Il 1992 fu l’anno della svolta come abbiamo scritto più e più volte: l’Italia venne investita come nessuno dall’onda lunga della caduta del Muro di Berlino. In realtà si trattava degli effetti di un accordo siglato 10 anni prima, 8 per la precisione, all’hotel Plaza a New York; accordo suggellato dal duo tedesco in USA, G. Schulz e P. Volcker, con il supporto esterno dell’onnipresente Heinz Alfred “Henry” Kissinger, anche lui tedesco, anima nera del sionismo mondiale degli ultimi 50 anni.
Tale accordo permetteva agli USA di salvarsi, gli europei concedevano ciò come merce di scambio per salvare l’economia USA ancora in ambasce nel 1984 a seguito del golpe (europeo, ndr) contro il Presidente Nixon; a patto di far nascere una nuova Europa, caduto il Muro. Ed in tale nuova Europa un Paese come l’Italia che da colonia di fatto era passata in poco più di cento anni ad essere più ricca della Gran Bretagna colonizzatrice e kingmaker, in termini di PIL mondiale, proprio nell’anno prima di Tangentopoli, era inaccettabile.
L’America dovette cedere, non prima dell’insediamento di un presidente USA asservito al progetto, Bill Clinton, che rappresentava a tutto tondo, assieme alla moglie Hillary, la fronda europeista in USA, anche in termini di riti ed affiliazioni, anche in termini di infiltrazione e di “danneggiamento interno” (…). Con la caduta necessaria di George Bush che mai avrebbe permesso l’attacco alla Penisola, per sua appartenenze storiche (…)(poi suo figlio, il meno dotato, fu messo al potere proprio in quanto tale, a compensazione, godendo del credito di suo padre anche nella sua elezione mai veramente contestata, circondato a governare il Paese più importante del mondo dagli amici del clan Clinton, ndr).
Nel 1992 chiaramente Tangentopoli non scoppiò a caso, nasceva infatti nello stesso solco di cui sopra. Giovanni Falcone saltò per aria un giorno di pre-estate, mentre il Britannia era non così casualmente al largo di Roma: la Regina Elisabetta II improvvidamente visitò pure Capaci, il luogo della strage, col corpo del magistrato ancora caldo. A seguire, circa un mese dopo, il giudice Borsellino fece la stessa fine.
Sul Britannia siamo certi che ci fu Mario Draghi, è storia. E qualcuno suppone (…) che sul panfilo andò in visita anche Beppe Grillo, lo stesso del M5S nato dal nulla, quello che ottenne quasi la laurea honoris causa (in realtà uno speech pubblico) nell’università cugina di quella di Cambridge, si intende l’università del povero Regeni usato da qualcuno per avvelenare i pozzi tra Egitto ed Italia, circa (…).
Analizzare dunque il discorso fatto allora da Mario Draghi, pubblico, è importante, oggi. Perchè ormai si è in una dimensione diversa, completamente diversa, di ricorso storico in presenza di profonda crisi dell’Entente Cordiale che per la prima volta nella storia non riesce ad innescare la guerra che le serve, siamo infatti in pre-guerra oggi. Una guerra stupida ed inutile come tutte quelle scatenate dal duo citato, Entente Cordiale, solo per loro interessi. Guerra che è per difendere gli interessi apicali, delle elites, a cui evidentemente Mario Draghi appartiene.
Diremmo anzi che siamo forse di fronte all’ultima grande guerra europea: l’Europa necessita infatti – oggi – di depopolare come non mai. Vedasi per ridurre i consumi interni, ovvero per esportare di più; vedasi per salvare le sue varie INPS condannate da un welfare impossibile. Vedasi per carenza di risorse primarie, che ha solo l’Italia, a maggior ragione da colonizzare in assenza ormai di colonie sterne.
In canoni storici, c’è troppa libertà in Europa. E questo le elites di sangue locali non lo possono permettere. Dunque va sfoltito il parco buoi. E dunque guerra sia.
Il discorso di Draghi è importante proprio perchè, in primis, dichiara la sua appartenenza personale alle elites, quanto basta per non fidarsi di lui, anzi! Tanto da spingere ai tempi addirittura il presidente Francesco Cossiga a fare il suo famoso annuncio pubblico “Draghi vile affarista“, “liquidatore … dell’industria pubblica italiana” ecc.. Come vedete, Cossiga sembra non avesse tutti i torti, anzi!
