Binoy Kampmark per Off-Guardian
Gli omaggi per Jacques Chirac, l’ex Presidente e Sindaco di Parigi, si sono sprecati: il grande statista, l’uomo che ha detto no alla guerra degli Stati Uniti in Iraq, l’uomo nato per essere amato da tutti.
Ma forse, qua e là, ci sarebbe stato un sopracciglio da alzare.
“Noi francesi abbiamo perso uno statista che amavamo tanto quanto lui amava noi”, ha affermato il Presidente francese Emmanuel Macron.
Quando, nelle commemorazioni francesi, la “grandezza” di una persona viene sbattuta in faccia a tutti, c’è sempre la sensazione che si stia fondendo la carne con lo spirito.
Quella persona, in tal modo, “incarna” la Francia, avendo abitato in quel guscio piuttosto complesso che passa per essere lo Stato.
Ma le commemorazioni sono tutte troppo scontate finendo con il dimostrare, al contrario, una situazione di disagio.
Gli elogi sono spesso strumenti che esprimono l’umore di un’occasione invece che la realtà di una vita.
Vista la crisi dell’Unione Europea, il sentimento europeista di Chirac è motivo di nostalgia — egli incoraggiava l’”Europa degli Stati” piuttosto che gli “Stati Uniti d’Europa”, ma ha comunque allontanato la Francia dal credo gollista dell’autosufficienza.
“L’Europa sta perdendo un grande statista ed il suo Presidente un grande amico”, ha affermato Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea.
L’ex Primo Ministro belga Guy Verhofstadt ha elogiato il suo interesse per l’Europa: “un vero statista che ci mancherà molto”.
Le stesse cose sono state ribadite dall’ex Presidente francese François Hollande, nonostante Chirac l’avesse descritto come “il labrador di Mitterrand”: “So che oggi il popolo francese, qualunque sia la sua convinzione, ha perso un amico”.
Anche personaggi minori di questa storia sono stati piuttosto elusivi nelle loro lodi.
Boris Johnson, ad esempio, tutto preso dall’imbroglio della Brexit, ha espresso la sua ammirazione per quel “formidabile leader politico che ha plasmato il destino della sua nazione, in una carriera che ha attraversato quattro decenni”.
Anche un altro Primo Ministro britannico, John Major, si è tolto il berretto.
Dove Chirac eccelleva era senza dubbio l’ipocrisia — un termine più gentile sarebbe stato “ginnasta della politica”, o banderuola, come talvolta veniva chiamato.
Sindaco di Parigi per quasi due decenni, due mandati come Primo Ministro e poi due come Presidente ….. tutto questo suggerisce che egli avesse ampie capacità di dominare la “materia”.
Suggerisce anche che avesse notevoli capacità di adattamento e che sapesse spostarsi attraverso irriducibili divisioni politiche.
E’ stato un pragmatico, piuttosto che un polemista.
Il suo modo di fare era squisito. Poteva facilmente fare un discorso tipo “le bruit et l’odeur” nel 1991 [https://fr.wikipedia.org/wiki/Le_bruit_et_l%27odeur_(discours_de_Jacques_Chirac)], salvo diventare il candidato antirazzista nelle elezioni del 2002, in cui i progressisti, scioccati, furono invitati a votare per il “truffatore” Chirac piuttosto che per il “fascista” Jean-Marie Le Pen.
Negli affari esteri ha fatto qualcosa di memorabile: fabbricare l’immagine della Francia come paese contrario alla guerra e agli interventi militari.
Un paese pacifico, al di sopra di qualsiasi biasimo ed interesse personale.
Questo gli permise di guidare gli sforzi contro la guerra in Iraq, lanciata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna nel 2003.
L’affondo populista è degno di nota per la sua rilevanza assolutamente attuale: il terrore di un’Europa sovraffollata, la paura dei saccheggiatori finanziati dai contribuenti, è stato giocato dappertutto, da Nigel Farage in Gran Bretagna a Viktor Orbán in Ungheria.
