Vincenzo Antonaci è uno studente di Bologna, che fa parte del movimento “Studenti Contro il Green Pass”. L’ho conosciuto personalmente non meno di una settimana fa in un incontro in Romagna.
Vincenzo ha 23 anni. Rappresenta quel lembo sano e forte della nostra società, lui è uno di quei giovani che non hanno ceduto. Non è uno di quelli che ha fatto la fila davanti all’hub (sulla falsa riga del Black Friday) e a spintoni ha provato a rubare il posto a quello accanto per avere prima l’iniezione che lo avrebbe liberato e gli avrebbe permesso di andare a fare l’aperitivo.
In questo tempo mascherato le connessioni avvengono con una rapidità tremenda ed è quello che è avvenuto tra noi.
Non lamentatevi quando vi diranno che i giovani sono tutti rincoglioniti, perché non è vero.
Forse una buona parte, forse la maggioranza. Ma quando mai la maggioranza conta qualcosa?
Le minoranze, sono queste che influiscono attivamente sulla storia.
E noi siamo minoranza attiva.
Ringraziamo Vincenzo Antonaci per queste bellissime parole.
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Di Vincenzo Antonaci
Miei cari amici e mie care amiche. Non da molto ho avuto l’onore e la responsabilità di conoscervi e partecipare al movimento, eppure sento in profondità un legame che mi lega a voi e che va ben oltre gli idealismi politici che mi hanno guidato finora. L’origine di questo legame non riesco a spiegarmela, eppure essa si rivela la cosa più reale e materiale della mia vita e in quanto vera, mi permea e mi riempie di energia. Questo legame, che tutti noi in attimi di pura schiettezza e rilassata coscienza abbiamo confidato di percepire, si dimostra difficile da delineare, eppure tutti noi lo percepiamo. Siamo legati, ma non sappiamo perché. Ebbene io oggi vi do la mia porzione di verità, sperando con tutto me stesso che questa possa essere la risposta che state cercando.
In un primo momento sono stato colto dall’euforia delle nuove conoscenze, una miriade di anime, le vostre, si è presentata a me perché, un giorno, ebbi il coraggio che tutti noi abbiamo avuto: quello di superare la vergogna e di urlare che siamo dei diversi. Presto o tardi tutti noi abbiamo affrontato il grande passo, imposto da forze maggiori, di smettere di fuggire dalla nostra identità reale e di mostrarci per quello che siamo, delle anime sofferenti. In effetti, nessuno di noi ha mai fatto tabù della propria sofferenza interiore e già questo è un ottimo passo in avanti rispetto agli altri, che ancora si nascondono dietro una maschera di ipocrisia, in una negazione della realtà interiore ed esteriore.
Tuttavia non siamo ancora andati oltre questa sofferenza, e facciamo fatica a capire cosa siamo una volta finito lo sfogo.
Mi sono allora interrogato su un punto, mi sembra di capire, origine di grande travaglio interiore per tutti noi: siamo noi il nostro disagio?
Mi spiego meglio: ogni uomo o donna che fa parte di questo gruppo, ammette di essere a disagio nel resto della società. Il vuoto, il silenzio assordante di coloro che bene o male ci hanno accompagnato per parte o per tutta la nostra vita fino a poco tempo fa, ha alimentato in noi un impellente senso di allarme, lo stesso che percepisce un’aquila tenuta in gabbia, seppur ben nutrita. Per molti anni, schiavi della paura di rimanere soli, abbiamo rinnegato questo allarme e, aquile dalle ali tarpate, ci siamo accontentati di una piccola e scomoda gabbia.
Pertanto tutti noi veniamo da anni bui, anni in cui abbiamo rinnegato una voce interiore, quella della coscienza, in onore del quieto vivere.
Tuttavia quella voce non ha mai smesso di urlare e quando anche le circostanze si sono allineate la scelta è stata obbligata: ascoltare quella voce disperata o morire.
Noi l’abbiamo ascoltata.
