Redazione:
Stanno succedendo eventi a dir poco inattesi. Prima di tutto l’esplosione – solo in EU– dei prezzi di energia elettrica e gas. Lo abbiamo visto ieri ieri su questo sito, come conseguenza pratica e materiale: tale salita imperiosa dei prezzi dell’elettricità (che come, i termini di costo marginale, “brucia” gas metano, ndr) sta mettendo fuori mercato l’auto elettrica, ad es. a confronto col diesel. Con gli aumenti dell’elettricità annunciati per inizio 2022 salta infatti la transizione green dell’EU; transizione che fino ad oggi è stata una mera speranza di crescita per via meramente normativa (e non per motivi economici, …). Solo speranze dunque, nulla di concreto, solo aspettative create ad arte, che oggi si stanno dissolvendo (…).
Parallelamente, il vero problema di fondo resta l’inflazione in EU, inflazione imponente ormai (si noti che l’inflazione dei prezzi della produzione è salita sia in Italia che in Germania di circa il 20%, ultime rilevazioni disponibili, ndr); sebbene detta inflazione venga per ora negata a Bruxelles e dintorni dalle “statistiche economiche di scuola argentina“, negazione necessaria per salvare governi EU certamente fallimentari ed al limite del criminogeno per i pessimi risultati raggiunti (ad es., vedasi i panieri ISTAT, in Italia, che ormai non rappresentano più nemmeno lontanamente l’effettivo costo della vita). Tale negazione inflattiva comporterà A TERMINE, con questo euro, ossia con la Germania come pietra angolare della moneta unica attuale (…), un’inevitabile crescita dei tassi di interesse EUropei (…).
Dunque facendo saltare per aria l’intero sistema finanziario EU visto che la leva (leverage) delle banche EU su capitale proprio è estremamente elevata, tanto che la BCE ha esteso la proroga per l’affievolimento delle regole di bilancio a marzo 2022 (e dopo?).
In ultimo l’incredibile “tranquillità” del prezzo del petrolio, relativamente basso rispetto a power e gas EUropei. Fatto che sta letteralmente mettendo sconquasso nei piani economici di Parigi e Berlino, tale asimmetria di prezzo sta minando alla base l’opportunità di costruire una propria filiera dell’automobile elettrica EU che sia minimamente non solo sostenibile ma anche e soprattutto giustificabile in termini; oltre che non costi – l’auto elettrica – anche 3 volte il costo di un’auto diesel, la normale e ben più economica – oggi – alternativa all’auto elettrica (oggi l’auto elettrica è letteralmente imposta da Bruxelles “a forza”, ossia per via normativa, agli inermi popoli EUropei – per interesse franco tedesco, ndr –).
Facendo una comparazione tra costo al chilometro (km) per una piccola auto diesel che consumi di meno di 4 litri/100 km (VW Polo o similare), base costo del gasolio a 1,587 euro/litro (osservatorio prezzi carburanti del MISE, del 20.12.2021), rispetto ad un costo di una piccola auto elettrica sulla base dei costi dell’elettricità che avremo nel 2022 (Opel Corsa), ossia con una percorrenza media di 16 kWh/100 100 km, con costo al kWh nelle colonnine di ricarica, dal 11.1.2022 prossimo, dopo le ferie natalizie, stimati tra 0.7 a 1 euro/kWh a dipendenza dal tipo di ricarica pubblica (…), è chiaro che il costo al km dell’auto elettrica diventa proibitivo, pari a 2 o 3 volte il costo al km di un’auto termica (nel caso in specie, Opel Corsa elettrica/range di costo elettricità 0.7-1 €/kWh = 11.2-16 €/100 km vs. VW Polo diesel o similare, costi gasolio e consumi come citati sopra = 6.35 €/100 km. Ovvero conti alla mano il diesel costa dalla metà ad un terzo del costo al km dell’auto elettrica, pur senza considerare i costi per sostituzione forzosa auto esistente “termica”, ndr).
Ben sapendo che l’inquinamento di un’auto elettrica, eccede quello di un diesel, secondo le recenti stime dell’eminente istituto tedesco Ifo.
Dunque, l’EU sta letteralmente implodendo in forza dell’implosione del Green/auto elettrica/filiera automotive elettrica, che si sta dimostrando non avere a questi prezzi alcun senso economico ma una valenza solo geo-politica, se continua così.
In tale contesto è chiaro che Berlino e Parigi si giocheranno il tutto per tutto nei prossimi mesi, per tenere in piedi l’Euro, uno strumento che, alla prova dei fatti, si è dimostrato utilissimo per sottrarre ricchezza ai paesi europeriferici, a vantaggio delle capitali vetero coloniali europee, in primis Berlino e Parigi (…).
In tale contesto i blackout prossimi venturi in EU diventano una pedina fondamentale – sebbene folle – per tenere i piedi questa Unione Europea senza senso economico; ossia i blackout serviranno, nel folle disegno paventato recentemente da Gancarlo Giorgetti della Lega in nome e per conto del governo Draghi, ossia dell’EU, per abbassare l’inflazione nella zona euro; ovvero per calmierare i prezzi di power e gas, che stanno minando la base della fantasmagorica transizione green ossia dell’EU stessa (…).