Immaginate, disse Chirac [le bruite et l’odeur], l’umile lavoratore francese e sua moglie che vedono accanto alla loro casa popolare un padre con tre o quattro mogli e con una ventina di figli, tutti mantenuti dal welfare francese: “Se aggiungete a questo il rumore e l’odore, beh, il lavoratore francese potrebbe impazzire”.
Era anche la creatura di un brand politico che non avrebbe esitato ad indossare per andare contro le regole. L’ambizione senza limiti fece il resto — e la ruggine su “Le Bulldozer” [nomignolo di Chirac], ad un certo punto, fu inevitabile che fosse scoperta.
Nel 2011 fu condannato a due anni di sospensione condizionale per due casi di “appropriazione indebita di fondi pubblici”, quando era Sindaco di Parigi.
Si incentravano sulla creazione di falsi posti di lavoro nel suo Partito, lo RPR, ma non suggerivano un grande schema di auto-arricchimento.
Anche dopo la sua condanna il tema di Chirac, l’amabile e il benvoluto, restò ben impresso a casa dal suo Avvocato, Georges Kiejman: “Quello che spero è che questa sentenza non cambi in alcun modo il profondo affetto che i francesi provano legittimamente per Jacques Chirac”.
Ma Kiejman aveva ben poche ragioni di cui preoccuparsi.
Pur essendo assai poco virtuoso, Chirac avanzò la scomoda questione della complicità francese nei crimini nazisti, una fatto altrimenti intoccabile dell’identità del dopoguerra.
La misura fu significativa e in un qualche modo affondò l’idea che la Repubblica Francese aveva mantenuto la sua “purezza” durante l’occupazione tedesca e il Regime di Vichy.
Questa convinzione aveva provocato la creazione di un mostro politico mutante: non si poteva incolpare la Repubblica di Francia di alcun crimine, avendo il Regime di Vichy cessato di esistere.
L’ex Presidente francese François Mitterrand aveva affermato, in modo poco convincente, che: “Nel 1940 c’era uno Stato Francese, ma era il Regime di Vichy, non la Repubblica”.
Mitterrand, come molti altri nella sua posizione, non sentì il bisogno di unirsi alla “resistenza francese” fino al 1943. Prima di allora era stato un funzionario di Vichy.
Il 16 luglio 1995 Chirac notò che “la follia criminale degli occupanti fu artificiosamente distaccata dai francesi e dallo Stato Francese”.
Ma, nel luglio del 1942, durante il raduno del Vel’Hiv, furono 4.500 poliziotti francesi ad arrestare 13.000 ebrei parigini, in preparazione del loro assassinio ad Auschwitz.
Chirac disse che: ”La Francia, patria dell’Illuminismo e dei diritti dell’uomo, terra di asilo e di accoglienza, quel giorno commise l’irreparabile. [Il paese aveva infranto] la sua parola, consegnando ai loro carnefici coloro che erano sotto la sua protezione”.
Gli storici s’interrogheranno sulle ideologie e sulle credenze dell’uomo. Rifletteranno sull’eredità che ha lasciato e sulle cose che non ha raggiunto.
Le divisioni strutturali e sociali, ad esempio, sono rimaste senza alcun indirizzo.
Con Chirac, le apparenze e i comportamenti hanno avuto effetti distorsivi. Egli, scrisse la giornalista Anne-Élisabeth Moutet, sfoggiava dei “modi forti” che nascondevano, però, “un’indecisione politica estrema”.
Pur non lasciando alcuna duratura eredità, ne lascia comunque una ben al di sopra dell’attuale leader francese, in palese difficoltà.
Per quanto fosse proprietario di un Castello, membro importante della grande borghesia e sposato con un’aristocratica, era in sintonia con la gente comune.
Per il Prof. Pascal Perrineau della “Scuola per gli Affari Internazionali” di Parigi, era un Presidente che faceva jogging e cavalcava una Vespa — e per questo molto lo apprezzava.
La sua vera abilità, tuttavia, era quella d’immortalare l’arte della vaghezza politica.
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Link Originale: https://off-guardian.org/2019/10/01/jacques-chirac-the-art-of-being-vague/
Scelto e diretto da Franco
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