Redazione: il seguente articolo esprime un giudizio impietoso nei confronti di Mario Draghi. Ma in realtà ad uscirne veramente a pezzi è la nostra repubblica parlamentare, che appare totalmente succube rispetto a vincoli esterni prevalenti rispetto ai partiti ed alla volontà popolare, sempre più in rotta di collisione rispetto all’interesse nazionale.
In questa ottica il prossimo appuntamento elettorale appare privo di qualunque significato, un inutile teatrino che, dopo un probabile breve interludio “nazional-popolare” guidato dal (o dalla) gatekeeper di turno, non potrà fare altro che evolversi nell’ennesimo governo “tecnico” asservito ad interessi esogeni.
Di conseguenza un’alta partecipazione al voto servirebbe esclusivamente ad avallare questa situazione.
La defenestrazione di Mario Draghi ha lasciato l’establishment italiano e quello internazionale letteralmente sconvolti. Questo non è sorprendente. Quando è stato nominato primo ministro italiano all’inizio dello scorso anno, le élite politiche ed economiche europee hanno accolto il suo arrivo come un miracolo. Praticamente tutti i partiti del parlamento italiano – compresi i due ex partiti “populisti” che hanno vinto le elezioni nel 2018, il Movimento Cinque Stelle e la Lega – hanno offerto il loro sostegno. Il tono della discussione è stato ben colto dal potente governatore della Campania, Vincenzo De Luca (PD), che ha paragonato Draghi allo stesso “Cristo”.
Tutti erano d’accordo: un governo Draghi sarebbe stato una benedizione per il Paese, un’ultima occasione per riscattare i suoi peccati e “far tornare grande l’Italia”. Draghi, dicevano, semplicemente in virtù del suo “carisma”, “competenza”, “intelligenza” e “influenza internazionale”, avrebbe tenuto a bada i mercati obbligazionari, attuato le riforme tanto necessarie e rilanciato l’economia stagnante dell’Italia.
Purtroppo, la realtà non è stata all’altezza delle aspettative: Draghi si lascia alle spalle un Paese a brandelli. L’ ultima previsione macroeconomica della Commissione europea prevede che l’Italia il prossimo anno registrerà la crescita economica più lenta della UE, con appena lo 0,9%, a causa di un calo della spesa dei consumatori dovuto all’aumento dei prezzi e ai minori investimenti delle imprese, causati dall’aumento dei prestiti e dei costi energetici, nonché dalle interruzioni nella fornitura di gas russo.
L’Italia sta inoltre registrando uno dei tassi di inflazione in più rapida crescita in Europa, che è attualmente all’8,6%, il livello più alto da oltre tre decenni. Da quando Draghi è salito al potere, anche i tassi di interesse sui titoli di Stato italiani sono aumentati costantemente, quadruplicando sotto la sua sorveglianza; oggi sono al livello più alto in quasi un decennio.
E questa “crisi politica” ha messo a dura prova la società italiana: 5,6 milioni di italiani, quasi il 10% della popolazione, di cui 1,4 milioni di minori, vivono attualmente in povertà assoluta , il livello più alto mai registrato. Molti di questi lavorano e quel numero è destinato ad aumentare poiché i salari reali in Italia continuano a diminuire al ritmo più alto della UE . Nel frattempo, quasi 100.000 piccole e medie imprese (PMI) sono a rischio di insolvenza , con un aumento del 2% rispetto allo scorso anno.
C’è tanto da dire su “Super Mario”, quindi. Certo, si potrebbe obiettare che altri paesi stanno vivendo problemi simili, ma sarebbe un errore togliere Draghi dai guai. È stato uno dei più convinti sostenitori delle misure che hanno portato a questa situazione, essendo stato una forza trainante nello spingere la UE ad applicare severe sanzioni contro Mosca, sanzioni che stanno paralizzando le economie europee, lasciando la Russia praticamente indenne .
Draghi si è persino vantato delle misure audaci adottate dall’Italia per svezzare il paese dal gas russo, il risultato è che l’Italia è ora il paese che paga i prezzi all’ingrosso dell’elettricità più alti dell’intera UE . L’assurdità di queste politiche diventa evidente se consideriamo il suo tentativo di ridurre la dipendenza dell’Italia dal gas russo rivitalizzando diverse centrali elettriche a carbone, carbone che l’Italia importa in gran parte dalla Russia .
Peggio ancora, Draghi ha fatto poco o nulla per proteggere i salariati, le famiglie e le piccole imprese dall’impatto di queste politiche. In effetti, le poche misure “strutturali” varate dal suo governo sono state tutte volte a promuovere la privatizzazione, la liberalizzazione, la deregolamentazione e il consolidamento fiscale – come l’ apertura alla privatizzazione di quei pochi servizi pubblici rimasti fuori dal perimetro del mercato, inoltre “flessibilizzando” il lavoro, mettendo in vendita per la prima volta dopo decenni le spiagge private o tentando di espandere i servizi di taxi per includere operatori di ride-sharing come Uber, scatenando massicce proteste.