L’autore di cui all’articolo consiglia di tenere sotto osservazione l’arco alpino di collegamento “elettrico” tra Francia ed Italia, come radice dei prossimi eventuali blackout là da venire.
Buona lettura!
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La spinta EU pro-lockdown e soprattutto pro-blackout (per salvare l’euro contenendo l’inflazione)
“The EU’s Case for Lockdowns and Blackouts – Hoping to Contain Inflation (to Save the Euro)“
Tratto da Strategic Culture – al LINK
L’EU e soprattutto l’euro sono all’angolo.
La moneta unica nacque con lo scopo di svalutare le valute del centro Europa, portando nell’alveo comune i paesi eurodeboli per tale fine; ossia gli stati che, con le loro debolezze strutturali, potevano appesantire il cambio dell’euro rispetto a quello che sarebbe stato il marco tedesco e il franco francese. Il risultato è stato un impoverimento della periferia ed un arricchimento del centro dell’impero, basato sulla moneta unica. Ovvero con un euro strutturalmente molto più debole delle ipotetiche valute tedesche e francesi.
La realtà però è più sottile: detta in termini tecnici, l’EU è nata per essere deflattiva.
L’obiettivo era di svalutare l’euro, all’occorrenza, per favorire soprattutto l’export germanico; con un euro ben più svalutato di quello che fosse il marco tedesco. Per tale ragione bisogna presupporre che la moneta unica sia profondamente deflattiva.
E’ capitato, dal 2008 in avanti, non solo in EU ma nel mondo: tanta moneta creata ad arte ma senza farla arrivare alla gente, per salvare il sistema finanziario. Ossia condannando all’impoverimento gran parte delle famiglie soprattutto se vivevano nei paesi eurodeboli, con parallela inflazione degli assets, ossia salvataggio delle banche ed arricchimento di un manipolo di finanzieri.
Nel contesto, non è mai abbastanza ricordato come l’Italia ad esempio fu l’unico paese occidentale che nel post subprime non dovette salvare le banche nazionali, più arretrate finanziariamente quindi non coinvolte nella finanza diciamo “creativa” dei mutui.
Anzi l’Italia dovette sì salvare una banca con soldi pubblici, ma soldi libici: Unicredit, finita quasi in bancarotta in forza delle speculazioni delle sue filiali austriache e tedesche. Gheddafi, di madre italiana, salvò come sempre l’impresa italiana in grande crisi temporanea, come fu il caso della Fiat negli anni ’70 dell’ultimo secolo.
Salvo venir trucidato da una rivolta attuata con tempismo incredibile, ma con il favore soprattutto di Parigi, Berlino ed in parte Londra, nell’arco di tre anni.
Resta la moneta euro, deflattiva per definizione, ossia che “funziona” come progettato solo in presenza di bassa inflazione nell’Eurozona.
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Facciamo un salto di una decina d’anni ed arriviamo all’oggi.
Post COVID la domanda ed i consumi in EU, prima fermi, sono ripartiti, ma solo temporaneamente. La rottura delle linee di supply chain post virus, unita ad una esplosione dei prezzi delle commodity a livello globale ha fatto il resto: esplosione dei prezzi in larga parte inattesa per non dire pianificata, come “shortage” di gas in EU in forza di stoccaggi soprattutto nord europei che non sono stati riempiti come sarebbe dovuto accadere ed anzi come accade ogni anno (magari per “aiutare” l’approvazione del North Stream II, come opera necessaria per l’EU?).
Quanto sopra ha causato la rottura di importanti meccanismi di contenimento della crisi nell’area euro.
Ossia l’inflazione, sebbene addomesticata, nei prossimi mesi andrà fuori controllo, senza correttivi.
A danno soprattutto dei paesi più colpiti dalla crisi COVID (Italia) e più indebitati (Italia), oltre che deboli istituzionalmente (Italia).
Un nome su tutti, appunto: l’Italia, che oggi vive grazie alle linee di credito della BCE nell’acquisto di BTP, che di fatto finanziano il debito italiano ed il governo di Draghi che finge di fare crescita del PIL, in realtà crescita solo nominale.
Ma senza abbonarlo, il debito italiano prossimo al 180% senza economia sommersa; ossia lasciando ad una data successiva il rientro pianificato del debito. Dunque il default pilotato italiano, magari da barattare in cambio di preziosi assets italici a compensazione.
Una colonizzazione mascherata insomma, là da venire.
In tale contesto si inquadrano i lockdown attuati in Europa per troppo tempo, che hanno tolto domanda di beni, lockdown oggi di nuovo possibili post Omicron. In realtà i lockdown oggi sarebbero tecnicamente superati vista l’assenza di una vera crisi medica; sostituiti in ambito sanitario da una selezione dei consumi, ossia escludendo l’ampia platea dei non vaccinati, almeno in Austria, Germania ed Italia (di nuovo unite nelle loro sorti oggi social-sanitarie, come 85 anni fa, ndr).