Un’ultima coppia di considerazioni, prima di lasciarvi al discorso di cui sotto: anche oggi, nel pieno di una crisi europea in fieri a cui la Premier Meloni cerca in tutti i modi di sottrarsi (rischia la vita), il sovrano britannico va encore improvvidamente in Italia, in visita solenne questa volta come mai accadde prima (…). Più o meno, tutte le volte che un sovrano britannico ha visitato l’Italia ci sono state sventure, guerre successive e/o colpi di stato tentati o di successo, tutti più o meno coperti dai media asserviti. Non riteniamo che oggi si farà eccezione.
La seconda e più importante considerazione è invece che l’Italia venne salvata nel 1992 dalla sua dissoluzione voluta dall’Entente Cordiale coloniale, grazie all’intervento dei militari americani. Precisamente come è accaduto ai nostri giorni, sta accadendo oggi: mai dimenticare che il North Stream che stava massacrando solo l’Italia col prezzo del gas alle stelle è saltato per aria il giorno lo stesso dell’elezione di Giorgia Meloni! Davvero un copia incolla del 1992, direi, quando Justice Antonin Scalia fu invitato in Italia (fermando Tangentopoli, memorabile “la custodia cautelare in carcere è contraria ai principi di democrazia”) di fatto da un uomo del Pentagono, Reginald Bartholomew, neo ambasciatore in Italia, prima plenipotenziario USA per il disarmo nucleare dell’URSS..
Il motivo di tutte le macchinazioni in larga parte anti-italiane sopra introdotte è semplice e dipende dal fatto che la Gran Bretagna – da sempre lavorando in coppia con la Francia (loro fu l’attacco a Gheddafi [e poi all’Italia] nel 2011: con l’oro del Rais Londra salvò se stessa, oggi in un’altra grande crisi speriamo che non voglia rifarsi sull’oro dell’Italia!) – vorrebbe spezzare l’Italia in varie parti, tenendosi solo la “sua ” Sicilia, essenziale in termini geostrategici, sottraendola agli USA. Ma questo sarà argomento che tratteremo successivamente, basti ricordare che chi vince a questo giro sarà colui che avrà l’Italia al suo fianco.
Per intanto vi lasciamo al discorso “dell’Invisibile” Mario Draghi “agli Invisibili britannici“, allora direttore generale del Tesoro, alla Conferenza sulle Privatizzazioni tenutasi sullo yacht Britannia, del 2 giugno 1992.
Denso di malefici presagi, oggi (tale discorso dovrebbe prepararvi a pensare di diventare la 51. stella USA nei prossimi 5 anni o giù di lì, se non vorrete essere letteralmente invasi – previa indigenza – nei prossimi 15: quando un aggressore entra in un paese conquistato sappiate che entra anche in ogni casa privata portandosi via tutto quel che trova, ripeto “tutto”, sappiatelo…).
Infatti, se allora tale discorso rappresentò l’epitaffio del vero benessere italiano, oggi lo stesso discorso draghiano può tranquillamente essere letto come la fine – a termine – dell’Italia non solo Repubblicana. Ma Unita, quella del 1860.
Buona lettura
MD
Nota: sono state da noi aggiunte delle suddivisioni in sezioni, per comprendere meglio, Oltre al grassetto, dove lo ritenevamo opportuno
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Testo del discorso di Mario Draghi sul Britannia
tenuto il 2 Giugno 1992, vedasi al LINK
Le privatizzazioni “necessarie”
Signore e signori, cari amici, desidero anzitutto congratularmi con l’Ambasciata Britannica e gli Invisibili Britannici per la loro superba ospitalità. Tenere questo incontro su questa nave è di per sé un esempio di privatizzazione di un fantastico bene pubblico. Durante gli ultimi quindici mesi, molto è stato detto sulla privatizzazione dell’economia italiana. Alcuni progressi sono stati fatti, nel promuovere la vendita di alcune banche possedute dallo Stato ad altre istituzioni cripto-pubbliche, e per questo la maggior parte del merito va a Guido Carli, ministro del Tesoro. Ma, per quanto riguarda le vendite reali delle maggiori aziende pubbliche al settore privato, è stato fatto poco.
Non deve sorprendere, perché un’ampia privatizzazione è una grande – direi straordinaria – decisione politica, che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi cinquant’anni, induce un ampio processo di deregolamentazione, indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. In altre parole, la decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile.
