Redazione:
In fondo, quello che possiamo concludere sul caos che ci ammanta, è che molto probabilmente siamo ad una cuspide degli eventi, di quelle che la storia menziona e studia ex-post, cuspide assai pericolosa per altro.
Ben ricordando come la guerra in Syria fu dovuta ad una pipeline gas; anche oggi – nella guerra ucraina, in fieri – tutto dipende sempre da una pipeline gas. Entrambe le pipeline arrivavano/arrivano in territorio diciamo germanofono (Germania per il North Stream, Austria per la pipeline Quatar-Iran-Syria-Turchia…-Austria). Rileviamo infatti che la guerra in Ucraina fu una conseguenza della guerra in Syria, se volete anche una forma di ritorsione per il mancato accordo con Mosca per la pipeline Quatar-…-Austria (…).
Come ben spiegato da Giuseppe Esposito, gli USA oggi hanno come obiettivo primario quello di NON fare attivare il North Stream II, nelle more di una dottrina geostrategica consolidata in quel del Maryland (Georgetown). Parimenti – aggiungiamo noi – l’EU ha bisogno di una ragione, ad esempio un blackout in Europa, magari causato da un bombardamento “per errore” della pipeline russo-ucraina-europea, per giustificare l’attivazione in emergenza del North Stream.
Ben notando come Biden, ripercorrendo la cronistoria proposta dal nostro sito ieri (punto 9), avrebbe annunciato che, in qualche modo, il North Stream verrebbe comunque disattivato, sottolineo il “in qualche modo“.
Dunque – nostra valutazione – non è che non si voglia la guerra in Ucraina, direi anzi il contrario. L’EUropa e la Germania potrebbero volere nel caso una guerra diciamo fittizia per giustificare il blackout, ad esempio con un bombardamento “casuale” della pipeline ucraina, evento che aprirebbe le porte all’attivazione in emergenza del North Stream. Gli USA invece preferirebbero, nel caso sopra, fare escalation, anti-North Stream.
Comunque un disastro geostrategico per l’Europa continentale, diciamolo.
In tale cotesto l’Italia che non pensa ai propri interessi, per altro avendo ampie risorse anche naturali, è e sarà un errore enorme, potenzialmente anche mortale, come ben spiega Giuseppe Esposito.
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Gas? Guerra?
di Giuseppe Esposito, https://www.giuseppeesposito.it/2022/02/15/gas-guerra/
Buon martedì,
In questi giorni l’Italia e l’Europa stanno soffrendo l’aumento del prezzo del gas e il rincaro dell’energia per tutti gli usi sia privati che produttivi.
Tutti noi ci lamentiamo della carenza di materia prima e contemporaneamente ci lamentiamo che la ripresa economica del dopo pandemia si sta bloccando per questi aumenti vertiginosi dell’energia.
Succubi solo della materia prima energetica Russa? Tutto questo è provocato solo dalla crisi Ucraina?
Non penso. Certo la guerra, dei nervi, innescata dagli USA sull’Ucraina ha portato ai massimi livelli l’attenzione mediatica sulla possibilità di un crollo del gas e quindi gli approfittatori di turno si stanno fiondando.
Ma l’Italia ha le sue belle colpe.
Qualcuno, in parlamento o negli enti locali, si sta chiedendo per quale motivo non abbiamo attuato il programma di energia alternativa al gas e al carbon fossile. Energia prodotta con metodi semplici: il fotovoltaico, il geotermico e/o l’eolico solo per citarne alcune.
Entro il 2030 dovremmo realizzare energia, da fonti rinnovabili a sostituzione dei metodi tradizionali gas e carbone, per più di 70 gigawatt. Oggi ne produciamo solo un settantesimo cioè poco meno di un gigawatt all’anno, nonostante vi siano procedure industriali e richieste di connessione alla rete elettrica per circa 146 gigawatt, più del doppio di quelli che dobbiamo produrne secondo l’agenda che ci siamo dati come paese.
Ma perché si produce così poco energia green in Italia?
Primo ostacolo essere autorizzati.
Per approvare un parco eolico o fotovoltaico servono burocraticamente cinque passaggi autorizzativi: 1) Valutazione di impatto ambientale del Ministero Ambiente; 2) Valutazione dell’impatto ambientale regionale; 3) Conferenza dei servizi; 4) Autorizzazione edilizia per l’impianto specifico; 5) Licenza di officina elettrica. Oltre la valutazione del Ministero dei beni culturali.
E poi ulteriori sei passaggi per connettere l’impianto alla rete elettrica.
Tempo stimato ad oggi per l’autorizzazione sei, sette anni. Quando va tutto bene.
E quando non c’è accordo su un progetto tra i Ministeri competenti la decisione finale è nelle mani di Palazzo Chigi.
Sul tavolo del Presidente Draghi, ma che provengono anche dal precedente Presidente del Consiglio, sono fermi da più anni oltre 35 progetti per 5,5 gigawatt autorizzati da un ministero e bloccato da un altro. O viceversa. E la cosa buffa, se non fosse drammatica, è che tutte le pratiche e le motivazioni di bocciatura dei ministeri coinvolti non sono pubblicabili poiché risultano essere “informazioni sensibili”. Quasi come il segreto di stato.
A scoraggiare gli investitori, inoltre, c’è anche la regola malsana italiana di buttare tutta la produzione in eccesso dell’energia verde in quanto non è concesso, ai grandi impianti e ai distributori, lo stoccaggio dell’energia rinnovabile prodotta in eccesso.
E allora quando c’è molto vento o sole e si produce più energia di quella che serve, quella in eccesso la devi “buttar via”, con un mancato ritorno sull’investimento e una riduzione della quantità di energia disponibile nel paese.
