Di Dostoevskij tratto da “I Demoni”
“Il signor Šigalëv è troppo seriamente impegnato nel suo compito, per di più è troppo modesto. Io conosco il suo libro. Egli propone, come soluzione finale del problema, la divisione dell’umanità in due parti diseguali. Un decimo riceve la libertà personale e un diritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi devono perdere la loro personalità e trasformarsi in una sorta di gregge e in completa obbedienza, attraverso una serie di rigenerazioni, raggiungere l’innocenza primigenia, una specie di paradiso primordiale, anche se, d’altronde, dovranno lavorare. Le misure proposte dall’autore per giungere a togliere ai nove decimi dell’umanità la volontà e tramutarli in gregge, per mezzo della rieducazione di intere generazioni, sono oltremodo ammirevoli, fondate su dati naturali, estremamente logiche. Si può non essere d’accordo con talune deduzioni, ma è ben difficile porre in dubbio l’intelligenza e le cognizioni dell’autore.”
[…]
“«Possibile che parliate sul serio?», disse madame Virginskaja allo zoppo, un po’ inquieta. «E quest’uomo, non sapendo dove ficcare gli uomini, osa proporre la trasformazione di nove decimi dell’umanità in schiavi? Da un pezzo lo sospettavo.»
«Parlate di vostro fratello, vero?», chiese lo zoppo.
«Di che parentela state parlando? Mi prendete in giro?»
«Per di più lavorare per i membri di un’aristocrazia e prestare loro obbedienza come a degli dei, è un’infamia!», osservò rabbiosamente la studentessa.
«Io non propongo l’infamia, ma il paradiso, il paradiso terrestre, e sulla terra non può essercene un altro», concluse con autorità Šigalëv.
«Invece del paradiso», si mise a gridare Ljamšin, «io prenderei questi nove decimi d’umanità, che non si sa dove ficcare, e li farei saltare in aria, e lascerei soltanto il gruppo delle persone istruite che comincerebbero a vivere secondo la scienza.»
«Discorsi da pagliaccio!», la studentessa prese fuoco.
«È un pagliaccio, ma è utile», le sussurrò madame Virginskaja.
«Forse sarebbe davvero la migliore soluzione del problema!», Šigalëv, tutto infervorato, si rivolse a Ljamšin. «Voi certamente non vi rendete conto di quale profonda idea siate riuscito ad esprimere, mio gaio signore. Ma dato che la vostra proposta è pressoché inattuabile, bisogna limitarsi al paradiso terrestre, come è stato definito.»”
“«Šigalëv è un uomo geniale! Sapete, è un genio, come Fourier; ma più audace di Fourier, più forte di Fourier; me ne occuperò senz’altro. Ha inventato l’”uguaglianza”!»
«Deve aver la febbre. Sta delirando. Dev’essergli successo qualcosa di molto strano», pensò Stavrògin guardandolo ancora una volta. Camminavano tutti e due, senza fermarsi.
«C’è del buono in quel suo quaderno», continuava Verchovenskij. «C’è lo spionaggio. Ogni membro della Società cura il comportamento dell’altro ed è tenuto a denunciare. Ognuno appartiene a tutti, e tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi, e nella schiavitù tutti sono uguali. Nei casi estremi si arriva alla calunnia e al delitto, ma l’essenziale è l’uguaglianza. Per prima cosa si abbassa il livello dell’educazione, delle scienze e dei talenti. Si può raggiungere un alto livello scientifico e artistico solo con capacità superiori, e non ci devono essere capacità superiori! Le capacità superiori hanno sempre conquistato il potere e sono diventati despoti. Le capacità superiori non possono non essere despoti e sempre hanno fatto più male che bene; perciò vengono espulse o castigate. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi. Shakespeare viene lapidato, questo è lo scigaliovismo! Gli schiavi devono essere uguali: senza dispotismo non c’è ancora stata né libertà, né uguaglianza, ma nel gregge deve esserci uguaglianza, questo è lo scigaliovismo! Ah, ah, ah, vi sembra strano? Io sono per lo scigaliovismo!»
Stavrògin cercava di affrettare il passo e di arrivare più in fretta a casa. «Quest’uomo deve essere ubriaco, ma come ha fatto a ubriacarsi», pensava, «possibile che sia stato il cognac?»
«Sentite, Stavrògin: livellare le montagne è una buona idea, non è ridicolo. Io sono per lo scigaliovismo! Niente educazione, basta scienza! E senza scienza il materiale basta per altri mille anni, ma bisogna adattarsi alla disciplina. Una cosa sola manca al mondo: la disciplina. La sete dell’istruzione è già una sete aristocratica. Non appena spuntano la famiglia e l’amore, subito compare il desiderio di proprietà. Noi stermineremo il desiderio: daremo via libera all’ubriachezza, al pettegolezzo, alla delazione; avvieremo un’inaudita corruzione; soffocheremo ogni genio nella più tenera età. Tutti ridotti a un comun denominatore, assoluta uguaglianza. “Noi abbiamo imparato un mestiere, siamo uomini onesti, non abbiamo bisogno d’altro”, così hanno risposto non molto tempo fa gli operai inglesi. È necessario solo il necessario, ecco, d’ora in poi, la parola d’ordine del globo terrestre. Ma ci vogliono anche degli spasimi; ce ne occuperemo noi, governanti. Perché gli schiavi devono avere dei governanti. Piena disciplina, piena assenza di personalità, ma una volta ogni trent’anni Šigalëv ammette degli spasimi; tutti, d’un tratto, cominceranno a divorarsi l’un l’altro, fino a un determinato limite, unicamente per allontanare la noia. Giacché la noia è un sentimento aristocratico; nello scigaliovismo non ci saranno desideri. Il desiderio e la sofferenza saranno per noi, per gli schiavi ci sarà lo scigaliovismo.»
«E così voi vi escludete?», scappò detto di nuovo a Stavrògin.
«Ed escludo anche voi. Sapete, ho pensato di consegnare il mondo al papa. Che venga fuori a piedi, scalzo, e si mostri alla plebe: “Ecco, gente, a questo punto mi hanno ridotto!”, e tutti lo seguiranno a frotte, anche gli eserciti. Il papa in alto, noi intorno a lui, e sotto di noi lo scigaliovismo. Occorre solo che l’Internationale si accordi con il papa; e così sarà. Il vecchiaccio poi dirà subito di sì. Non ha altra scelta, ve lo dico io, ah, ah, ah, vi sembra stupido? Dite un po’: vi sembra stupido?»
«Basta», mormorò Stavrògin con stizza.”