Altri oratori parleranno dello stato dell’arte in quest’area: dove siamo ora da un punto di vista normativo, e quali possono essere i prossimi passaggi. Una breve panoramica della visione del Tesoro sui principali effetti delle privatizzazioni può aiutare a comunicare la nostra strategia nei prossimi mesi. Primo: privatizzazioni e bilancio. La privatizzazione è stata originariamente introdotta come un modo per ridurre il deficit di bilancio. Più tardi abbiamo compreso, e l’abbiamo scritto nel nostro ultimo rapporto quadrimestrale, che la privatizzazione non può essere vista come sostituto del consolidamento fiscale, esattamente come una vendita di asset per un’impresa privata non può essere vista come un modo per ridurre le perdite annuali. Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit.
Benefici futuri, senza dire “per chi” sarebbero stati tali benefici
Quando un governo vende un asset profittevole, perde tutti i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio del debito. Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit, solo come il suo finanziamento. (Questo fatto, nella visione del Tesoro, ha alcune implicazioni che vedremo in un secondo momento). Le conseguenze politiche di questa visione sono due. Dal punto di vista della finanza pubblica, il consolidamento fiscale da mettere a bilancio per l’anno 1993 e i successivi non dovrebbe includere direttamente nessun ricavo dalle privatizzazioni. Nel contempo, dovremmo avviare un piano di riduzione del debito con gli incassi dalle privatizzazioni. Ciò implicherà più enfasi del Tesoro sulle implicazioni economiche complessive delle privatizzazioni e sull’obiettivo ultimo di ricostruire gli incentivi per il settore privato.
La ricchezza finanziaria italiana (da depredare)
Secondo: privatizzazioni e mercati finanziari. La privatizzazione implica un cambiamento nella composizione della ricchezza finanziaria privata dal debito pubblico alle azioni. L’effetto di riduzione del debito pubblico può implicare una discesa dei tassi di interesse. Ma l’impatto sui mercati finanziari può essere molto più importante, quando vediamo che la quantità di ricchezza privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo. In altre parole, i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati. L’implicazione politica è che dovremmo vedere le privatizzazioni come un’opportunità per approvare leggi e generare cambiamenti istituzionali per potenziare l’efficienza e le dimensioni dei nostri mercati finanziari.
Le illusioni di crescita successiva post-attacco al Paese
Tre: privatizzazioni e crescita. (In molti casi) vediamo le privatizzazioni come uno strumento per aumentare la crescita. Nella maggior parte dei casi la privatizzazione porterà a un aumento della produttività, con una gestione migliore o più indipendente, e a una struttura più competitiva del mercato. La privatizzazione quindi potrebbe parzialmente compensare i possibili – ma non certi – effetti di breve termine di contrazione fiscale necessaria per un bilancio più equilibrato. In alcuni casi, per trarre beneficio dai vantaggi di un aumento della concorrenza derivante dalla privatizzazione, potrebbe essere necessaria un’ampia deregolamentazione. Questo processo, se da una parte diminuisce le inefficienze e le rendite delle imprese pubbliche, dall’altra parte indebolisce la capacità del governo di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione e la promozione dello sviluppo regionale. Tuttavia, consideriamo questo processo – privatizzazione accompagnata da deregolamentazione – inevitabile perché innescato dall’aumento dell’integrazione europea. L’Italia può promuoverlo da sé, oppure essere obbligata dalla legislazione europea. Noi preferiamo la prima strada.
Timeline
Le implicazioni di policy sono che: a) un grande rilievo verrà dato all’analisi della struttura industriale che emergerà dopo le privatizzazioni, e soprattutto a capire se assicurino prezzi più bassi e una migliore qualità dei servizi prodotti; b) nei casi rilevanti la deregolamentazione dovrà accompagnare la decisione di privatizzare, e un’attenzione speciale sarà data ai requisiti delle norme comunitarie; c) dovranno essere trovati mezzi alternativi per perseguire obiettivi non di mercato, quando saranno considerati essenziali. Quarto: privatizzazioni e depoliticizzazione. Un ultimo aspetto attraente della privatizzazione è che è percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche. Questo è certamente vero e sbarazzarsi di questo fenomeno è un obiettivo lodevole. Tuttavia, dobbiamo essere certi che dopo le privatizzazioni non affronteremo lo stesso problema, col proprietario privato che interferisce nella gestione ordinaria dell’impresa. Qui l’implicazione politica immediata è l’esigenza di accompagnare la privatizzazione con una legislazione in grado di proteggere gli azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazione tra gli azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e straordinarie.