Eppure, anche con tutte queste trappole burocratiche, l’energia verde e rinnovabile è molto più vantaggiosa per il nostro paese. Oggi i prezzi per produrre energia sono 45-50 euro a megawattora con il solare, 50-60 con l’eolico, contro il picco dei 140-145 del gas. Solo per esempio.
Mentre in Italia non si riesce ad aggiudicare le aste e si butta via l’energia che non è possibile stoccare, il costo aumentato del metano che importiamo soprattutto da Russia e Stati Uniti ci ha costretti a mettere in manovra economica alcuni miliardi e altri ancora dovremmo metterci per ridurre le spese a famiglie e imprese. E per non perdere l’abbrivio della ripresa dopo questi 24 mesi di folle pandemia.
Tutti investimenti tolti alla crescita e allo sviluppo del Paese.
E qui sono obbligato ad un passaggio sulla crisi dell’Ucraina. Dei veri motivi che ci sono sotto le facciate mediatiche a difesa della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli.
La domanda scorretta che faccio: perché è stata scelta l’Ucraina come elemento di scontro e non l’Etiopia, la Palestina, Israele, il Kurdistan o altri 100 paesi in guerra o non autodeterminati? A voi la risposta.
Degli interessi in gioco se ne è avuta l’ennesima dimostrazione quando lunedì alla Casa Bianca, durante la conferenza stampa dopo l’incontro tra il presidente americano Joe Biden e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo ha affermato che in caso di invasione russa gli Usa troveranno certamente il modo di fermare Nord Stream 2; e lo ha fatto con una sicurezza e violenza verbale che se al suo posto ci fosse stato ancora Donald Trump, e non lo rimpiango, mezzo mondo avrebbe parlato di una minaccia mafiosa.
Non solo, nella stessa conferenza Biden non ha risposto alla domanda di un giornalista tedesco che gli chiedeva se nelle misure anti-invasione gli Stati Uniti avessero intenzione di inserire anche il blocco delle esportazioni di petrolio dalla Russia. Zero risposta!!!
Negli ultimi anni, dall’inizio della crisi Ucraina, l’import negli USA di greggio russo ha raggiunto i 540 mila barili al giorno nel 2020, passando dai 330 mila del 2014.
Nel 2000, quando Vladimir Putin si è insediato al Cremlino, erano solo 72 mila. Un’ascesa costante del petrolio russo, coincisa con la diminuzione dell’import dai Paesi del Golfo, che i venti della guerra fredda non hanno certo bloccato, anzi.
La Russia è oggi il terzo esportatore di petrolio negli Usa, dopo il Canada e il Messico, a pari merito con l’Arabia Saudita con una quota del 7 per cento.
In Europa il quadro non cambia e, visto che un terzo del petrolio che giunge nell’Ue arriva proprio dalla Russia, appare alquanto strano che né Washington né Bruxelles abbiano invocato un embargo sull’oro nero, mentre sul gas metano si vogliono bloccare tutte le strade verso alcuni paesi dell’Europa.
E poi, come si è visto negli ultimi anni, la politica degli Usa è stata quella di portare la guerra lontana dai suoi confini scegliendo sempre teatri di guerra dove poter agire senza mettere in discussione la sicurezza e l’economia degli americani.
L’Italia deve pensare e agire, insieme all’Europa, a difesa della propria sovranità e a salvaguardare gli interessi di tutti i paesi europei a partire dai nostri.
Non sempre gli alleati sono amici, e non sempre gli amici sono alleati.
Tornando alla nostra crisi energetica e agli strumenti immediati che possono dare una risposta cosa possiamo fare?
Mentre aspettiamo di capire o meglio che venga spiegato bene il nuovo nucleare e visto che ci vorranno anni per addivenire ad una decisione, dobbiamo accelerare il programma del 2030 delle fonti rinnovabili e sostenibili anticipando le scadenze.
Buona è stata la scelta del ministro Cingolani che ha dato alle Regioni sei mesi di tempo per individuare le aree idonee all’installazione degli impianti. Gli Enti locali e le Regioni dovranno correre prima a legiferare e correggere le normative ferme al 2000 sull’energia e poi dovranno censire i siti per i grandi impianti. Aree già sfruttate ma deteriorate, siti industriali abbondonati, terreni da bonificare. Al posto di spegnere le luci pubbliche i sindaci e le regioni farebbero meglio a dotarsi di impianti energetici rinnovabili. Per poter partire già dal prossimo anno con la produzione e liberarci dalla dipendenza di altri paesi o di politiche altrui.
Essere se non autonomi ….quasi!
E insieme agli impianti di grande taglia sulle rinnovabili si dovrà agire anche sugli impianti condominiali e sugli impianti singoli alleggerendo i vincoli dei cittadini con i distributori e con la burocrazia. Liberalizzando la possibilità di costruire l’impianto privato (fotovoltaico, eolico-verticale, geotermico) fino a 15 kilowatt, con la possibilità dello stoccaggio casalingo e dello scambio sul posto senza essere obbligati a contratti capestri con i distributori o il GSE.
Solo attuando la sburocratizzazione delle fonti rinnovabili ad ogni livello possiamo uscire presto e bene da questa crisi e costruire una base più solida e meno fluttuante dell’energia.
Questa è la priorità e non la guerra Usa-Russia in Europa.
Non riproponiamo le guerre come in Iran, Siria, Iraq, Afghanistan ed altre che hanno generato dolori intensi, tanti morti e poi “ci siamo ritirati” senza aver cambiato nulla. Anzi avendo impoverito di più il mondo ed in qualche caso come in Afghanistan lasciando la popolazione con diritti civili inferiori a quanto siamo arrivati. Unica nota positiva, per alcuni ma non per me, la vendita esponenziale degli armamenti.
Giuseppe Esposito
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