Per chiunque abbia un’idea dell’ideologia di Draghi, questo non sorprende affatto. Come ho già affermato in passato , Mario Draghi è l’incarnazione corporea del “neoliberismo”. Né sorprende che quelle politiche non abbiano funzionato in passato, dato che la logica neoliberista dell’UE, basata su privatizzazioni, austerità fiscale e compressione salariale – per l’attuazione delle quali Draghi ha svolto un ruolo cruciale sin dai primi anni Novanta – è il motivo principale per cui l’Italia è in un tale pasticcio. Draghi ha anche rafforzato ulteriormente la morsa della UE sull’economia italiana diffondendo incessantemente la narrazione secondo cui l’Italia aveva un disperato bisogno dei fondi europei allo scopo di rilanciare la sua economia dopo il Covid e, che per accedere a tali fondi, bisognava attuare diligentemente le riforme richieste da Bruxelles.
Eppure, in termini macroeconomici, i fondi in questione sono una miseria , e per nulla vicino a quanto sarebbe necessario per avere un impatto significativo sull’economia italiana. Ma ci vengono elargiti con condizionalità molto rigide . Questo è in definitiva l’obiettivo del ” Next Generation “Recovery Fund” della UE: aumentare il controllo di Bruxelles sulle politiche di bilancio degli Stati membri e rafforzare il regime di controllo tecnocratico e autoritario della UE. E chi meglio di Draghi avrebbe potuto implementare tali misure? Come lui stesso ha osservato, il “percorso di riforme” tracciato dal suo governo significa che “abbiamo creato le condizioni affinché il lavoro [della ripresa dell’UE] continui, indipendentemente da chi sia [al governo]“, assicurando così che i futuri governi non possano deviare dal sentiero della “rettitudine”.
Draghi, però, non si lascia alle spalle solo un’economia distrutta, ma anche una società profondamente frantumata e divisa. È lui l’uomo responsabile della implementazione delle politiche di vaccinazione di massa più punitive, discriminatorie e segregazioniste dell’Occidente , che non solo hanno escluso milioni di non vaccinati – compresi i bambini – dalla vita sociale, estendendo i passaporti vaccinali praticamente a tutti gli spazi pubblici, ma hanno anche escluso molte persone dal lavoro. Ha anche contribuito a rendere i non vaccinati l’obiettivo di incitamento all’odio sanzionato dalle istituzioni, come quando ha affermato scelleratamente: “Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire..
Tutto ciò potrebbe offrire un’indicazione del perché un recente sondaggio ha mostrato che il 50% degli italiani non è soddisfatto dell’operato del governo. Eppure, nonostante un gradimento alquanto insignificante, quando Draghi inizialmente annunciò la sua intenzione di dimettersi l’establishment italiano è entrato in un impeto apoplettico. In quella che passerà alla storia come una delle più patetiche dimostrazioni del conformismo servile della società italiana, quasi tutte le categorie professionali a cui si può pensare si sono precipitate a lanciare il proprio appello implorando Draghi di restare, non solo ricchi uomini d’affari , come c’era da aspettarsi, ma anche medici, farmacisti, infermieri, sindaci , presidi universitari , ONG , intellettuali progressisti e anche la Cgil [sic], il più grande sindacato del Paese.
Ancora più pietosamente, i media italiani hanno dato una copertura massiccia a diverse “manifestazioni pro-Draghi” – che non hanno radunato più di poche decine di persone . Forse in modo ancora più grottesco, una delle più grandi agenzie di stampa del Paese, l’ Adnkronos , ha persino parlato di come diversi senzatetto si fossero fatti avanti per mostrare il loro sostegno a Draghi. Uno di questi è stato citato dicendo: “Draghi sta facendo la differenza. L’Italia ha ritrovato prestigio e credibilità grazie a lui. Da senzatetto posso testimoniare che ora c’è una maggiore attenzione per noi e questo grazie a Draghi”.
Anche l’establishment internazionale occidentale ha gettato tutto il suo peso dietro a Draghi. Tutti, dal Financial Times al Guardian al commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni , sono venuti a spiegare quale tragedia sarebbe stata la perdita di Draghi per l’Italia, e anzi per l’Europa nel suo insieme. Gentiloni è arrivato al punto di dire che “una tempesta perfetta” avrebbe investito il paese se Draghi se ne fosse andato; mentre il Guardian si è limitato a “suggerire caldamente” ai parlamentari italiani che Draghi “per ora dovrebbe restare”. Il New York Times ha affermato senza ironia che la partenza di Draghi avrebbe posto fine al “breve periodo d’oro” che aveva inaugurato per l’Italia. Parliamo di attori stranieri che si intromettono negli affari d’Italia.
Allora perché, nonostante pressioni così massicce, tre partiti hanno effettivamente staccato la spina al suo governo la scorsa settimana?
Parte della spiegazione sta nella misura in cui Draghi era riuscito ad alienarsi partiti come il Movimento Cinque Stelle e la Lega, rifiutandosi di confrontarsi con loro in quasi nessuna delle politiche del suo governo, o di riconoscere anche le critiche più timide. In più di un’occasione Draghi ha chiarito quello che considerava il ruolo del parlamento: quello di avallare le decisioni del governo. Ciò è evidente anche nell’abuso da parte di Draghi dello strumento del voto di fiducia .