I rischi in cui si può incorrere, le forze anti-privatizzazione da annichilire
A cosa dobbiamo fare attenzione, per valutare la forza del mandato politico di un governo che voglia veramente privatizzare? Primo, occorre una chiara decisione politica su quello che deve essere considerato un settore strategico. Non importa quanto questo concetto possa essere sfuggente, è comunque il prerequisito per muoversi senza incertezze. Secondo, visto che non c’è una Thatcher alle viste in Italia, dobbiamo considerare un insieme di disposizioni sui possibili effetti delle privatizzazioni sulla disoccupazione (se essa dovesse aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza), sulla possibile concentrazione di mercato, e sulla discriminazione dei prezzi (quest’ultima in particolare per la privatizzazione delle utility). Terzo, occorre superare i problemi normativi. Un esempio importante: le banche, che secondo la legislazione antitrust (l. 287/91) non possono essere acquisite da imprese industriali, ma solo da altre banche, da istituzioni finanziarie non bancarie (Sim, fondi pensione, fondi comuni di investimento, imprese finanziarie), da compagnie assicurative e da individui che non siano imprenditori professionisti. In pratica, siccome in Italia non ci sono virtualmente grandi banche private, gli unici possibili acquirenti tra gli investitori domestici sono le assicurazioni o i singoli individui. Una limitazione molto stringente.
Creazione di uno stato “privato”, cancellando il precedente
In ordine logico, non necessariamente temporale, tutti questi passaggi dovrebbero avvenire prima del collocamento. In quel momento, affronteremo la sfida più importante: considerando che una vasta parte delle azioni sarà offerta, almeno inizialmente, agli investitori domestici, come facciamo spazio per questi asset nei loro portafogli? Qui giunge in tutta la sua importanza la necessità che le privatizzazioni siano a complemento di un piano credibile di riduzione del deficit, soprattutto per ridurre la creazione di debito pubblico. Solo se abbiamo successo nel compito di ridurre “continuamente e sostanziosamente” il nostro rapporto tra debito e Pil, come richiesto dal Trattato di Maastricht, troveremo spazio nei portafogli degli investitori. Allo stesso tempo, l’assorbimento di queste nuove azioni può essere accelerato dall’aumento dell’efficienza del nostro mercato azionario e dall’allargamento dello spettro degli intermediari finanziari. Qui il pensiero va subito alla creazione di fondi pensione ma, di nuovo, i fondi pensione sono alimentati dal risparmio privato che da ultimo deve essere accompagnato dal sistema di sicurezza sociale nazionale verso i fondi pensione. Ma un ammanco dei contributi di sicurezza sociale allo schema nazionale implicherebbe di per sé un deficit più elevato. Questo ci porta a una conclusione di policy sui fondi pensione: possono essere creati su una base veramente ampia solo se il sistema nazionale di sicurezza sociale è riformato nella direzione di un sistema meglio finanziato o più equilibrato rispetto a quello odierno.
L’obiettivo di Draghi (a cui il “discorso” fu evidentemente commissionato)
Questa presentazione non era fatta per rispondere alla domanda su quanto possa essere veloce il processo di privatizzazioni – non è il momento giusto per affrontare il tema. L’obiettivo era fornirvi una lista delle cose da considerare per valutare la solidità del processo. La conclusione generale è che la privatizzazione è una delle poche riforme nella vita di un paese che ha assolutamente bisogno del contesto macroeconomico giusto per avere successo. Lasciatemi sottolineare ancora che non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni. Dovremmo realizzarle insieme. Di certo, non possiamo avere le privatizzazioni senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà parte di ogni programma di governo.
Conclusioni
Lasciatemi concludere spiegando, nella visione del Tesoro, la principale ragione tecnica – possono esserci altre ragioni, legate alla visione personale dell’oratore, che vi risparmio – per cui questo processo decollerà. La ragione è questa: i mercati vedono le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi, dal loro buon funzionamento come principale strada per riportare la crescita. Poiché le privatizzazioni sono così cruciali nello sforzo riformatore del Paese, i mercati le vedono come il test di credibilità del nostro sforzo di consolidamento fiscale. E i mercati sono pronti a ricompensare l’Italia, come hanno fatto in altre occasioni, per l’azione in questa direzione. I benefici indiretti delle privatizzazioni, in termini di accresciuta credibilità delle nostre politiche, sono secondo noi così significativi da giocare un ruolo fondamentale nel ridurre in modo considerevole il costo dell’aggiustamento fiscale che ci attende nei prossimi cinque anni.
Mario Draghi, panfilo Britannia, 2. Giugno 1992