Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
Gli indicatori della crescita globale, per il prossimo anno, sono buoni, ma è prematuro parlare di una “nuova alba”: il sistema finanziario è ancora pieno di problemi.
La tregua commerciale Cina-USA ha spazzato via l’ultimo grande blocco stradale ed anche la schiacciante sconfitta dell’ideologia dell’esproprio, in Gran Bretagna, sarà d’aiuto.
È un avvertimento ai Partiti di tutto il mondo che sono tentati dal populismo di estrema sinistra.
Le stelle, quindi, sono allineate per un altro anno di rispettabile crescita — seppur derubate del loro futuro dall’abuso politico dell’”Equazione Intertemporale di Eulero” — ed anche per un probabile ed ulteriore boom delle azioni.
Sembra di essere tornati all’inizio del 1999, dopo che la Fed aveva salvato il sistema bancario americano, l’Asia Orientale e i Paesi periferici d’Europa con tagli d’emergenza ai tassi — ma provocando in tal modo il delirante picco delle dotcom.
Bank of America segnala il “tutto sereno”. Ha detto ai suoi clienti di prepararsi per un “market melt-up” [improvviso boom del mercato] nel prossimo trimestre, ma con una puntualizzazione: un avvertimento ribassista da parte dei “tecnici del credito”.
Ed è proprio qui che si trova il pericolo, ben spiegato nell’ultimo rapporto del Tesoro degli Stati Uniti al Congresso, che esploro nel prosieguo.
Il “dettato” di Warren Buffett è che si deve essere molto più vigili quando tutti diventano rialzisti. Ma sembra che l’inversione ad “U” della Fed e della BCE della scorsa estate abbia tirato indietro l’economia mondiale dal ciglio del burrone.
Il passaggio dall’”inasprimento delle politiche” al “taglio dei tassi”, assieme al nuovo QE (un totale di 93 miliardi/dollari/mese), ha impedito che la recessione industrial-commerciale si estendesse ai servizi, raggiungendo lo stato metastasico.
Ad agosto, l’”indicatore di recessione” della Fed di New York aveva raggiunto un picco che normalmente porta gravi conseguenze, ma da allora è bruscamente calato.
Parlare di una nuova “alba fiscale” è senz’altro esagerato (la politica di bilancio sta diventando leggermente contrattiva negli Stati Uniti mentre lo stimolo, nell’eurozona, è dolorosamente lento), ma è probabile che possa esserci una certa espansione netta.
I briefing in vista dell’annuale “Economic Work Conference” cinese di questa settimana suggeriscono che nel 2020 arriveranno 3 miliardi di yuan (430 miliardi di dollari) di obbligazioni emesse dai Governi Locali per finanziare nuove infrastrutture.
Ricordate che la Cina rappresenta ancora più della crescita di Europa e Stati Uniti messi assieme, anche se non continuerà ad esserlo per molto tempo.
La mia ipotesi è che Donald Trump avrà abbastanza slancio economico per riconquistare la Casa Bianca [a novembre 2020], sia detto nel bene o nel male a seconda della vostra opinione, ma comunque con enormi conseguenze.
I mercati, però, possono ancora girarsi contro Trump. Il “rapporto di stabilità” dello “US Treasury’s Office of Financial Research” (OFR) non ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato. La relazione di quest’anno segnala che ci sono dei rischi.
Le banche sono solide e nell’ultimo decennio il debito delle famiglie è sceso dall’87% ad un gestibile 65%. Ma resta il problema dei mercati delle obbligazioni societarie, dei mercati azionari, della leva degli hedge fund e di come mettere in linea il mercato dei “repo” [pronti contro termine] di New York.
“Il rischio di mercato è elevato”, ha concluso l’OFR.
Il problema non è soltanto nel fatto che il rapporto fra “debito societario non finanziario” e PIL abbia raggiunto il massimo storico del 48%: è che c’è uno stress latente nella struttura stessa del debito.
La durata delle obbligazioni è salita a 5,8 anni (dalla media di 4,8 dell’ultimo quarto di secolo), sulla base del “Barclays US Aggregate Bond Index”.
L’OFR ha affermato che l’aumento di un punto nei costi di finanziamento porterebbe ad un calo di valore di 1,4 trilioni di dollari. La reflazione potrebbe causare quest’aumento in un batter d’occhio.
I rendimenti delle obbligazioni quinquennali statunitensi hanno già coperto un terzo di questo terreno già da metà ottobre. In altre parole, il boom degli asset contiene al suo interno i semi della propria distruzione.
La mia ipotesi è che la soglia d’innesco sia molto bassa.
Più della metà del mercato da 4,8 trilioni di dollari di obbligazioni societarie “investment grade”, che viene seguito dall’OFR, ha un rating BBB o addirittura inferiore, con un aumento di ben cinque volte dal 2008.
Circa 800 miliardi di dollari di questi titoli sono appollaiati appena sopra la soglia della spazzatura: BBB-. Il minimo shock potrebbe causare una cascata di declassamenti e di “angeli caduti”.
I Fondi con un “mandato stretto” sarebbero costretti a vendere queste obbligazioni, se declassate al livello di spazzatura. E così comincerebbero le svendite selvagge, la liquidità si inaridirebbe e prenderebbe piede una stretta creditizia.
Il rosso sta già lampeggiando: il numero delle obbligazioni con un rapporto debito/utili superiore a 6 è salito al 30%.
Quasi tutte le emissioni sono ora espresse in termini di “cov-lite”, con scarsa o nessuna protezione per i creditori. Le perdite in caso di default sarebbero quindi maggiori.
I CLO [collateralized loan obligations] potrebbero avere prestazioni peggiori, nella prossima recessione, rispetto alla crisi della Lehman.
L’edificio finanziario è quindi instabile, insicuro ed il ciclo è molto “tardo”. Ricordatevi, infine, che il “Dodd-Frank Act”, implementato dopo la crisi della Lehman, è una camicia di forza che impedisce alla Fed di fare in extremis un altro salvataggio in stile 2008.
Speravamo che il QE avrebbe continuato a coprire tutto e a nascondere tutti i peccati.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2019/12/17/global-rebound-could-help-trump-back-white-house-despite-systemic/
Scelto e tradotto da Franco
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