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Dunque eccoci a dover finalmente interpretare le parole di Giorgetti, ministro italiano dell’Economia in carica, il quale ha affermato a nome dell’EU che il prossimo anno ci potrebbero essere dei blackout nell’eurozona.
Beni ricordando che l’ultimo blackout di una intera nazione – a tinte fosche, vedasi il seguito – avvenne proprio in Italia nel 2003.
In effetti il blackout energetico annunciato da Giorgetti avrebbe le stesse funzioni di un lockdown: togliere domanda, ossia abbassare i prezzi.
Ben sapendo che, a partire dal 1.1.2022, ossia con le nuove tariffe elettriche ed in parte gas, le imprese si troveranno ad avere aumenti a doppia ed anche a tripla cifra, in dipendenza del contratto di somministrazione. Con ulteriori aumenti attesi, sempre a doppia cifra, nel II trimestre 2022 le aziende italiane saranno al muro: o chiudono, pagando penali ai propri clienti. O pagano tariffe energetiche e materie prime a prezzi che mai potranno ribaltare sui clienti, in ambito di crisi sistemica.
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Da qui la necessità, più che l’opzione: invocare la forza maggiore per non produrre.
Appunto, chiediamoci, come si fa per smettere di produrre beni industriali senza essere portati in tribunale dai clienti?
Quale scelta migliore di un blackout “di stato”? Ad andare a guardare il blackout del 2003 si capisce che tutto è possibile, visto il poco che ci fu di normale anche allora…
Ossia il caso del blackout per il prossimo anno sarebbe fortissimo, soprattutto in Italia. Un paese dove c’è ancora oggi circa lo stesso numero di pensioni di Stato pagate che persone che lavorano. Ovvero un paese tecnicamente vicino al fallimento dei propri sistemi prima di tutto previdenziali.
E con un’industria, oggi ancora relativamente sana sebbene piccola e media, che è l’unico baluardo nella tenuta del Paese. Ben sapendo che il prossimo anno si sarà in balia di aumenti di costi spropositati, lato produzione, a carro i listini ossia lato consumatori.
Dunque, a pesarci bene un blackout sarebbe quasi benvenuto, per non onorare contratti. E, soprattutto, per negare l’inflazione: della serie, se un bene non c’è sullo scaffale, che prezzo ha? Magari zero? Appunto… Annientando l’inflazione statistica!
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Lasciamo perdere che se questo succederà si ammazzerà un paese, piuttosto il punto resta un altro. Ossia, come si farà nel caso ad attuarlo, il blackout?
La storia ci può aiutare. Leggendo la relazione svizzera dell’Ufficio Federale dell’Energia, il blackout del 2003 avvenne in situazioni davvero stranissime, soprattutto lato Italia, ma non solo. In breve, due alberi caduti, in serie, ma a distanza di tempo. Due corto circuiti senza contatto, ossia interruzione fisica della linea ma solo del flusso elettrico, per sicurezza intrinseca.
Una telefonata dalla Svizzera a Roma nel bel mezzo della notte per le contromisure, mezza smentita dalle autorità italiane, tra il primo albero ed il secondo albero caduto (di per se un fatto stranissimo e quasi surreale, per le condizioni meteo, vedasi oltre). Ed una scellerata decisione italiana di aumentare la potenza in domanda lato Penisola invece di farla scendere.
Poi la caduta del secondo albero sebbene in assenza di vento (nella zona di Sils/CH), come il primo, corto circuito senza contatto.
Va rilevato che il secondo albero sarebbe caduto nella zona dell’Hinterrhein, dove c’è una delle principali centrali elettriche Svizzere; per la cui costrizione dovette essere addirittura essere spostato il confine italo-svizzero, nella Val di Lei. Ironia della sorte, tale centrale vedeva e vede tra i principali azionisti proprio Edison oltre che, indirettamente, ai tempi, il gigante francese dell’energia, EDF (oggi anche Edison è di EDF, ndr).
Insomma, un giallo interazionale, che riteniamo difficilmente oggi si ripeterà.
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Infatti il flusso di energia maggiore in Italia arriva dall’arco nord ovest, ossia dalla Francia. E praticamente tale flusso converge interamente nel ripartitore di Rondissone, dove giunge gran parte dell’energia elettrica importata dall’estero.
In tal contesto un osservatore attento guarderebbe, per prevedere più che prevenire un eventuale blackout, se non voluto direttamente dallo Stato, a problemi sulla linea di approvvigionamento dall’estero che arriva a Rondissone, alle porte di Torino.
Ben sapendo che oggi l’EU deve bloccare l’inflazione in arrivo, se non vuol vedere saltare per aria la sua creatura prediletta, l’euro.
Ossia, è possibile che tra Bruxelles, Parigi e soprattutto Berlino – con Draghi a Roma – si sia disposti a tutto pur di salvare i propri interessi, che ruotano attorno all’euro attuale. O futuro.
Da tale considerazione nasce l’enorme attenzione per i risvolti che nascondono le parole di Giorgetti, là da venire.
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