponibile per “fare lavoro”, la qual cosa si traduce in più potere, libertà, felicità e amore.
Man mano che il nostro “potere” cresce collettivamente, creiamo un muro inamovibile in grado di respingere qualsiasi influenza negativa o minaccia nefasta.
L’ego-mente si pone costantemente domande senza risposta e si preoccupa di futuri improbabili. Man mano che la nostra mente s’ingombra dei carichi di paura indotti dai media, il nostro “potere” diminuisce e ci troviamo alla mercé delle “autorità”.
L’universo “olografico” di Bohm accennava alla vera natura della nostra realtà e Krishnamurti ci ha mostrato come realizzarla.
Allontanando la nostra attenzione dal contenuto del pensiero e concentrandoci sul suo processo, possiamo mettere ordine nella mente e cominciare a scoprire qualcosa di completamente nuovo.
In questo modo usciamo da uno stato di paura e confusione e ci muoviamo verso la libertà e la certezza.
Il risultato di ciò è un aumento del “potere”.
La “forza” è per definizione limitata in ciò che può realizzare e, quindi, non è una questione di “se” i transumanisti falliranno, ma solo di “quando”.
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Scelto e tradotto da Franco
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REFERENZE:
[1] Note: The below quote is in reference to Heisenberg’s ‘uncertainty principle’ and Bohr’s ‘complementarity principle’:
“These two key principles have profound implications, not only for quantum physics, but also for our perceptions of the nature of reality. One implication is that the seemingly solid reliable reality that we perceive is based on something that is ultimately uncertain or non-determinable. Many have found this to be a shocking ‘fact’. Einstein, for one, not only found it shocking but also attempted to refute it, saying to Bohr one of in his many debates with him that he (Einstein) could not believe that God played dice with the universe.”
– Jackson, P. Quantum physics and human consciousness: The status of the current debate, The Open Polytechnic of New Zealand, Working Paper, November 2002.
[2] Tom Campbell’s work is especially helpful in grasping the clear connections between quantum physics, consciousness, and the seemingly “physical” world within the context of a “virtual” reality mirroring the Eastern philosophies and systems of thought, albeit put into strictly scientific terminology.
“Wave-particle dualities, uncertainty principles, and the seemingly instantaneous communication between entangled pairs become simple to explain once you realise that [physical reality] is a virtual reality created by a digital simulation implementing a space-time rule-set [within a larger consciousness system]. Given a digital reality simulation, which is stepped forward by time increments that appear infinitesimal to us, and a virtual reality that must obey only the rules driving its digital computation, these paradoxes disappear along with the illusion of absolute space. Once the limiting belief that all possible reality is exclusively defined by measurements within [our physical reality] is abandoned and the true nature of consciousness is grasped, the mysterious paradoxes of physics, philosophy, and metaphysics all melt away like ice cubes in the summer sun.”
– Campbell, T. 2003. My Big Toe: Discovery. Book 2 of a Trilogy Unifying Philosophy, Physics and Metaphysics.
[3] The observer plays a fundamental role in quantum mechanics, as the very act of observing some aspect of a quantum system alters some other aspect of the same system. This implies a direct connection between consciousness and the “physical world”.
“In quantum mechanics… Any interaction that is strong enough to measure some aspect of a system is necessarily strong enough to disrupt some other aspect of the same system. Thus, you can learn nothing about a quantum system without changing something else.”
– Susskind, L., Friedman, A., Quantum Mechanics: The Theoretical Minimum. 2015. Penguin Random House UK.