Questa domanda (che io ritengo fondamentale) esulerà dalle riflessioni su cosa faranno gli Stati Uniti o come reagirà la Cina a un determinato scenario o cose del genere. Ci sono in questo sito persone molto più capaci di me a estrapolare scenari futuribili. A ognuno il suo.
Quello che voglio chiedermi qui in questo momento riguarda la nostra comprensione più profonda rispetto ai mutamenti che sono avvenuti negli ultimi tre anni.
Siamo sempre gli stessi?
Siamo peggiorati? Siamo lievemente peggiorati?
Siamo incontestabilmente peggiorati?
(Se ancora andiamo in giro con la mascherina o ci passa anche per la testa che nei luoghi chiusi non è poi una brutta idea mettersela allora siamo in questa categoria: dei gravemente danneggiati.)
O siamo migliorati?
O addirittura rinati?
Come tutti sappiamo senza dover citare libri o fonti più o meno contestabili l’atto della nascita è un momento di profondo dolore non solo per la madre, ma anche per il feto che spinto da una forza irresistibile perviene alla luce.
Giungo logicamente (almeno secondo la mia logica) alla domanda focale:
quanto questo dolore ci ha temprati?
Quanto queste discriminazioni e questi soprusi ci hanno resi diversi, più forti e consapevoli?
Che cosa abbiamo capito della storia degli esseri umani?
Della civiltà umana?
Che cosa ci aspettiamo dal concetto di Stato?
(Non meramente dallo Stato Italiano per quello che è adesso. Anche un mulo capirebbe che da queste istituzioni non c’è nulla da aspettarsi)
Perché se “lo Stato siamo noi”, come diceva un noto politico italiano che visse la Seconda Guerra Mondiale, e noi, in quanto individui, siamo cambiati, ci siamo ritrovati, ci siamo compresi tra incompresi e ci siamo radunati anche senza sapere chi eravamo, allora qualcosa (se non nel breve, ma forse nel medio lungo termine – anche se Keynes diceva che nel lungo saremmo tutti morti) è destinato a mutare, qualcosa è destinato a rinnovarsi.
Non voglio più sentire o ascoltare discorsi riguardanti il buco nero nel quale ci siamo affossati.
Mi spiego meglio: è giusto parlare di questo buco nero, di questo abisso, ma fissarsi ossessivamente sulla disperazione in cui è precipitato il mondo non solo non è costruttivo, ma è anche insalubre e agghiacciante per i nervi.
Non voglio abbandonarmi a un idiota e inutile ottimismo.
Non voglio fare a gara con quelli che dicono che il Deep State sta crollando e che a breve tutto sarà finito per certi personaggi.
Voglio solo far chiarezza sulle motivazioni che spingono me e tanti altri come me a continuare a disquisire su ciò che sta accadendo, senza però scadere nel vicolo cieco del pessimismo della ragione.
Io invoco il cuore degli uomini e delle donne di buona volontà. Invoco la loro coscienza mutata ed espansa da anni infuocati e ciechi nei quali tutto sembrava definitivamente perduto. Ma è veramente tutto perduto?
Avete maturato una visione nuova della società? Avete riscoperto dentro di voi nuove vie e nuovi percorsi di vita? Il seme che è in voi sta germogliando? Lo dirò chiaramente: state germogliando o state marcendo?
Che cosa avete fatto negli ultimi tre anni? Vi siete solo lamentati o avete provato (anche sbagliando) a costruire un’idea sociale?
La costruzione di una comunità solida e solidale supera il concetto di destra o sinistra. La costruzione di un concetto di comunità nazionale passa attraverso il dolore e l’umiliazione della nazione stessa.
Che cosa ha reso i russi così resistenti agli attacchi spietati del globalismo più feroce e menzognero? Rileggete la storia di quel grande Paese, soprattutto dal 1917 in poi.
La storia va sicuramente riscritta, va sicuramente rivista. Perché troppe menzogne la percorrono, essa è un sogno che viene interpretato in modo capzioso e aleatorio per far piacere a qualcuno che nascosto nell’ombra si approfitta dell’ingenuità e della faciloneria, dell’avidità e dell’egoismo degli esseri umani.
Voglio solo proporre una riflessione su questi due anni attraverso la storia, sia quella dell’essere umano (e più in particolare quella dell’Occidente), sia la nostra personale di individui pensanti e agenti. Perché la prima è conseguenza della seconda.
Ogni nostro gesto incide profondamente sul percorso della storia, che altro non è che la nostra vita sulla Terra, la vita dell’intera razza sulla Terra.
Con questo non voglio dire che dobbiamo unirci nel segno di un grande risveglio o sparare qualche banalità del tipo “se fossimo tutti uniti” o “se tutti insieme andassimo a Roma..”.
Quello che voglio dire è di natura più profonda, è un invito spassionato alla riattivazione di noi stessi, all’esplorazione dei nostri recessi più bui e nascosti, anche tenendo conto del passato sia individuale, sia nazionale.
La risposta politica avverrà solo dopo che l’individuo si sarà accorto di se stesso, del suo valore, della sua forza. Ma questo avverrà solo e unicamente nella benedizione del silenzio e della solitudine.
Siete pronti al grande salto?
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