Nel suo discorso al Senato della scorsa settimana, Draghi è stato ancora più esplicito: dopo aver detto di aver deciso di riconsiderare le sue dimissioni perché “questo è ciò che la gente vuole”, ha sostanzialmente detto al Parlamento di essere disposto a rimanere premier solo fino a quando le parti avrebbero concordato di non interferire con nessuna delle future decisioni del governo. Per molti dei presenti in Parlamento l’arroganza e la megalomania del discorso di Draghi sono andate un po’ oltre il dovuto – ed oltre a ciò c’è chi dice che Berlusconi stesse aspettando il momento giusto per vendicare la volta in cui fu spodestato da Draghi, nel 2011, quando quest’ultimo era presidente della BCE.
Tuttavia, non si deve sopravvalutare l’importanza della rivolta anti-Draghi del Parlamento. Alla fine, Draghi non ha fatto altro che enunciare la dura verità ai partiti: “Non avete un vero potere, accettatelo e basta”. Ma questa è una verità che i partiti politici non sono disposti ad accettare. In definitiva, non sono disposti ad affrontare la contraddizione fondamentale tra l’architettura istituzionale formale del paese – quella di una democrazia parlamentare – e quella che potremmo chiamare la sua architettura istituzionale “effettivamente esistente”, in cui il Parlamento e per definizione i partiti politici non hanno quasi alcun potere, perché lo stesso governo, nel contesto della zona euro, ha poca o nessuna autonomia economica. I partiti lo sanno ma non sono disposti ad ammetterlo (a sé stessi ma soprattutto agli elettori).
Questo li lascia in uno stato di permanente dissonanza cognitiva, che porta a quello che potremmo chiamare “il ciclo politico del vincolo esterno”. Come nei paesi “normali”, i partiti si contendono il consenso sulla base di piattaforme elettorali diverse e, come spesso accade, i partiti che promettono “cambiamento” ottengono la vittoria. Tuttavia, a differenza dei paesi “normali”, i partiti che vanno al governo scoprono presto di non avere gli strumenti “normali” di politica economica necessari per cambiare davvero qualcosa in termini socio-economici. In realtà, non hanno altra scelta che assecondare quanto dicono Bruxelles e Francoforte, e se non fanno a modo la Bce è sempre pronta ad alzare il tiro. A quel punto, se il governo non si tira indietro, la BCE organizza una vera e propria crisi finanziaria (si pensi all’Italia nel 2011 o alla Grecia nel 2015), che di solito porta i partiti politici a rivolgersi ai tecnocrati sostenuti dall’UE per risolvere un problema che l’UE stessa ha creato.
Eppure, anche se il governo cede, la crescente tensione tra le esigenze del vincolo esterno e le istanze dei cittadini, alle quali i partiti non hanno gli strumenti per rimediare, li porta a rivolgersi ai tecnocrati per risolvere l’impasse, facendo attuare loro le misure per le quali i partiti non vogliono assumersi la responsabilità. Poi, a un certo punto, solitamente con l’avvicinarsi di nuove elezioni, i partiti politici sentono il bisogno di ri-legittimarsi agli occhi degli elettori e rimettere così il genio “tecnocratico” nella lampada — fino alla crisi successiva, che apre una nuova fase del ciclo.
Questa è in gran parte la storia di ciò che è successo tra il 2018 e la cacciata di Draghi, quando il Movimento Cinque Stelle e la Lega sono passati dal populismo anti-UE a Draghi nel corso di pochi anni. E le prossime elezioni daranno il via a un nuovo ciclo, magari salutato da un governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni. Ma poiché la situazione sociale ed economica continua a peggiorare, anche questi cicli sono destinati a diventare sempre più brevi. Un futuro governo di centrodestra – “populista” o meno – avrebbe poca o nessuna capacità di risolvere le crisi lasciate aperte da Draghi. Come sempre, gli ordini verranno impartiti a Bruxelles e Francoforte.
Con il lancio del suo recente Transmission Protection Instrument (TPI) , la BCE si è dotata di uno strumento che tecnicamente le consente di fare “tutto il necessario” per chiudere gli spread dell’euro, scongiurando così le potenziali crisi finanziarie future. Tale intervento, tuttavia, è condizionato al rispetto del quadro fiscale dell’UE e delle “riforme” delineate nei piani di “Recovery Fund” di ciascun Paese – implementate da Draghi e non più modificabili. Ma queste non faranno nulla per porre fine alla crisi sociale ed economica in corso; anzi, sicuramente la peggioreranno. In altre parole, il prossimo governo italiano, se vuole rimanere a galla finanziariamente, non avrà altra scelta che seguire i diktat economici della UE. In un tale contesto, quanto tempo rimane prima che crollino gli ultimi resti di legittimità democratica in paesi come l’Italia? E poi cosa succederà?
In definitiva, è molto più probabile che la prossima crisi dell’euro scoppi per le strade d’Europa che non sui mercati finanziari.
Link: https://unherd.com/2022/07/how-mario-draghi-broke-italy/
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