“Più i fiumi sono profondi, con minor rumore scorrono”
Curzio Rufo
Si è fatto un altro incontro del contenitore di pensiero di NUOVA VIA EMILIA.
Questa volta nel cuore dell’Emilia. Per correttezza non dirò in quale delle città emiliane, questo è avvenuto.
NUOVA VIA EMILIA evolve gradualmente, ma costantemente. Nuove persone si ritrovano, alcune vogliono testimoniare il proprio impegno, altre vogliono semplicemente ascoltare per imparare.
Una grande umiltà concorre tra i partecipanti, ognuno ha diritto di parola, infatti la formula visiva dell’incontro si risolve in un cerchio, dove non c’è nessun punto focale sul suo perimetro a indicare una posizione di privilegio.
Si è discusso di territorio e numerosi progetti interessanti stanno emergendo con forza dalla costante e pervicace attività dei cittadini appartenenti a NUOVA VIA EMILIA.
Che cosa stiamo facendo se non semplicemente creando le condizioni per ricomporre quelle che un tempo si chiamavano comunità di territorio?
Un grande entusiasmo aleggia in ognuna di queste cellule pensanti e agenti. L’atto di restaurare qualcosa di antico, ma bellissimo può essere estremamente emozionante.
Perché la società si sta rinnovando attraverso questi individui caparbi e le loro rispettive visioni del mondo.
E’ ancora una forza in potenza, qualcosa di non ancora definito, un magma umano cangiante e sotterraneo, che ancora non trova interesse tra le vacue caste civili.
Ma vedrete che gradualmente troverà il suo spazio d’azione e si espanderà silenziosamente.
La crescita più sana è quella lenta, costante, graduale. Una crescita fulminea e rapida porta malattia e squilibrio. L’organismo che nascerà dall’aggregazione di queste comunità dovrà essere autonomo e coeso, forte ed equilibrato.
Se non si trova questo bilanciamento, che solo una visione ad ampio spettro può offrire, le infiltrazioni avverranno quotidianamente e chiunque potrà spezzare le dinamiche costituitesi all’interno di un panorama fragile e frastagliato.
Quello che si sta facendo adesso è dialogare fino allo sfinimento per definire un’identità coagulante tutti i gruppi riuniti, senza soffocare nessuno, senza opprimere nessuno. E’ un lavoro certosino, è un po’ come decorare a mano un chicco di riso. La delicatezza e la precisione sono tutto.
Ecco come dobbiamo comportarci con tutti coloro che si approcciano o che approcciamo: trasparenza e gradualità.
Il discorso politico, nonostante si accenni di tanto in tanto, è ancora acerbo. Nonostante ciò si dovrà affrontare a un certo punto. Si dovrà capire come incanalare questa forza in un progetto confederante, in un contenitore che possa dialogare a ogni livello, non solo collegando gli attivisti tra loro.
Ma è ancora presto. Non dobbiamo aver paura della politica. Non dobbiamo crederla nemica. La politica è un’arte. Noi che abbiamo compreso prima di altri la lussuria peccaminosa della propaganda dovremmo aver chiaro quale laido gioco fu condotto negli ultimi trent’anni: un gioco che sfociò nel Movimento 5 Stelle e nella sua anti-politica. Fu un processo indotto che partì probabilmente da Mani Pulite, teso a screditare la gestione del bene pubblico e a far credere all’ineluttabilità della menzogna, della corruzione e della disonestà in ogni ambito istituzionale.
Fortunatamente non deve essere così. E noi dobbiamo invertire questa rotta. Perché con il discorso dell’avversione nei confronti della politica siamo finiti a questo punto: viviamo in un Paese che non ha più fiducia in nulla, nel cui seno alberga una volontà inconscia mortifera e spregiudicata.
Guardiamo la gestione del settore educativo: senza alcuna visione a lungo termine. Un obbrobrio che vive di restrizioni e punizioni sadiche, che toglie ogni possibilità di immaginazione non solo agli scolari e agli studenti, ma ha estromesso la tradizione (nel senso di tramandare) che rendeva così fascinoso il rapporto maestro e discepolo.
Una scuola di burocrati, carnefici e impositori. Non c’è un’idea di sviluppo. C’è la volontà di una stasi perenne.
Come trattiamo il settore educativo, così trattiamo il nostro futuro.
Se tutto va male non è colpa del prossimo che non ha capito o che mi ostacola nel mio fare del bene. No. La comunità nazionale è la sintesi perfetta di tutte le individualità che la compongono. Quindi ognuno di noi, a suo modo, è colpevole del disastro che stiamo vivendo.
Se vogliamo costruire una comunità più saggia e più consapevole che non si fa infiltrare dal primo che arriva, che non crede alle promesse vacue di oratori asettici e anonimi che pensano più alle visualizzazioni che ai loro interlocutori dobbiamo partire da noi stessi. Dobbiamo compiere uno sforzo. Dobbiamo fare un esame di coscienza e iniziare a capire chi siamo, cosa vogliamo, in che epoca viviamo, dove vogliamo arrivare e perché lo facciamo. Se non risponderemo a queste domande saremo sempre in balia dei venti e qualunque furbacchione sventolante un tricolore ci prenderà in giro.
Non screditiamo un’arte nobile come la politica. Troviamo quella fiducia in noi stessi che ci trascini verso nuovi orizzonti, che poi non sono che restauri di mondi meravigliosi che un tempo furono e che se desideriamo saranno ancora.
Se sapremo dialogare tra noi e costruire prontamente le nostre identità, confederarle senza ammaccarle o volerle omologare nessuno potrà mai dirci cosa fare e chi essere, tantomeno nessuno sarà mai in grado di venire da noi e dirci di seguirlo. Semplicemente perché non lo faremmo.
Non è un compito facile quello che ci aspetta. Se volevamo qualcosa di facile avremmo ceduto di fronte al primo ostacolo e ci saremmo gettati a braccia aperte in un bar subito dopo il 6 agosto felici di mostrare il nostro lasciapassare.
Se siamo ancora qui e siamo in così tanti un motivo c’è. In noi scorrono secoli di libertà, il nostro sangue è intriso di un fremito autodeterminante, lo stesso che animò i nostri avi, che con tanto ardore combatterono coraggiosamente.
Il loro spirito vive in noi e noi dobbiamo omaggiare la loro audacia, la loro saggezza, la loro forza.
Nulla, secondo me, accade per mero caso. E se qualcosa succede è perché così doveva essere. Ma se sta succedendo perché doveva succedere non significa che noi non serviamo. Se viviamo quello che viviamo è perché noi siamo strumenti di questo grande schema che diviene ciò che deve divenire attraverso noi.
NUOVA VIA EMILIA non preclude il dialogo con nessuno. Si prefigge di preparare il terreno al nuovo che avanza inesorabilmente e che non è necessario vedere e toccare, perché la storia si muove come un fiume, alcune volte è in superficie altre si nasconde nelle viscere del suolo per poi sbucare dove nessuno se lo aspetta.
Per ogni informazione riguardo NUOVA VIA EMILIA contattate info@mittdolcino.com
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l’Alessandrino
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