Allora mi chiedo e vi chiedo: siamo noi il nostro disagio? In effetti potrebbe sembrare che questo comune senso di inadeguatezza sia stata la causa scatenante del nostro cercarci, insomma il nostro big bang.
Tuttavia io vi dico, non è così. O meglio, noi siamo anche, ma non solo, il nostro disagio. Se fossimo solo stati spinti a unirci dal senso di non appartenenza alla giungla sociale che ci circonda, probabilmente questo gruppo sarebbe collassato molto tempo fa. L’Uomo infatti non funziona solo per necessità pragmatiche come quella di trovare un gruppo di individui ad esso affini, ma anche e soprattutto grazie a obiettivi più alti. Pertanto io avverto, se al più presto non trascenderemo il nostro disagio con l’obiettivo di rivelarci pienamente gli uni agli altri e di stabilire un legame più profondo, il collasso avverrà, perché una volta colmato il vuoto, matureremo nuovi bisogni e cambieremo strada. Difatti, noi ci siamo uniti pensando di colmare i nostri vuoti, ma in questo movimento possiamo trovare molto di più e lo sappiamo.
In un mondo disabituato alla creatività libera da doppi fini, ci siamo sempre sentiti fuori posto, ma qui la nostra creatività ha riavuto un valore. Siamo dunque ben più del nostro disagio, noi siamo coscienza creativa.
Viviamo allora un’opportunità senza precedenti, quella di abbandonarci alla nostra coscienza che ci ha spinti a unirci, di fare un passo indietro rispetto ai nostri credi politici e alle nostre esperienze, lasciando viva solo la creatività. Smettiamola di schierarci, smettiamola di combattere, la guerra interiore è finita. Nel momento in cui vi parlo, un’altra guerra impervia ovunque nel mondo ed è dovere delle nostre coscienze combatterla. Questa guerra non concepisce mezze misure, è la guerra delle divisioni, la guerra degli estremi, l’infinita lotta tra bene e male. E in questo ripetersi infinito dei medesimi estremismi noi ci siamo trovati, nel mezzo, a danzare su un filo.
Per questo l’errore più grave che possiamo commettere è schierarci da una parte, limitarci a una identità, fossilizzarci su un credo politico. Invece questa guerra può essere vinta solo in un modo: smettendo di combattere, abbandonando qualsiasi esercito, qualsiasi credo, qualsiasi guida esteriore. Vi prego, per vincere questa guerra è necessario smettere di combatterla e tornare a casa, nella propria dimora interiore, dalla quale potremo vivere liberi.
Tutto ciò che ci resterà dopo la morte dell’Io e dopo l’abbandono di ogni forma di violenza, sarà la nostra immensa creatività. Che è ciò che noi siamo.
Badate bene, abbandonare tutti gli eserciti non significa arrendersi, la resa infatti non è concepita dalla coscienza. Al contrario, significa maturare un valore diverso da quelli parziali proposti o imposti da ogni parte del conflitto. Il valore che deve accomunarci è la libertà di essere noi stessi, ognuno nella sua unicità e per questo valore vale la pena combattere fino alla morte. Tutte le altre guerre sono distrazioni.
Impariamo a vivere liberi dalle logiche di violenza che ci hanno esclusi dal resto della società, le medesime che oggi alcuni di noi applicano ciecamente alla resistenza stessa.
Ciò che ci unisce è la voce della nostra coscienza, sia essa stata sempre sveglia, o per nostra fortuna risvegliata da qualcuno che ringrazieremo per sempre.
In nome di questo legame io vi chiedo, una volta per tutte, di abbandonare la vostra bandiera, il vostro credo, il vostro partito, la vostra idea di giustizia, di Stato, di religione. Prendete invece in mano l’unica cosa su cui avete davvero potere, voi stessi, e iniziate a collaborare per creare una realtà libera da ogni sovrastruttura del pensiero.
Noi siamo pura coscienza, è questa che ci ha spinti ad unirci ed è solo ascoltandola fino infondo che resteremo insieme.
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